domenica 20 novembre 2016

Pubblicate le lettere di Poust a Polignac

Marcel Proust: Lettres au duc de Valentinois, Gallimard

Risvolto
Retrouver des lettres inédites de Proust est toujours un événement. Plus encore lorsqu’elles s’adressent à un personnage public, Pierre de Polignac devenu Pierre de Monaco, duc de Valentinois, et personnage d’À la recherche du temps perdu sous les traits du comte de Nassau. Proust a connu, sans doute grâce à Paul Morand, le jeune Pierre en 1917. Comment ne pas s’intéresser à un si bel homme, cultivé, descendant d’une des plus vieilles familles françaises et bientôt marié à la princesse héréditaire de Monaco? Ces lettres, tour à tour touchantes, drôles et pétillantes d’intelligence, racontent l’histoire de cette relation et de sa rupture. 

Ces caractères si difficiles à déchiffrer, tracés à la hâte par un grand malade (il mourra deux ans plus tard), révèlent, comme les bons romans, tous les mouvements de la séduction et de la passion qui ne peuvent s’expliciter, une confession interdite, et même une esthétique : comment aider Pierre de Polignac (et bien d’autres) à devenir écrivain?


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TRE anni fa, nel 2013, è stato celebrato il centenario della pubblicazione di Dalla parte di Swann, il primo dei sette volumi di Alla ricerca del tempo perduto. Poi apparsa al completo nel 1929, quando Marcel Proust era morto da sette anni. Ancora oggi, dopo quasi un secolo, scoperte soltanto in apparenza marginali consentono di misurare quanto di quel che gli accadeva nel quotidiano lo scrittore riversasse nel suo romanzo. Sono conferme della grande rivincita proustiana sulla vita. È come se per lui, nella letteratura, si realizzi quel che non gli riesce nell’esistenza ordinaria. La mondanità esplorata nei riti, nei personaggi, nei mutamenti sociali, e l’amore seguito lungo il tormentato percorso dalla passione alla gelosia, all’abbandono, rivivono nelle sue pagine.
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Di questa trasposizione sono ulteriori e preziose testimonianze le cinque lettere inedite di Proust al giovane Pierre de Polignac e un’ altra a Robert de Montesquiou (“Lettres au duc de Valentinois”, Gallimard) pubblicate con l’analisi di un meticoloso e brillante detective letterario, Jean-Marc Quaranta.
Il quale, prima di accompagnarci nella lettura dell’epistolario riemerso, ci ricorda come Marcel Proust abbia sostenuto, contro Sainte-Beuve, che l’io creatore è ben distinto dall’io sociale. La vita di un artista
non sarebbe, dunque, la chiave per capirne l’opera. Semplificando, era un’ingiunzione dello scrittore ai critici. Ai quali diceva: giù le mani dalla mia esistenza privata, quando siedo in un salotto non sono quello che scrive. Era, la sua, una reazione all’abusata abitudine di leggere l’opera attraverso la biografia dell’autore. Il muro difensivo di Proust, per quel che lo riguarda, non si è però rivelato insuperabile. Non che sia stato demolito del tutto. Della sua esistenza, vissuta (come riassume Jean-Marc Quaranta) tra una reclusione quasi monastica al servizio della letteratura e una sete di mondanità con incontri e scambi col prossimo, tanti angoli sono rimasti nell’ombra o sono stati cancellati dal tempo. La curiosità sempre viva spinge, però, a un’indagine assillante e amorosa. Ed è avido chiunque desideri entrare nell’opera di Proust, e quindi sapere quel che c’è della sua vita nelle pagine dove l’io sociale si nasconde sotto l’ io creatore. Sainte-Beuve, il grande critico dell’Ottocento, è stato quasi dimenticato, ma il metodo che incarnava ha resistito e in particolare per il suo “avversario”.
L’amicizia che si conclude con le lettere scritte nel 1920 e pubblicate soltanto adesso (dopo che l’ attuale principe di Monaco, Alberto II, le ha rese note) era cominciata tre anni prima, alla vigilia della partenza di Pierre de Polignac per Pechino. A ventidue anni il figlio del conte Maxence de Polignac e di Suzanne de la Torre y Mier debuttava nella carriera di diplomatico. I primi contatti con Proust non erano stati facili. Il giovane nobile, discendente di un antico casato, descritto come bello e seducente, non deve essere stato attirato a prima vista dallo scrittore di quarantasei anni e dall’aspetto piuttosto malandato. Ma poi sono prevalse le qualità intellettuali e personali e tra i due è nata un’amicizia, favorita dai mecenati della famiglia di Pierre, nipote di Edmond de Polignac e di Winaretta Singer, due artisti che Marcel frequentava. Nel 1920, l’anno della rottura, Pierre de Polignac si sposa con la duchessa di Valentinois, nipote adottiva del principe di Monaco, e cessa di essere il conte di Polignac per diventare il duca di Valentinois. Ed è a quel punto che nasce il litigio tra i due amici. I motivi che l’avrebbero provocato possono essere stati tanti: la non risposta di Pierre all’invito di Marcel ad acquistare un’edizione di lusso di All’ombra delle fanciulle in fiore; lo scrittore lo considera un imperdonabile sgarbo; il silenzio di Pierre ai ripetuti messaggi di Marcel; un appuntamento mancato; il matrimonio con la duchessa di Valentinois. Quest’ultimo motivo può apparire il più attendibile, vista la tendenza dello scrittore alle amicizie passionali, e il suo interesse per l’aristocrazia e in particolare per un nobile giovane e bello. L’omosessualità di Proust favorisce quest’ultima interpretazione. Nella bella lettera di venti pagine all’amico perduto scrive: «Caro amico, il suo fidanzamento mi ha dato una grande gioia e un profondo strazio. La prima volta che ho provato simpatia per lei, lei partiva per la Cina; questa volta, nel corso di una grande amicizia, lei parte per sempre».
Jean-Marc Quaranta, il detective letterario, avverte che lo snobismo di Proust era meno acuto di quel che si creda; e che il suo amore era forse più complesso di quello che uno si immagina. Era certamente sedotto dal fascino, dall’intelligenza, dalla finezza dell’amico. Ed è altrettanto probabile che avesse percepito in lui un uomo «distante dal gentil sesso». Il mondano, il lettore di Saint-Simon appassionato di genealogia, era inoltre abbagliato dai titoli nobiliari del conte de Polignac, del duca de Valentinois, del principe di Monaco. Ma ridurre la rottura con Pierre a una collera dello snob o dell’innamorato respinto, significa semplificare la psicologia di un essere che semplice non era. L’amicizia di Proust era ritmata da bruschi, anche violenti cambiamenti d’umore, da improvvisi slanci generosi, da astuzie psicologiche che lasciavano perplessi i destinatari.
Diceva Jean Cocteau che talvolta rimproverava agli intimi intrighi di un machiavellismo contorto, oppure sgarbi cosi assurdi che era impossibile sentirsi colpevole. Bisognava allora fingere di esserlo, stare al gioco, non contraddirlo, e provargli appena possibile la propria innocenza. «È il labirinto del mercanteggiamento orientale senza il quale l’amicizia per Marcel Proust non avrebbe alcun fascino», conclude Cocteau.
Quelle appena rivelate sono senz’altro lettere d’ amore a un nobile giovane e bello, ma sono anche lettere d’amore per la letteratura nella quale Proust vede la sola cosa capace di dare un senso alla vita. E infatti non perde l’occasione per dare, all’amico che sta per perdere, preziosi consigli sull’arte di scrivere. Lo esorta: «Lavori. Scritta in una lettera o in un libro, una frase ha lo stesso valore, e certe sue frasi non mi lasciano dubbi sul suo talento». E cita gli esempi da seguire: quello di Maeterlinck che si accontentò all’inizio di tradurre Novalis; e quello di Fromentin che di una raccolta di lettere fece un libro.
Ma, in questa vicenda che lo ferisce, l’io sociale non può evitare di fondersi nell’io creatore. La vita entra nel romanzo che diventa vita. Poiché Proust sta correggendo le bozze di I Guermantes, terzo volume della Ricerca, prima di mandarle in tipografia arricchisce la descrizione del principe di Lussemburgo, ex conte di Nassau, in cui si riconosce senza alcun dubbio il principe di Monaco, ex conte de Polignac. Il personaggio della fiction, il conte di Nassau, ha sposato «la figlia unica di un principe proprietario di un immenso affare di farina », per questo chiamato “il mugnaio”, il quale fa del genero il gran duca ereditario di Lussemburgo. È chiara l’allusione al matrimonio tra il principe Pierre e Charlotte, figlia naturale del principe Louis e della “commediante” e “guardarobiera” Marie-Juliette Louvet, adottata dai principi Grimaldi di Monaco e fatta duchessa de Valentinois. Proust alterna cattiverie e gentilezze nelle aggiunte al terzo volume della Ricerca ultimato nell’agosto-settembre 1920, la stagione della rottura con Pierre. Racconta aneddoti che ridicolizzano Luxemburg- Nassau, alias Polignac-Valentinois, e subito li smentisce. La ferita non si era chiusa. Ed era a due anni dalla morte. ©RIPRODUZIONE RISERVATA


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