Tra Torino e New york
Ada Treves Busiarda
Sono diversi i percorsi che hanno portato all’uscita, a distanza di poco più di un anno, dell’edizione americana e poi italiana delle Opere complete di Primo Levi, segno entrambe in un interesse che non scema. Differenti anche i profili delle persone che vi hanno lavorato: Ann Goldstein, apprezzata traduttrice e redattrice del New Yorker, oltre che ricercata editor, ha avuto il compito di uniformare la lingua, ritraducendo alcuni testi di Levi e coordinando il lavoro del team che ha lavorato su The Complete Works of Primo Levi (Liveright, 2015). Marco Belpoliti è scrittore e saggista, studioso dell’opera di Levi da decenni, nonché curatore della prima edizione delle Opere, uscita nel 1997, anch’essa per Einaudi. Allo scrittore torinese, di cui ha curato per la stessa casa editrice diverse raccolte di articoli e racconti, ha dedicato anche La prova, narrazione del viaggio compiuto insieme al regista Davide Ferrario sui percorsi de La tregua (uscito per Einaudi è in ristampa per Guanda), e il più recente Primo Levi di fronte e di profilo (Guanda), in cui ha raccolto quanto scritto nel corso di decenni.
È di poche settimane fa l’incontro tra Goldstein e Belpoliti avvenuto negli Stati Uniti in occasione dell’assegnazione del premio italo americano «The Bridge/Il ponte», vinto da Primo Levi di fronte e di profilo, che ha portato sullo stesso palcoscenico due diverse esperienze. Ann Goldstein nel 2004, coinvolta nel progetto dei Complete Works, si è resa conto che raccogliere quanto pubblicato fosse insufficiente. «Si trattava di traduzioni fatte in epoche diverse. In particolare quella di Se questo è un uomo risaliva a cinquant’anni fa. Quando con Bob Weil, il direttore di Liveright, siamo riusciti a contattarne l’autore, Stuart Wolf, abbiamo scoperto che da tempo avrebbe voluto farne una revisione. In altri libri, penso in particolare alle raccolte di racconti, si trovavano testi tradotti in maniere stilisticamente del tutto differenti. Un lavoro molto frammentario». Una frammentarietà inadatta a un lavoro di tale portata. «Abbiamo allora deciso - ha spiegato - di seguire l’edizione delle Opere del ’97, che sapevamo essere in corso di revisione».
Le Opere complete sono in effetti molto più che una revisione, come ha chiarito Belpoliti: «Ho raccolto materiale che era conservato in archivi o da amici di Levi, e ho potuto lavorare sui dattiloscritti delle prime opere, ora accessibili grazie al riordino dell’archivio Einaudi». Nelle note, più di duecento pagine che sono un distillato di vent’anni di lavoro e in cui Belpoliti ha voluto ringraziare il Centro internazionale di studi Primo Levi e i tanti studiosi che si sono dedicati allo scrittore torinese, molte sono le idee nuove con cui, una volta di più, il mondo della critica letteraria dovrà fare i conti. Una in particolare gli è cara: «L’ho realizzato solo a posteriori, ma ora sono convinto che si possa affermare che Se questo è un uomo, sempre considerato un punto di partenza del lavoro di Levi, è invece un punto di arrivo».
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E Primo Levi da testimone si fece scrittore
In una nuova edizione le opere dell’autore di “Se questo è un uomo”
La rilettura, curata da Marco Belpoliti, sottolinea come la letteratura emerga dall’abisso in cui è precipitato l’umanoANDREA BAJANI Rep 17 11 2016
Quando, nel 1976, in occasione dell’uscita dell’edizione scolastica di “Se questo è un uomo”, Primo Levi scrisse un’appendice pensata per rispondere alle domande dei ragazzi, qualcosa cambiò irrimediabilmente. Per la prima volta, cioè, mise più o meno consapevolmente in crisi lo statuto della testimonianza e lasciò che il suo libro entrasse nella letteratura. Che cosa ne è della testimonianza, fu costretto a chiedersi, quando chi legge nasce in un quadro di riferimento completamente mutato, in cui il passato, anche il più tremendo, è una fiction a cui si crede solo per un atto di fiducia? Qual è la verità che, scrivendo, si consegna? A che punto l’uomo di cui Levi parlava ai suoi lettori si sarebbe sganciato dalla contingenza, da quello
sproposito epocale? L’appendice si apriva con queste parole: «Qualcuno, molto tempo fa, ha scritto che anche i miei libri, come gli esseri umani, hanno un loro destino, imprevedibile, diverso da quello che per loro si desiderava e si attendeva ». Era l’inizio di un congedo: la consapevolezza che le sue opere avrebbero avuto lettori futuri a cui non avrebbe potuto rimboccare gli occhi e la memoria con la sua presenza. Fece gli ultimi passi di quella staffetta e passò il testimone, perché a testimoniare la sopravvivenza o meno delle parole e di un mondo sarebbero stati altri.
È per questo, in definitiva, che esiste il corpus delle opere: perché parli in altro modo rispetto al corpo di chi gli ha dato vita, e lo ridefinisca. Ciò che fanno ora le Opere complete di Levi che, a distanza di quasi vent’anni dall’edizione del 1997, Einaudi ripubblica nella cura imprescindibile di Marco Belpoliti e con modifiche di sostanza in un impianto rimasto complessivamente intatto. Belpoliti — che all’autore di La tregua ha dedicato lo scorso anno il monumentale Primo Levi di fronte e di profilo
(Guanda) — consegna un’edizione per certi versi popolare: «Il destinatario ideale delle Opere complete non è tanto lo studioso o lo specialista, bensì il lettore che vuole accostarsi all’intera opera dello scrittore torinese e cercare di capirne il movimento interno, le forme e i criteri di lavoro, senza doversi perdere in un apparato di annotazioni e varianti ». Che pure ci sono, essendo le note ai singoli libri per la maggior parte scritte
ex novo. Levi scrisse l’Appendice per gli studenti e poi decise di accluderla all’edizione per così dire regolamentare, poiché, scrisse, «le domande rivolte dai lettori studenti […] coincidono ampiamente con le domande che ricevo dai lettori adulti». Questa edizione è perfettamente in linea con quello spirito, con però anche aggiunte significative, tra cui la prima edizione di Se questo è un uomo, (quella pubblicata presso l’editore De Silva nel 1947), le versioni radiofoniche dei primi due libri di Primo Levi, la tesi e la sottotesi di laurea del Levi-chimico. Non ultima, una focalizzazione speciale, da parte di Belpoliti, su Il sistema periodico come libro snodo, pietra miliare di quel mestiere di scienziato che contribuì a salvare la vita di Levi nel lager e che si saldò in alcuni libri alla scrittura testimoniale, generando, in quella fusione, lo “scrittore di professione” che Levi accettò di essere dopo la pubblicazione di La chiave a stella.
È con questa edizione, mi sembra, che la prima incrinatura del Levi testimone che egli stesso produsse approntando delle edizioni per i giovani lettori del futuro, si fa completa. A vent’anni dalla sua morte, quella prima pelle resta definitivamente sul sentiero e Primo Levi entra nella letteratura. Lo annota Belpoliti stesso nella sua Avvertenza: «Dopo essere stato considerato un grande testimone […] ora Levi è uno scrittore a tutto tondo, cosa che vent’anni fa, nel 1997, nel momento dell’uscita della prima edizione di queste Opere, non era così certa e assodata”. Questo non dipende, però, paradossalmente dalla “completezza” dell’opera. Non dipende cioè dal fatto cioè che, di queste quasi 3500 pagine, la testimonianza rappresenti soltanto un’esigua porzione, e che abbiano diritto di cittadinanza anche i libri nei quali Levi ha percorso altre strade. Al contrario. A guardare tutti i cerchi che i suoi libri hanno prodotto cadendo come un sasso dentro lo stagno della Storia, si resta sbalorditi da come siano le onde di tre di essi — Se questo è un uomo, La tregua e I sommersi e i salvati — a increspare ancora il mare in cui oggi navighiamo. Il testimone si è ritirato ed è rimasto lo scrittore, ma non è lo sconcerto storico a turbarci. È l’abisso dell’umano che quelle parole ci rovesciano negli occhi e che Primo Levi ha estratto dalla Storia. È da quella estrazione, precisamente, che nasce la letteratura. Ed è in virtù di quella, che nascono e svettano tre cime della letteratura e del pensiero del Novecento. Nonostante il Lager, si potrebbe dire, ma inesorabilmente attraverso di esso. Perché è lì che l’umano e la sua dissoluzione si manifestano in una forma, che l’incandescenza forgia un’opera mai vista prima. È arrivato forse il momento di avere questo coraggio di lasciare da parte il testimone per lo scrittore pur tornando nel suo stesso “campo”, come dice Belpoliti, su quel terreno scandaloso da cui si è ingenerata un’opera d’arte così cruciale. Daniele Del Giudice, che introduceva l’edizione del 1997, e che è leggibile anche in questa, scriveva: «Levi estrae la sua narrazione da una radice di necessità indiscutibile, la più profonda e cruciale e antica che possa sorreggere l’atto stesso del racconto: narrare il non conosciuto, l’incognito, ciò che per volontà altrui avrebbe dovuto restare nascosto». È quello il punto estremo fino a cui Levi scrittore si è spinto. Là dove l’uomo smette di essere tale e torna l’animale, là dove anche la sofferenza più atroce impedisce di volere la morte come requie: «Il suicidio è dell’uomo e non dell’animale, è cioè un atto meditato, una scelta non istintiva, non naturale; ed in Lager c’erano poche occasioni di scegliere, si viveva appunto come gli animali asserviti, che a volte si lasciano morire, ma non si uccidono».
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1 commento:
Segnalo questa intervista http://www.primolevi.it/Web/Italiano/Contenuti/Opera/110_Edizioni_italiane/Opere_complete/Intervista_a_Marco_Belpoliti con un'interessante considerazine finale di Belpoliti sul rapporto tra testimonianza e letteratura, sull'"arrotondare" in Primo Levi.
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