venerdì 4 novembre 2016

Il mito dell'Università libera e un improbabile attacco all'introvabile "libertà accademica"

COSMOS Conference - Surveillance, repression and the academia


La sinistra confusa e dirittumanista mette assieme Turchia, Russia e Italia, situazioni assolutamente diverse, per dimostrare le proprie fantasie.
A cosa servirebbe poi reprimere l'Università, quando alla tradizionale vocazione a mettersi prona si aggiunge la totale colonizzazione capitalistica? Quanto è ridicolo poi questo atteggiamento eroico-aristocratico - la libertà di ricerca, il compito della ricerca nella società, bla bla - se commisurato alla realtà della prassi della ricerca e dell'insegnamento accademico ma ancor prima alla sua funzione ideologica strutturale? [SGA].



Lo stato di salute della libertà accademica

Simposi. Alla Scuola Normale Superiore di Firenze, un incontro per lanciare una sfida alle nuove forme di sorveglianza dentro le università e nel campo della ricerca. Oggi, dalle 16, l'appuntamento è presso l'Istituto di Scienze Umane e Sociali di Palazzo Strozzi
Donatella Della Porta Manifesto 4.11.2016, 16:33 
Se la repressione da parte dello stato nei confronti di ricercatori e accademici è sempre esistita, oggi la libertà accademica sembra essere particolarmente in pericolo in tutto il mondo. In Turchia, migliaia di studenti, professori e ricercatori sono vittime di una vera e propria persecuzione giudiziaria per aver firmato una lettera aperta contro l’intervento militare del governo turco nelle regioni curde del paese. In Egitto, il colpo di stato militare del luglio 2013 ha scatenato un’ondata repressiva contro accademici e ricercatori sospettati di simpatie con sindacati, movimenti studenteschi e i Fratelli Musulmani. In Russia, diversi istituti di ricerca sono stati chiusi con l’accusa di ospitare agenti stranieri, mentre in Italia una ricercatrice è stata condannata per «complicità morale» con i reati perpetrati dal movimento sociale che ha studiato nella sua tesi di laurea. Di recente, in Italia, anche la ricerca scientifica sembra essere rischiosa, come indica la condanna della studiosa del movimento No Tav. 
In genere, un crescente autoritarismo, unito a nuove forme di sorveglianza e di repressione rese possibili dall’abbondanza di dati, rende la posizione dei ricercatori impegnati su questioni sensibili sempre più pericolosa. Allo stesso tempo, repressione e sorveglianza devono indurre ad una ulteriore riflessione sulla responsabilità di studiosi e ricercatori rispetto ai dati personali che raccolgono, all’anonimità e riservatezza delle fonti e alla sicurezza degli intervistati. La riflessione sul nostro ruolo di ricercatrici e ricercatori, in un momento di crescente restringimento della libertà accademica, è importantissima da punto di vista civile, politico e accademico. È fondamentale trovare modi per aiutare chi è maggiormente esposto a questa repressione, ma anche ragionare su come difendere la nostra integrità di studiosi e come realizzare i principi etici che dovrebbero essere alla base del nostro lavoro. 
Come studiosi di movimenti sociali sappiamo che spesso, ai cicli di protesta seguono momenti di cambiamento, ma anche di resistenza al cambiamento. Questa chiusura di spazi di libertà di ricerca si presenta con maggiore gravità per studiosi di alcuni paesi, ma anche per studiosi di alcune tematiche e per chi usa alcune metodologie. Per quanto riguarda le aree geografiche maggiormente colpite, è molto grave che la repressione sia fortissima in regimi (come quelli che si sono affermati in Egitto o in Turchia) che i nostri governi si ostinano a considerare amici. Per quanto riguarda le tematiche, soprattutto la ricerca su alcuni paesi e su alcuni attori (come i movimenti sociali) è sottoposta a limiti crescenti. Per quanto riguarda le metodologie, la ricerca con metodi qualitativi «sul campo» è sottoposta a crescenti pressioni. In queste situazioni, il rischio, comune per tutte e tutti, è una riduzione della ricchezza del sapere. È importante dunque che si moltiplichino le iniziative di condivisioni e approfondimento su come difendere la libertà di ricerca. 
Qual è lo stato dell’arte della libertà accademica e della repressione nel mondo? Come si possono affrontare le nuove forme di sorveglianza da parte delle autorità accademiche, di polizia e dello Stato? Queste domande verranno indagate oggi a Firenze, alla Scuola Normale Superiore, Istituto di Scienze Umane e Sociali (Palazzo Strozzi, dalle 16). L’incontro affronterà la questione della repressione nel mondo accademico dal punto di vista di studiosi, professionisti e attivisti dei movimenti sociali.
Si discuterà di come sviluppare nuove forme di resistenza all’interno e all’esterno delle università, con l’obiettivo di delineare delle linee guida per studiosi e attivisti che si confrontano con la sorveglianza e la repressione nel mondo della ricerca e dell’università. Fra i relatori, Joseph Saunders (Human Rights Watch); Francesca Coin (università di Venezia); Jannis Grimm (Freie Universität Berlin); Kevin Köhler (The American University in Cairo); Ilyas Saliba (Wzb Berlin).
Sarà possibile seguire la diretta streaming dalla pagina YouTube della Scuola Normale Superiore e dal suo portale: http://www.sns.it/eventi/policing-research

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