martedì 1 novembre 2016

Soccorso Rosso: nel ricorso Onida l'opposizione per modo di dire di chi vuole solo imporre a Renzi le coalizioni

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Se passa il ricorso Onida referendum nel 2017 e legge proporzionale

Attesa per il giudizio del Tribunale di Milano sul quesito 

Fabio Martini Busiarda 1 11 2016
Una volta ancora una decisione della magistratura potrebbe cambiare il corso della politica italiana. In queste ore il Tribunale civile di Milano sta esaminando il ricorso dell’ex presidente della Corte costituzionale Valerio Onida e al termine potrebbe emettere un’ordinanza con la quale si rimanda alla Consulta la decisione sul possibile «spacchettamento» dei quesiti referendari. L’effetto dell’ordinanza sarebbe clamoroso: il rinvio a data da destinarsi del referendum costituzionale già fissato per il 4 dicembre. La Corte costituzionale, salvo una irrituale e frettolosa auto-convocazione immediata, finirebbe per pronunciarsi in primavera. 
Naturalmente il Tribunale di Milano potrebbe decidere diversamente, rigettando il ricorso, ma è sintomatico che l’approssimarsi della decisione e l’infittirsi di richieste esplicite di rinvio del referendum per l’emergenza-terremoto abbiano indotto il presidente del Consiglio ad intervenire sul tema: «Il rinvio della data è una cosa che per quello che mi riguarda non esiste. Il referendum si tiene il 4 dicembre come abbiamo fissato, nessuno ci ha chiesto peraltro di fare il contrario. E’ una boutade giornalistica».
Ovviamente il governo si tira fuori dalla questione giuridica. Ma è altrettanto vero che - da tempo e in modo informalissimo - in tutti i Palazzi romani, si ragiona sulle possibili conseguenze dell’ accoglimento di un ricorso, la cui fondatezza non è stata mai sottovalutata dagli addetti ai lavori, in quanto presentato da un giurista autorevole e certamente non sprovvisto di intelligenza politica. L’effetto immediato del rinvio alla Corte Costituzionale sarebbe il corposo slittamento di un referendum che, stando a quanto rilevato da tutti gli istituti di sondaggi, a 35 giorni dal voto nelle intenzioni di voto vede in testa il No. Dunque, al momento - anche non potendo affatto escludere un recupero del Sì e dando per buoni i sondaggi - il rinvio potrebbe aiutare Matteo Renzi, che comunque sarebbe chiamato ad «attrezzarsi» per la fase nuova che si aprirebbe.
Ecco perché già da tempo, a palazzo Chigi e non solo, si studia un «piano B». La prima mossa sarebbe quasi scontata: il presidente del Consiglio aprirebbe immediatamente il cantiere della riforma elettorale. E d’altra parte Renzi lo ha detto con grande chiarezza anche in occasione della recente manifestazione del Pd a sostegno del Sì: «Penso che questa legge elettorale vada bene. Ma compito di chi fa politica è ascoltare tutti. Noi non è che abbiamo aperto, abbiamo spalancato ad un accordo». Per fare un accordo che vada bene a tutti - a Grillo e a Berlusconi ma anche a Salvini e ad Alfano e a Bersani - a palazzo Chigi sanno che c’è una via maestra: legge proporzionale con sbarramento alto e - ecco la novità - sfiducia costruttiva. 
La seconda mossa, da quel che trapela, potrebbe riguardare il partito: ferma restando l’intangibilità dello Statuto del Pd che prevede il doppio incarico per una stessa persona- segretario del partito e presidente del Consiglio - Renzi potrebbe aprire alla minoranza interna, prevedendo - tra le altre ipotesi - una «reggenza» del partito affidata a due «vice»: un esponente renziano e uno della minoranza interna. Ad esempio Gianni Cuperlo che in queste settimane ha svolto un ruolo di «garanzia».
Ma il possibile slittamento del referendum è legato alla decisione del giudice della prima sezione civile di Milano Loreta Dorigo su due ricorsi, in particolare su quello presentato da Onida, che ha chiesto di sollevare davanti alla Consulta l’eccezione di legittimità della legge istitutiva del referendum laddove non prevede l’obbligo di scissione del quesito. L’eterogeneità dei temi violerebbe la libertà di voto dell’elettore, chiamato a decidere su «un intero pacchetto senza poter valutare le sue diverse componenti».
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Ecco il partito del rinvio “C’è stato il terremoto”

Busiarda
Un segnale inquietante, il rialzo dello spread di ieri a 152 punti base dovuto all’incertezza sull’esito del voto in Italia, che rievoca fantasmi del passato; e non fa che fornire altri argomenti a chi questo referendum lo farebbe volentieri slittare. 
Per ora è solo un sasso buttato nello stagno, ma col passare dei giorni questa tesi potrebbe fare proseliti. Il partito del «rinvio» del referendum, battezzato ieri con una proposta ufficiale da una testa pensante dei tempi dell’Ulivo come Pierluigi Castagnetti, ex segretario del Ppi considerato da sempre molto vicino a Mattarella, per ora colleziona pochi adepti e molti scettici, ma riesce a innescare comunque un dibattito. Che si iscrive nel solco di una discussione che poggia le basi sulla preoccupazione che questa tornata referendaria contribuisca a scuotere un paese già sofferente per l’ansia da terremoto, la crisi sociale che non passa e il timore di esiti del tutto imprevedibili sulla tenuta economica dopo il 4 dicembre.
«Ci sono tre regioni coinvolte. Decine di migliaia di sfollati. Non riesco a immaginare in quali luoghi si possa votare all’interno delle zone terremotate e con quali scrutatori», fa notare Castagnetti proponendo il rinvio del voto ad altra data. Sostenuto da un’altra figura che fa parte della maggioranza di governo come Maurizio Sacconi, certo che «potrebbe essere utile il rinvio per l’esigenza di evitare un ulteriore motivo di lacerazione». Si unisce Gianfranco Librandi, deputato di Civici e Innovatori, che adduce anche una motivazione economica: «In questo modo si potrebbero destinare alla ricostruzione i circa 300 milioni di euro necessari all’organizzazione del referendum». Il partito del rinvio però vede contrario il premier ma anche Forza Italia e il Pd nelle sue varie declinazioni. «Bisogna essere cauti», è l’invito di Marina Sereni, condiviso dal bersaniano Federico Fornaro, secondo cui «non ci sono le condizioni per una scelta che sarebbe poi tutta da approfondire sul piano del diritto».
[B. C.]

Guerra di sondaggi tra Sì e No I renziani: la distanza si accorcia 

Leopolda dedicata a celebrare i “sì”: dalla fine di Equitalia alle unioni civili 
Carlo Bertini Busiarda 31 1 2016
La guerra dei sondaggi sul referendum è già partita e si preannuncia aspra. In ogni campagna chi insegue deve dare la sensazione di potercela fare per motivare i suoi elettori e conquistarne di altri. 
Il fronte del no dunque guida la volata finale, ma non c’è l’allungo che nel ciclismo consente di dire ben prima del traguardo chi vincerà la tappa, anzi la distanza si accorcia: almeno questa è la vulgata del gruppo degli inseguitori, la squadra del Sì capitanata da Renzi. Dove si ricorda sempre la leggenda del «sorpasso» del Pd ad opera di Grillo, che sarebbe dovuto andare in scena alle europee. E dove tutti sono convinti che il film della gara in corso è un’altro. Perché i sondaggi in mano al premier-segretario sono diversi da quelli secondo cui il No è avanti di quattro, sei o addirittura otto punti. Le rilevazioni riservate commissionate a vari istituti, tra cui Swg, narrano una storia diversa: il distacco tra No e Sì c’è, ma è dimezzato, solo un paio di punti. Il fronte pro-riforma starebbe infatti tallonando quello dei contrari a meno 2 per cento di distanza. 
«Ma il trend è decisamente positivo per noi nell’ultimo mese e le distanze sempre più brevi», dicono i timonieri della nave del Sì. Tradotto, sarebbe in corso quell’inversione di tendenza, quel rimbalzo che dir si voglia, che fino ad ora la maggioranza dei sondaggi non ha registrato. Insomma il Sì cresce e il No è fermo. Sarebbe una sorpresa la forbice che si restringe, nella tendenza che non fa registrare grossi scostamenti da settimane: dove il No è sempre avanti. Negli ultimissimi giorni pare però si siano congelati di nuovo i due fronti, senza crescere o scendere nessuno dei due, dato che preoccupa di nuovo la war room del leader. 
E se la maggioranza degli elettori crede che il referendum sia una consultazione a favore o contro Renzi e il governo, stando al sondaggio Demos riportato da Repubblica, la convinzione del premier è assai diversa. Tanto che nel prossimo week end farà celebrare tutti i Sì collezionati dal governo della generazione «leopoldina»: dalla legge sull’omicidio stradale fino alla «rottamazione» di Equitalia, passando per la legge sulle unioni civili. La volata finale sarebbe dunque ancora apertissima e per questo il premier continua a spendersi a perdifiato, con una sola pausa ieri per via del terremoto. E un contatto ravvicinato tra le due guarnigioni del Sì e del No ci sarà proprio alla Leopolda, teatro anche quest’anno di contestazioni, già organizzate da settimane dal fronte anti-governativo.
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UNO SCIAME SUL REFERENDUM 

STEFANO FOLLI Rep 1 11 2016
SULLO sfondo della tragedia che ha colpito le popolazioni dell’Appennino, si sono infittite per almeno 24 ore le voci che ipotizzano un rinvio del referendum: dal 4 dicembre alla fine dell’inverno, verso quella primavera che in Italia è da sempre la stagione propizia per votare.
QUESTO consentirebbe alle pubbliche autorità di concentrarsi sull’emergenza in atto — e che nessuno è in grado di prevedere quando finirà — , mettendo tra parentesi la grande distrazione collettiva rappresentata da una scadenza peraltro imposta dalla Costituzione. Scadenza che dalla metà di maggio sta monopolizzando il dibattito pubblico fin quasi a paralizzarlo, soprattutto a causa dell’instancabile protagonismo del presidente del Consiglio.
Ieri sera il premier ha tagliato corto, smentendo l’ipotesi in modo netto. E ha fatto bene perché si stava creando quella tipica zona grigia in cui il verosimile tende a diventare vero. Peraltro l’operazione era tutt’altro che campata in aria. Lo dimostrano due indizi ben precisi. Il primo è il richiamo dello stesso Renzi alla responsabilità nazionale dopo il nuovo terremoto. Richiamo rivolto alle opposizioni, è ovvio, affinché abbassino il tono delle polemiche quotidiane e s’impegnino a creare un clima di maggiore collaborazione in Parlamento e nel paese. Sono parole abbastanza inusuali sulla bocca del premier, uomo che d’istinto tende a dividere più che a unire, ma non sono cadute nel vuoto. Se si tratta di intervenire per agevolare le misure di soccorso e predisporre la ricostruzione, persino Grillo ha dichiarato un certo grado di disponibilità. Lo stesso hanno fatto gli esponenti di Forza Italia, da Brunetta a Gasparri. Ma è solo questo che interessa a Renzi? Ridurre le polemiche per semplificare gli aiuti agli sfollati?
Molti, magari a torto e con una punta di malizia, vedono nell’uscita del premier un tentativo legittimo di servirsi del clima di unità per disinnescare le tensioni referendarie a tutto vantaggio del “Sì”. È noto, del resto, che le calamità naturali tendono a riunire il paese dietro chi governa, purché questi dimostri efficienza e serietà nell’azione di soccorso. E stavolta, a differenza del 1980 in Irpinia, il vertice istituzionale ha dato pieno sostegno all’esecutivo. Mattarella ha insistito sulla coesione nazionale in perfetta sintonia con Renzi: l’opposto esatto di quanto avvenne 36 anni fa, quando la veemenza di Pertini di fronte alla devastazione si risolse in una delegittimazione del governo di allora, guidato da Forlani.
È a questo punto che si inseriscono le voci a favore del rinvio del referendum. Con una logica facile da interpretare: se l’atmosfera di solidarietà attenua i contrasti e svelenisce la campagna elettorale, è possibile fare un passo in più e rimandare la consultazione a tempi migliori. Ciò aiuterebbe la fase dell’emergenza e allontanerebbe anche il rischio di una vittoria del “No” in dicembre, vittoria che oggi la maggior parte dei sondaggi lascia intravedere. E il “No”, pur senza i drammi che vengono evocati, comporterebbe un certo numero di conseguenze politiche e istituzionali. Non è strano che a Roma tale prospettiva produca dubbi e interrogativi. Il fatto che a sollevare la questione del rinvio sia stato Castagnetti, figura autorevole ed equilibrata della sinistra cattolica oggi nel Pd, è significativo.
Castagnetti ha senza dubbio agito di propria iniziativa e non è quindi appropriato ricordare in questa circostanza i rapporti di amicizia che lo legano a Mattarella. Tuttavia la sua mossa è servita a saggiare il terreno e non a caso è stata poi rilanciata dal centrista Sacconi. Troppo poco per creare una massa critica, abbastanza per alimentare qualche speculazione. Renzi, come si è detto, in apparenza ha chiuso la porta. E si capisce. Se davvero il governo scegliesse la strada del rinvio, avrebbe il consenso della sua maggioranza, ma scatenerebbe una brutale reazione dei vari segmenti dell’opposizione. E c’è da credere che per lo stesso Berlusconi sarebbe impossibile spezzare una lancia in favore di Renzi, dovendo fronteggiare la ribellione di leghisti e Fratelli d’Italia.


Leopolda e duelli tv cambia la campagna verso il referendum 
Renzi ridimensiona la kermesse fiorentina che parte venerdì Il guru Messina: un’altra manifestazione prima del 4 dicembre

GOFFREDO DE MARCHIS Rep 31 10 2016
ROMA. Cambierà la Leopolda, il prossimo week end, e per un attimo si era pensato persino di annullarla. Comunque sarà ridimensionata., nella sua parte scenografica. Sono state cancellate tutte le iniziative di campagna referendaria e verranno ripristinate solo dopo aver sistemato i meccanismi dell’emergenza.
Chi ha parlato con Matteo Renzi, ieri, lo ha sentito molto preoccupato, colpito dalle immagini e dalle notizie che arrivano dai luoghi terremotati e agitato per la sorte degli sfollati che ora sono diventati un problema con numeri enormi.
Il premier doveva andare a casa due giorni, per il ponte. Anche il ritorno a Pontassieve è stato annullato. Ma cambia tutta l’agenda in vista del referendum. Per la natura delle questioni che riguardano le aree colpite, per il clima che c’è nel Paese, per il rispetto che si deve a chi ha perso tutto. Già ieri mattina Renzi ha sentito i suoi collaboratori più stretti, quelli con cui da anni organizza l’appuntamento di Firenze alla Stazione Leopolda, luogo simbolo del renzismo. «Dobbiamo rivoluzionare l’evento. Cambiare la scaletta ». Ci sentiamo domani, cioè oggi, è stato il suo congedo. Non potrà essere il solito happening con i video, i testimonial, la musica, a metà strada tra il convegno politico e la festa. Sarà un’altra cosa, con un tono completamente diverso perché il sisma assume i contorni di una tragedia sempre più grande, in un territorio ancora più grande e non è finita dopo il 24 agosto, il giorno della scossa ad Amatrice, Arquata e Accumoli. La suggestione di rinviare la Leopolda si è affacciata nelle stanze di Palazzo Chigi, soprattutto nei minuti che hanno seguito la “botta” delle 7,41 . Per il momento il rinvio è escluso ma i danni in termini materiali e sulla vita degli sfollati sono ancora da valutare. I commenti sulla manifestazione di Piazza del Popolo, le polemiche sulle presenze (meno delle previsioni), sui costi alti (1 milione secondo alcuni calcoli) e le critiche della minoranza sono passati in secondo piano.
Se in qualche modo la situazione tornerà alla normalità e alla messa al sicuro delle popolazioni terremotate, Renzi riprenderà la sua campagna per il 4 dicembre. Prende in considerazione solo tre scontri televisivi, se i competitor sono disponibili: Grillo (solo lui, né Di Maio né Di Battista), Berlusconi e D’Alema. Ma come cambierà il suo atteggiamento? La rivoluzione della Leopolda è già un segnale che va ricalibrato il messaggio e il tono della sfida a i sostenitori del No. A Palazzo Chigi non prendono in considerazione l’ipotesi di Pierluigi Castagnetti su un rinvio delle urne per la riforma costituzionale. Ma non si nascondono che proprio nell’ultimo mese, quello decisivo per il risultato finale, si dovrà trovare un linguaggio e un messaggio nuovi per affrontare la battaglia referendaria. Lo spin doctor americano Jim Messina ha suggerito un’altra manifestazione del Pd a ridosso del voto. Un’idea che convince Renzi, ma adesso si pone il tema di come organizzarla, con quale parola d’ordine.
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