lunedì 14 novembre 2016

Il Meridiano di Luigi Malerba

Luigi Malerba: Romanzi e racconti, Meridiani Mondadori, a cura di Giovanni Ronchini, con un saggio introduttivo di Walter Pedullà pagg. 1706, euro 80

Risvolto
Attraverso una scelta rappresentativa e rispettosa del percorso artistico dello scrittore, questo Meridiano “racconta”, grazie ad apparati particolarmente ricchi, l’originalità assoluta dello sperimentalismo malerbiano, le sue caratteristiche salienti, i suoi tratti inconfondibili. Dai primi scritti pubblicati negli anni Sessanta, scaturiti dalle riflessioni e dal clima culturale della neoavanguardia come La scoperta dell’alfabeto e Il serpente, fino ai romanzi e racconti degli anni Duemila, l’opera di Luigi Malerba si caratterizza per l’azzardo in campo linguistico e strutturale, perimetrando un percorso assolutamente innovativo dentro e fuori dalla dimensione narrativa. Vincitore di numerosi premi letterari, Malerba è stato anche autore di sceneggiature cinematografiche e televisive, di testi per l’infanzia e di interventi militanti dedicati alla cultura e alla società del nostro tempo.
Le metamorfosi di un narratore sperimentale. Cronologia. Nota all’edizione. La scoperta dell’alfabeto. Il serpente. Salto mortale. Il pataffo. Testa d’argento. Il fuoco greco. Le pietre volanti. Fantasmi romani. Notizie sui testi. Bibliografia.

Tutto Malerba voci e pensieri delle galline 


I romanzi sperimentali, il comico il Medioevo. In un Meridiano le opere dello scrittore
PAOLO MAURI Rep 14/11/2016
La prima notizia su Luigi Malerba me la diede tanti anni fa la quarta di copertina del suo libro di esordio, “La scoperta dell’alfabeto”. C’era scritto: «Luigi Malerba vive fra Roma e Parma. A Roma scrive per il cinema e la televisione; a Parma fa l’agricoltore». In effetti i racconti della “Scoperta”, che uscì nel ’63 e io lessi qualche anno dopo, erano tutti dedicati ai contadini della campagna parmigiana, ai loro tic, alle loro manie, al loro modo di pensare spesso paradossale, ma ancor di più erano dedicati alla terra e alla campagna che ormai veniva sempre più abbandonata, finché i casolari non cascavano a pezzi e i campi si riempivano di rovi. Sparivano i contadini e gli attrezzi per il lavoro arrugginivano e con loro le parole che servivano a nominarli. Malerba dedicò un libro a quelle “Parole abbandonate” che riguardavano sempre la campagna parmigiana. Intanto, quando lo conobbi, si era comprato una campagna più comoda da frequentare negli immediati dintorni di Orvieto. Otto ettari che davano grano, frutta, ortaggi. C’era anche una discreta produzione di vino e di grappa. Sulle etichette della grappa Malerba aveva fatto scrivere «Distillata clandestinamente nel podere di…» perché la legge vieta di farsi la grappa in proprio. «Sono l’unico scrittore che ha dedicato un libro alle galline », disse una volta Malerba in un’intervista. Di più: le galline di Malerba sono delle vere intellettuali e non per nulla, nel titolo, le definisce «pensierose».
Malerba ha cominciato a pubblicare quando è nato il Gruppo 63: aveva già più di trent’anni. Prima, quando di anni ne aveva poco più di venti, aveva diretto un film, Donne e soldati, dove aveva fatto recitare Marco Ferreri e Gaia Servadio, mettendo in scena un Medioevo ribaldo e grottesco che suggerì poi a Monicelli l’idea dell’Armata Brancaleone e si era trasferito a Roma per occuparsi di pubblicità. Chi prende in mano il Meridiano Mondadori dedicato ai romanzi e racconti di Malerba troverà i dettagli della sua vita ricostruiti molto bene da Giovanni Ronchini (sue sono anche le accurate notizie sui testi) mentre Walter Pedullà, nell’introduzione (un saggio denso e insieme aperto) analizza e interroga una scrittura che sfugge alle definizioni ed è spesso mobile e imprendibile. Contraddizioni e paradossi del reale sono la chiave di volta della narrativa malerbiana. Il vecchio contadino Ambanelli nella Scoperta dell’alfabeto impara a scrivere dal figlio del padrone, ma se accetta il fatto che la prima lettera sia una “a” si ribella all’idea che la seconda sia una “b”. Chi lo ha stabilito? E che utilità ha la “b” dopo la “a”? Quando il ragazzo che cerca di istruirlo gli propone come seconda lettera la “m”, per insegnargli a fare la propria firma, Ambanelli è soddisfatto: finalmente si ragiona!
Malerba usa dunque la scrittura per investigare il reale, sottoponendo ciò che accade (o meglio ciò che la scrittura fa accadere) a un esame stringente, salvo poi denunciare la scrittura stessa come artefice di realtà che non esistono. Nel Serpente (1966) accadono stravaganze di ogni genere e il protagonista, che fa il commerciante di francobolli a Roma in via Arenula, inventa addirittura il canto mentale nel quale non ha ovviamente rivali. Ma non inventa solo quello: prigioniero delle parole, costruisce nella sua testa un romanzo (appunto Il serpente) con una moglie, Miriam, che lo ossessiona e che alla fine diventerà un cadavere. Ma può diventare un cadavere una donna che non esiste? Anche in Salto mortale (1968) c’è un cadavere nel mezzo della pianura di Pavona, nei pressi della capitale, e c’è un tale Giuseppe detto Giuseppe sospettato di assassinio. Un giallo? Del giallo Malerba riutilizza alcuni elementi tecnici, ma protagonista di questa storia è ancora una volta la scrittura che stavolta si avvolge attorno agli uomini e alle cose con un ritmo crescente creando dei veri e propri vortici di senso. «È meglio tenersi alla larga dalla polizia, con lei non ci voglio avere a che fare. Quasi quasi ritorno indietro cioè non ci sono mai passato su quel prato… È successo qualcosa? Io non ne so niente…». Un giorno Malerba prese una pagina di Salto mortale divise con gli a capo le frasi e pubblicò il risultato su
Nuovi Argomenti: il testo era diventato una poesia, perché il ritmo c’era. «Speravo che qualcuno se ne accorgesse», aveva poi commentato e invece niente.
Cultore del comico freddo alla Buster Keaton, Malerba ha molto frequentato il Medioevo (anche quello bizantino) con storie che talvolta diventavano storiacce di sberleffi e soprusi come nel Pataffio che è scritto in lingua maccheronica, mezzo italiana e mezzo latina e che gira intorno alla gran fame che affliggeva il mondo nei tempi di carestia. È ancora una volta la campagna a farla da protagonista, anche se Malerba, fin dal Serpente e poi nel Protagonista ha scelto Roma come luogo privilegiato delle sue narrazioni. Anzi, in un libro ancora una volta sperimentale, quel Diario di un sognatore in cui registrò i sogni di un intero anno, c’è anche il sogno in cui teme che a forza di guardarlo il panorama del Gianicolo si consumi. Alcuni anni fa, recensendo su queste pagine Fantasmi romani notavo come Malerba non rinunciasse a mettere in forse la tradizione, sperimentando sulle strutture anche se, con Roth, accettava con riserva il postulato che il romanzo fosse eterno come la borghesia. Fantasmi romani irride agli schemi di una esistenza borghese immaginando una coppia che sta in piedi solo a patto di continue finzioni: lui e lei si tradiscono regolarmente e tutto si ripete in una routine estenuante in cui ogni situazione non è che il doppio di un’altra. Dunque, quale romanzo? E quale borghesia?
Oggi le domande non sono gradite perché disturbano il mercato e dunque c’è poco da discutere. Ricordo ancora il Convegno di Orvieto, organizzato da Malerba e altri amici negli anni Settanta, quando Manganelli replicava ai detrattori della letteratura gridando: voi dite che la letteratura è merda ebbene io vi dico che a me la merda piace. Manganelli, come Malerba, difendeva un’idea di letteratura niente affatto pacifica. Proprio in quel convegno Toti Scialoja aveva creato i versi poi diventati celebri: «Il sogno segreto / dei corvi di Orvieto / è mettere a morte / i corvi di Orte».
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