giovedì 17 novembre 2016

La guerra neoliberale alla democrazia secondo Dardot e Laval. Intenso dibattito tra le moltitudini cognitarie negrier


Pierre Dardot e Christian Laval: Guerra alla democrazia, DeriveApprodi, pp. 140, euro 15

Risvolto
La parola «crisi», utilizzata negli ultimi trent'anni per indicare un meccanismo oggettivo indipendente dall'azione umana, maschera di fatto la realtà di una guerra politica portata avanti da diversi attori, privati e pubblici, nazionali e globali. Da questo punto di vista la politica, in quanto esercizio del potere, non è nient'altro che la forma con la quale viene instancabilmente portata avanti la guerra tra classi da parte dell'oligarchia politico-finanziaria. Questa guerra ha per posta in gioco l'organizzazione della società e per strumento l'economia. Ha l'obiettivo di trasformare, talvolta distruggere, le istituzioni sociali che garantivano una relativa autonomia individuale, famigliare, e più in generale collettiva di fronte al mercato del lavoro e alla subordinazione nei confronti del capitale. Gli argomenti di moralità sulla «virtù» dell'austerità nascondono a stento l'obiettivo principale: indebolire fino a far scomparire tutto ciò che ha consentito agli individui, soprattutto a partire dalla metà del XX secolo, di non stare completamente in balìa del capitale e del mercato. Questa guerra ha come effetto più complessivo quello della disattivazione di qualunque capacità di azione collettiva autonoma della società. Il neoliberismo è così attivamente impegnato a sfasciare la democrazia. Imponendo lentamente, pezzo dopo pezzo, una cornice normativa globale che assolda individui e istituzioni dentro una logica implacabile volta a demolire le capacità di resistenza e di lotta. Una logica che nel tempo non si indebolisce, bensì si rafforza. È questa natura antidemocratica del sistema neoliberale a spiegare la spirale della crisi economica che attraversiamo.
Un continente prigioniero nella soffocante gabbia dell’austerità 
SAGGI. Un volume di Pierre Dardot e Christian Laval sull’oligarchia politica europea 
Benedetto Vecchi Manifesto 17.11.2016, 20:28 
È un libro nato su un’emergenza politica, quella dovuta alla crisi dell’assetto istituzionale dell’Unione europa e dall’impossibilità di un ritorno alla sovranità nazionale come argine alle politiche di austerità. Pierre Dardot e Christian Laval vedono in questa crisi il sintomo di una strisciante Guerra alla democrazia, come recita il titolo di questo saggio – da oggi in libreria per DeriveApprodi (pp. 140, euro 15) – che può essere letto come appendice indispensabile alle tesi che i due filosofi francesi hanno sviluppato ne La nuova ragione del mondo e in Del comune, entrambi pubblicati da Deriveapprodi. In quei testi, Dardot e Laval mettevano al centro della loro riflessione l’emergere di una nuova forma delle relazioni sociali incardinate nella figura dell’individuo proprietario e in un rinnovato ruolo dello Stato nell’esercitare una governance sugli stili di vita contemporanei. 
SAGGI AMBIZIOSI, dunque, che muovevano dalla convinzione che lo Stato più che dissolto dallo spirito del tempo, cambiava il suo ruolo attraverso un doppio movimento politico e istituzionale. Cedeva parte della sua sovranità a organismi internazionali, ma veniva legittimato da questi ultimi in quanto entità politica preposta al rispetto di compatibilità economiche e sociali definite in un altrove da quello dei parlamenti nazionali. Ciò non significava che lo stato nazionale non avesse una relativa autonomia nell’esercitare il potere su un dato territorio, ma che la sua fosse una sovranità di secondo grado rispetto quella sovranazionale, mentre veniva meno l’equilibrio – the balance of power per gli anglosassoni – tra potere legislativo, potere giudiziario e potere esecutivo che ha caratterizzato il Politico nella modernità. Nel neoliberismo il potere legislativo perde terreno (la crisi della democrazia rappresentativa ne è il simbolo più evidente), mentre il potere esecutivo e giudiziario ne acquistano, chiamati entrambi a garantire stabilità, non senza conflitti tra essi, e rispetto dei diktat delle politiche di austerità. 
DARDOT E LAVAL si muovevano cioè in quella terra di mezzo rappresentata dalla biopolitica e dalla trasformazione del modo di produzione capitalistico velocemente liquidata dalla sinistra politica, divisa tra una nostalgia per le politiche keynesiane novecentesche e la subalternità dal dogma neoliberista del mercato come regolatore ottimale dei rapporti sociali.
La crisi del 2008 è stata salutata da molti studiosi, compagni di strada nella critica alle crescenti disuguaglianze sociali (Thomas Piketty e Jospeh Stiglitz), come inizio della fine del neoliberismo e dell’apertura di nuovi spazi politici per una inversione di tendenza non solo a livello locale, ma anche globale. In questo saggio Dardot e Laval contestano però tale tesi. Per i due filosofi francesi il neoliberismo si è radicalizzato e al tempo stesso rafforzato. 
LE POLITICHE DI AUSTERITÀ è ormai mantra e dogma di ogni intervento sovranzionale e locale. Il pareggio di bilancio è stato imposto a livello europeo anche nelle costituzioni nazionali, mentre ad altre latitudini ci pensano organismi internazionali come il claudicante Wto, il sempreverde Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale.
Quello che però Dardot e Laval hanno come obiettivo è di vedere come si manifesta la guerra alla democrazia. Con un parallelismo implicito viene evocata quel passaggio, quell’osmosi tra democrazia e oligarchia messi a fuoco secoli fa da Aristotele nella Politica.
Come è noto, Aristotele scrisse della trasformazione dal governo dei molti al governo dei pochi come deviazione, degrado della democrazia. Nel neoliberismo l’oligarchia, oltre a mantenere inalterati i rapporti di potere tra le classi, è la forma indispensabile per gestire l’emergenza sociale – aumento della povertà, ma anche aumento della diffusa e frammentaria conflittualità sociale, che assume spesso le forme di una guerra civile molecolare, usando qui la formula del poeta e intellettuale tedesco Hans Magnus Enzesberger per indicare la crescita di questa microconflittualità spesso violenta – che caratterizza il capitalismo contemporaneo. Non c’è però nessun invito a seguire sentieri che conducono nel nulla (l’evocazione al limite del reazionario della figura del popolo), ma di avventurarsi nel terreno inesplorato dell’immaginare forme inedite di democrazia radicale che abbiano al centro la riappropriazione di quel comune già espropriato dal capitale. 
GUERRA ALLA DEMOCRAZIA si concentra ovviamente sull’Europa, le sue convulsioni e i suoi punti di crisi. L’umiliazione della Grecia, l’imposizione dell’austerità, l’incapacità di svolgere un ruolo rilevante negli equilibri di potere a livello globale, la guerra ai migranti con l’innalzamento di nuovo muri e frontiere per scongiurare una immaginaria invasione culturale islamica. E soprattutto la «guerra» contro il lavoro vivo, che ha nello smantellamento dei diritti sociali di cittadinanza l’ambìto trofeo del corporate power, come testimoniano la loi du travail francese, l’italiano Jobs Act, il famigerato Hartz IV tedesco e quella micidiale trappola burocratica del workfare messa su schermo da Ken Loach nel magistrale Io Daniel Blake. 
UN SAGGIO PARTIGIANO dunque, questo di Dardot e Laval, da usare come antidoto a chi invoca populismi tinteggiati di rosso per «sovvertire la società del capitale». Meglio infatti inoltrarsi nel terreno della sperimentazione politica e sociale invece che indicare nel livore e nel risentimento di un indistinto esercito di ceto medio impoverito il punto di rottura del Beemoth neoliberista. Sarà una lunga marcia, certo, ma preferibile a scorciatoie che si rivelano solo vicoli ciechi della prassi teorica e politica

Il respiro breve di un pamphlet
Intervento. I limiti di un saggio «Guerra alla democrazia» firmato da Pierre Dardot e Christian Laval per DeriveApprodi
Sandro Mezzadra Manifesto 31.12.2016, 16:27
«La vittoria del fascismo», scrivono Pierre Dardot e Christian Laval nelle prime pagine del loro Guerra alla democrazia. L’offensiva dell’oligarchia neoliberista (DeriveApprodi, trad. di Ilaria Bussoni, pp. 142, 15 euro), «è una possibilità con cui dobbiamo fare i conti. E nessuno potrà dire ‘noi non sapevamo’». È un’affermazione che condivido, pur non avendo qui lo spazio per qualificarla e precisarla, come sarebbe necessario. Dà in ogni caso il senso dell’urgenza politica che pervade il testo dei due autori francesi. A differenza dei ponderosi volumi da loro scritti negli ultimi anni – La nuova ragione del mondo. Critica della razionalità neoliberista e Del Comune, o della Rivoluzione nel XXI secolo (entrambi editi da DeriveApprodi), a cui va aggiunto Marx, Prénom Karl (Gallimard, 2012) – questo nuovo libro è una sorta di manifesto, un lungo pamphlet pensato e scritto come un intervento direttamente politico. Vale la pena dunque di discuterlo in quanto tale, anche tenendo presente la notevole influenza che in particolare La nuova ragione del mondo ha esercitato nel dibattito italiano.
LO SFONDO di Guerra alla democrazia è definito dal processo di radicalizzazione e rafforzamento del «neoliberalismo» negli anni successivi all’inizio della grande crisi economica e finanziaria nel 2007/8. È un processo che andrebbe indagato sulla scala globale che il «neoliberalismo» ha assunto come riferimento fondamentale fin dalla sua origine. Qui tuttavia, coerentemente con i loro obiettivi, Dardot e Laval si soffermano in particolare sull’Europa. Centrale è per loro, del tutto comprensibilmente, la «lezione greca», ovvero la sconfitta del tentativo di Syriza – nella prima metà del 2015 – di rompere politicamente con la continuità neoliberale dell’austerity. Il giudizio è molto netto: «vista da oggi, la partita sembrava truccata. La lezione greca dimostra che nessuna inflessione può venire davvero dall’interno del gioco istituzionale europeo, proprio per la forza del ricatto che viene esercitato sui recalcitranti nei confronti della linea dominante».
QUESTO «RICATTO» ricapitola nella prospettiva di Dardot e Laval i capisaldi del neoliberalismo (in particolare nella sua variante «ordoliberale»), esasperandone le caratteristiche «anti-democratiche» e «oligarchiche». Sono qui ripresi i tratti fondamentali della ricostruzione «genealogica» del neoliberalismo proposta – innestando significative integrazioni e correzioni su una traccia foucaultiana – in La nuova ragione del mondo.
Con quel libro Dardot e Laval hanno contribuito a «spiazzare» l’immagine dominante a «sinistra» del neoliberalismo, criticandone in particolare l’interpretazione puramente «negativa» (smantellamento delle regole, riduzione dei margini d’azione dello Stato). Il neoliberalismo è piuttosto a loro giudizio «una forma di potere positiva e originale», capace di plasmare le «forme di vita» e le «condotte» sincronizzandole alla «logica del capitale». Il nuovo libro di Dardot e Laval è in particolare molto efficace nell’analizzare il radicale svuotamento della democrazia rappresentativa che si è determinato negli ultimi anni in Europa, nel segno dell’affermarsi di quel «nuovo concetto di sovranità» di cui parlò nel dicembre 2011 (dopo la destituzione di Papandreu in Grecia) l’allora presidente della Bce Jean-Claude Trichet.
Il fatto è, tuttavia, che la parte «propositiva» del manifesto di Dardot e Laval, interamente ritagliata attorno a un’intransigente «rivendicazione di democrazia», non mi pare davvero all’altezza delle stesse sfide indicate nella parte analitica. Il problema, del resto, era già presente – sotto il profilo teorico – in La nuova ragione del mondo, dove gli stessi Dardot e Laval scrivevano che «che è più facile evadere da una prigione che uscire da una razionalità».
ORA, CHIUNQUE ABBIA VISTO ad esempio Papillon sa che per progettare un’evasione è fondamentale lo sguardo che si getta ai muri della propria prigione. E ho l’impressione che la particolare interpretazione della categoria foucualtiana di «governamentalità» proposta da Dardot e Laval finisca per fare velo alle crepe di quei muri ben più di quanto non contribuisca a individuarle e ad allargarle. Tanto è vero che i riferimenti alla «promozione di forme di soggettivazione alternative» e alle «contro-condotte» come terreno di lotta e resistenza, nelle ultime pagine di quel libro, lasciava un po’ spiazzati. Né il successivo Del comune ha contribuito a risolvere il problema di comprendere – per dirla nel modo più semplice possibile – da dove e come possano emergere queste contro-condotte capaci di definire un’alternativa al neoliberalismo.
Abbiamo ora, in un testo più esplicitamente politico, una risposta a questo problema? «L’unica alternativa possibile al neoliberalismo», scrivono in Guerra alla democrazia Dardot e Laval, «parte dall’immaginario». Ok, suona bene «immaginario». Né mi sogno di contestare la potenza politica dell’immaginazione – al contrario. Ma questa potenza dovrà ben essere materialmente qualificata e impiantata in processi sociali e politici determinati – dovrà essere nutrita da e a sua volta nutrire lotte. Qui si parla di un «blocco democratico internazionale», di una «federazione europea e mondiale» di «coalizioni democratiche». Se ne può dire qualcosa di più?
I LORO «CONTORNI programmatici» non si possono definire, perché – ci informano i due autori in modo un po’ sorprendente – «averne la pretesa significherebbe contravvenire al principio stesso della democrazia». Si può dire allora qualcosa sulla loro composizione e organizzazione? Solo in negativo, sembrerebbe: occorre «rompere una volta per tutte con la logica del partito e degli spauracchi della rappresentanza». Alla fine, tuttavia, proprio nell’ultima pagina del libro un paio di regole «non negoziabili» vengono pur sempre formulate: la «rotazione delle cariche» e la «non rieleggibilità nelle funzioni pubbliche». Chissà che ne direbbe, in Italia, il movimento 5 stelle…
Vi sono molti passaggi interessanti e originali in Guerra alla democrazia, ad esempio la ripresa della definizione aristotelica di democrazia come potere dei poveri, e dunque di «una parte della polis». Ripeto tuttavia che lo svolgimento di una proposta politica che si vorrebbe radicalmente democratica, federativa e cooperativa è davvero molto debole, se non evanescente, in questo libro. Completamente eluso, in particolare, rimane nella «pars construens» il problema del potere – della costruzione di un rapporto di forza che consenta appunto di «immaginare» (e dunque di praticare) un’«alternativa possibile».
DARDOT E LAVAL sono autori di libri importanti, sono schierati politicamente da quella che io considero essere la «parte giusta». La loro critica, sulla base di un’analisi realistica di quel che è diventato lo Stato nel tempo neoliberale, di ogni «statualismo» e «nazionalismo» di sinistra è oggi davvero preziosa in Europa – così come la loro insistenza sulla necessità di tenere aperta la «questione europea» pur criticando a fondo l’Unione europea «per come esiste oggi». E trovo condivisibile la loro insistenza sull’importanza, nella prospettiva di una reinvenzione dell’«internazionalismo», di un lavoro sulle norme e sulle istituzioni del «comune».
SE DARDOT E LAVAL criticano tuttavia con qualche ragione gli approcci «economicistici» alla crisi contemporanea in Europa, a me pare che il loro approccio sconti un «riduzionismo» di segno opposto – finendo per nutrire una teoria della «pura politica», dove il riferimento alla democrazia appare svuotato di ogni determinazione materiale. A me pare, al contrario, che la teoria politica di cui abbiamo bisogno oggi – come esito di un lavoro collettivo in cui Dardot e Laval sono interlocutori fondamentali – debba necessariamente articolarsi con una nuova critica dell’economia politica. Letta in una chiave politica, e rinnovata a fronte dell’attuale realtà del capitalismo, una categoria «antica» – quella di lotta di classe – potrebbe mettere al riparo da ogni rischio di «riduzionismo», tanto «economico» quanto «politico».
La versione integrale di questo articolo si può leggere nel sito www.euronomade.info

Le illusioni di Dardot e Laval
Intervento. Le proposte di una cittadinanza sovranazionale dei due filosofi francesiMaurizio Ricciardi Manifesto 31.12.2016, 17:12
La ricerca di Pierre Dardot e Christian Laval si misura con la forza del neoliberalismo, cercando di individuare le condizioni di un’opposizione praticabile e realistica. Essi rifiutano la via dello Stato nazionale – quindi la rappresentanza e il sistema dei partiti – sapendo che non permette di acquisire un potere sovrano capace di opporsi al capitale transnazionale e alle decisioni delle istituzioni finanziarie. La strada che battono è quella di una democrazia in grado di sostenere un’azione politica su scala mondiale e rispettare la pluralità delle forze che si oppongono al neoliberalismo.
Nella transizione che stiamo vivendo la democrazia si presenta come crisi, come un sistema che inibisce ulteriori processi di democratizzazione impedendo a nuovi soggetti di prendervi parte e limitando gli ambiti d’azione di chi vi è incluso. Essa è perciò lontana tanto dal populismo quanto dal fascismo, che necessitano di qualche forma di mobilitazione. La crisi non riguarda il sistema politico, che funziona proprio per impedire che essa deflagri. Il neoliberalismo produce una nuova forma di governo che si fonda sulla tensione costante a cui sottopone la società. Basandosi su processi di soggettivazione individuali, esso è costretto a limitare costantemente e con ogni mezzo lo sviluppo di quelli collettivi.
Affinché la democrazia sia uno spazio di azione politica, il problema di chi ne è il soggetto va posto dentro alla stessa democrazia per disinnescarne la logica universalistica. Per non ridurla a una strategia difensiva contro le oligarchie e i loro abusi bisogna determinare le posizioni soggettive capaci di «istituire» uno spazio di iniziativa politica autonomo, cioè di scegliere i punti di impatto con le altre forze che attraversano quello spazio. Dardot e Laval delineano puntualmente il campo di forze in cui il progetto democratico si pone, ma non nominano mai i suoi soggetti. I poveri, la cui presenza sarebbe decisiva sin dai tempi della democrazia greca, scompaiono dopo le prime pagine, ed è lecito chiedersi se la democrazia praticabile nello Stato globale non debba essere pensata al di fuori della sua stessa tradizione.
In maniera persino sorprendente Dardot e Laval scelgono di non attraversare le contraddizioni che il capitalismo produce, ma di muovere direttamente dalla composizione delle risposte politiche esistenti al potere delle oligarchie. Possono così scrivere che l’Europa può essere rifondata solo da una cittadinanza democratica transnazionale, ovvero dagli stessi cittadini europei. Non tutti gli individui che vivono in Europa, però, sono cittadini. Salvo mio errore, i migranti non sono mai nominati. Se dall’Europa si passa al piano globale, parlare di cittadini o degli appartenenti alla società rischia di reintrodurre l’universalismo che si voleva criticare denunciando la logica della rappresentanza.
La stessa proposta della coalizione antioligarchica corre questo rischio, perché ha come riferimento una condizione generalizzata e non le condizioni materiali di esistenza che determinano l’esplosione delle lotte. La coalizione non può essere l’opposto simmetrico dell’oligarchia, ma può solo assumersi il rischio politico di esprimere una logica di parte. Questa dovrebbe esprimere la pratica di un comune politico che non si limiti all’articolazione di beni pubblici e democrazia partecipativa. Se non vuole essere un ingranaggio dello Stato globale, la democrazia come governo deve essere all’altezza del processo paradossale che, mentre punta a istituzionalizzare il movimento che la produce, contribuisce a decostituzionalizzare lo Stato di cui pure fa parte.
Una versione più estesa di questo commento è sul sito internet: connessioniprecarie.org

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