venerdì 4 novembre 2016

Va tutto bene. Tutti d'accordo per il nuovo inciucio con il premio di coalizione




Italicum, i saggi del Pd tolgono il ballottaggio ma alla sinistra non basta 
GIOVANNA CASADIO Rep 4 11 2016
ROMA. Il ballottaggio? Si può togliere. Il premio per governare? Sì, però alla coalizione. Come si eleggono i deputati? Con i collegi uninominali oppure con le preferenze. Sono le modifiche all’Italicum proposte dal documento della commissione che ha riunito il vice segretario del Pd, Lorenzo Guerini, i capigruppo Ettore Rosato e Luigi Zanda (ieri in contatto telefonico), il presidente del partito Matteo Orfini e l’ago della bilancia, Gianni Cuperlo. Cuperlo è in commissione a rappresentare la sinistra dem che dal nuovo Italicum dovrebbe farsi convincere a votare Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre.
Titolo del documento, per ora solo in bozza: “L’Italicum si cambia”. Ma se Cuperlo sostiene ancora di volere «tentare il miracolo» e perciò discuterà ora la proposta con Roberto Speranza e Pierluigi Bersani, dal quel fronte arriva già una doccia fredda: «La commissione ha fallito. Quel documento non basta, serviva un articolato, un vero e proprio disegno di legge da presentare subito in Parlamento». Il lavoro tuttavia non è sprecato - è il ringraziamento dei bersaniani a Cuperlo - tornerà utile dopo il referendum. Ma intanto il 4 dicembre voteranno No, bocciando la riforma costituzionale su cui Renzi si gioca il tutto per tutto.
Rosato, Zanda, Orfini e Guerini precisano che la bozza può essere emendata e che intanto «il documento registra la possibilità di un accordo». Per Bersani è tutto un gioco di “facciamo a fidarci”: «Apprezzo la generosità di Cuperlo - dice l’ex segretario del Pd a Repubblica tv - L’ho incoraggiato, non è che vogliamo fare l’Aventino. Io di mio penso che se non si è fatta la cosa prendendola per il verso giusto, adesso è come dire “stai sereno”, “facciamo a fidarsi”...Poi i miracoli, per carità, possono sempre avvenire». Il cerino in mano per ora ce l’ha Cuperlo.
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Riforme, Gianni Letta in campo “Solo il No aiuta Berlusconi” 
L’ex Cavaliere e il Sì di Confalonieri: castronerie. Renzi-Grillo, sfida sulla tv

GOFFREDO DE MARCHIS Rep 4 11 2016
ROMA. Finire «nei fascicoli di storia allegati a qualche giornale », come dice Gianni Letta, o avere ancora un ruolo politico? Questo è il bivio per Silvio Berlusconi in vista del referendum costituzionale. Ed è proprio l’ex sottosegretario a Palazzo Chigi a dare la risposta: «Solo se vince il No Forza Italia sarà ancora protagonista, altrimenti questa avventura è destinata a essere storicizzata».
Nella giornata romana del Cavaliere, il partito azzurro si ricompatta sul No e lo fa attraverso le parole della sua principale “colomba”, spesso accusata di cercare la sponda di Renzi e della maggioranza. Ci pensa poi Berlusconi, nella riunione dei coordinatori regionali, a disinnescare l’altra posizione, dentro il suo mondo, dichiaratamente per il Sì. «Confalonieri? Fidel stavolta ha detto una castroneria », avrebbe spiegato il leader di Fi con il tono di un buffetto riservato all’amico di una vita. Quando i big di Forza Italia raggiungono Berlusconi a pranzo, nello studio tv di Palazzo Grazioli lui sta registrando un messaggio contro la riforma destinato agli italiani all’estero. Da metà novembre, annuncia il Cavaliere, farà interviste su tutti i tg e manderà video alle iniziative del partito sul territorio. Niente piazze e niente comizi per il divieto della famiglia e dei medici, «ma la mia campagna sarà come quella del 2013», un richiamo alla clamorosa rimonta delle scorse elezioni. Con Renato Brunetta che tiene sotto controllo i sondaggi, Berlusconi si è convinto di poter portare alla causa del No «dai 3 ai 5 punti percentuali pescati nel bacino degli indecisi». E insieme agli altri dirigenti rompe gli indugi rispetto alla presenza ridotta al minimo di queste settimane, perchè «al di là del merito della riforma, solo con il No torneremo centrali». Insomma, nel mondo berlusconiano adesso Confalonieri sembra isolato. «Io mi devo occupare della “roba”, questo è il mio ruolo - ha detto sulla difensiva ad alcuni dirigenti di Fi il presidente di Mediaset -. E per le aziende l’idea di una vittoria di Grillo non lascia tranquilli».
Bastano le parole di Gianni Letta a cancellare le diffidenze nel centrodestra? È solo apparenza l’isolamento di Confalonieri? Matteo Salvini nutre ancora dei dubbi: «Alcune reti Mediaset sono schierate con il Sì come la Rai», dice a Omnibus, «ma abbiamo un mese per recuperare. Spero che tutti si impegnino ». E dopo la vittoria, avverte il segretario leghista, «nessuno pensi di rimanere legato alla poltrona fino al 2018 grazie a un accordone. La Lega non ci sta». Maurizio Gasparri prova a sgombrare il campo dall’inciucio: «Dopo il 4 dicembre per noi c’è da fare soltanto una nuova legge elettorale, punto». Lo stesso Gasparri riunisce sabato a Roma, per la prima volta, l’intero centrodestra del No.
Berlusconi non ha parlato di una sfida tv con Renzi. Ha fatto capire che al momento è esclusa. Ma il premier ora è concentrato sul duello con Beppe Grillo. È l’unico che cerca davvero, l’unico, secondo lui, in grado di spostare equilibri, sebbene sia pronto anche al faccia a faccia con il leader di Fi. «Sfido Grillo in televisione. Ma temo che non verrà mai perchè dovrebbe leggere la riforma», dice Renzi. Il comico risponde sul blog: «Io sto in mezzo alla gente, mi trovi in piazza. Abbiamo Di Maio, bello e giovane, pronto a sopportarti in tv. Dal palco di una piazza, le rughe non si vedono e conta solo la credibilità. Se vuoi ci vediamo lì». Il gioco è tutto sul filo giovane-vecchio. Alessandro Di Battista sostiene che il premier tema il confronto con chi è più giovane. Ma il Pd accusa Grillo: scappa, come un coniglio.
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Rinvio del referendum Le condizioni del Cav Ma Renzi non ci sta 

Ieri mattina contatti tra emissari di Berlusconi e del premier Il capo di Forza Italia: modifiche a riforma Boschi e Italicum 

Ugo Magri Busiarda 4 11 2016
Con orgoglio e sprezzo del pericolo, Renzi ha respinto quella che dalle sue parti considerano una «proposta indecente»: rimangiarsi la riforma costituzionale appena approvata, in cambio del via libera berlusconiano a un rinvio del referendum fissato tra un mese esatto. Autorevoli fonti garantiscono che la profferta (o provocazione, dipende dai punti di vista) è stata riservatamente sottoposta ieri mattina al premier 
dopo un lungo conciliabolo a Palazzo Grazioli tra Berlusconi, Gianni Letta e Niccolò Ghedini, braccio destro e braccio sinistro del Cav. Non risultano contatti diretti, tipo telefonata di Silvio a Matteo, e nemmeno mediazioni condotte dal solito Verdini. A fare da ambasciatore si è prestato un personaggio di governo che preferisce restare lontano dai riflettori. Anche perché il primo «round» è andato male, d’accordo, ma ce ne potrebbe essere un secondo, e in questi casi non si sa mai.
Appello al buon senso
È convinzione berlusconiana che il referendum sia tutto sbagliato, perché spacca l’Italia proprio mentre la politica dovrebbe unirsi per soccorrere gli sfollati. Dei veri statisti (questo il messaggio recapitato a Palazzo Chigi) stopperebbero il referendum, darebbero ai terremotati i 300 milioni risparmiati grazie al rinvio del voto, si metterebbero tutti insieme intorno a un tavolo, rifarebbero da cima a fondo l’«Italicum» cancellando il ballottaggio, e aggiusterebbero la stessa riforma costituzionale che rappresenta il motivo dello scandalo. 
Per questo a Renzi è stato chiesto di impegnarsi solennemente, con una dichiarazione pubblica, a emendare la riforma su almeno tre punti precisi: elezione diretta dei futuri senatori, maggiori poteri alle Regioni, quorum più alto per eleggere il capo dello Stato e le alte magistrature. Temi condivisi con grillini e sinistra Pd. A quel punto verrebbe meno un motivo essenziale di scontro e sarebbe logico fermare le lancette dell’orologio, posticipando il voto.
Condizioni capestro
La risposta di Renzi è pervenuta quasi in tempo reale, ancora prima che il Cav ricevesse a pranzo Brunetta, leader indiscusso dei berlusconiani duri e puri. Ha fatto sapere, il premier, che della riforma costituzionale non cambierà un bel nulla, perché toccare una sola virgola sarebbe un’umiliazione troppo grande per chi, come lui, ci ha messo la faccia. Perderla sul Senato sarebbe perfino peggio che una sconfitta alle urne. E poi, ragionano i renziani, «chi l’ha detto che perderemo?». I 6 principali istituti di sondaggi segnalano come, a trenta giorni dal voto, la percentuale di indecisi rimanga altissima, c’è tempo per convincere una parte della minoranza Pd, quella che fa capo a Cuperlo, col quale si stanno discutendo modifiche della legge elettorale. Insomma, per Renzi la partita è ancora aperta, anzi apertissima.
Falchi e colombe
«Che peccato, una grande occasione persa», si lamentano le «colombe» berlusconiane che vedono chiudersi la finestra del buon senso (gli italiani all’estero cominceranno a votare tra una settimana, e a quel punto sarà troppo tardi per il rinvio). I «falchi» invece applaudono la «faccia tosta» di Renzi e notano soddisfatti come il Cav, dopo la rispostaccia del premier, si sia messo a registrare con più lena una raffica di appelli televisivi a sostegno del NO. Ma non è detto che, nel luna park della politica italiana, tutti i giochi siano davvero conclusi. La certezza di votare ce l’avremo solo il giorno che andremo in cabina.
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“Ora Matteo trovi il coraggio di fare un nuovo governo” 

L’ex consigliere Guerra: “Il referendum può essere l’anno zero. Vincerà il Sì” 

Jacopo Iacoboni  Busiarad 4 11 2016
«Il referendum e la legge di stabilità possono rappresentare l’anno zero di Matteo Renzi». Andrea Guerra è il manager che portò Luxottica a diventare la prima azienda esportatrice italiana. È stato un anno a Palazzo Chigi, consigliere economico di Matteo Renzi, ma Guerra è un atipico, oggi presidente esecutivo di Eataly, ma anche uno che alla Leopolda di quattro anni fa fece un discorso filosofico sulla «risonanza» che dobbiamo sentire dentro, citando il poeta Rilke, per creare qualcosa. Raramente interviene nel dibattito, ha accettato di farlo con La Stampa.
Perché dice che se vincesse il No sarebbe un danno per l’economia? Qual è il nesso?
«Intanto, basta vedere una lotta serrata nei sondaggi per osservare parallelamente aumentare il costo del denaro, gli spread, e quindi anche la non attrattività di investimenti italiani per gli stranieri. Il sì alla fine vincerà. Qui servirà la scossa, fino a immaginare una salita di Renzi al Quirinale e la creazione di una squadra nuova, meritocratica, agile e aperta al mondo. Alibi zero: diciotto mesi di lavoro intenso nella progettazione ed esecuzione di una Italia nuova più semplice, più forte e più giusta».
Come imprenditore come giudica questi anni di governo?
«Renzi ha fatto cose ottime per gli imprenditori, adesso toccherebbe a loro raccogliere la sfida. Decontribuzioni, ammortamenti di ogni genere, il Jobs Act… non hanno più alibi. Adesso se l’Italia si ferma e non ci sono investimenti sufficienti, la responsabilità è di una classe imprenditoriale non pronta, che non si apre al mondo, non ama rischiare o investire».
Detto da lei fa impressione. Li conosce.
«Le racconto il caso della mia scelta di unirmi al gruppo di Eataly. Ho scelto una società italiana con vocazione globale, una società imprenditoriale aperta e curiosa, con un marchio già riconosciuto e rispettato in tutti gli angoli del mondo. Una risposta al “non si può”. Ho sempre scelto questo tipo di sfide perché più dell’Italia amo il mondo. M’invitano tantissime imprese italiane a parlare ai loro dirigenti. Ascoltano questa mia idea affascinati, poi il capo mi dice: “Guerra, lei ha detto delle cose bellissime, ma non le faremo mai”».
Dov’è che Renzi ha sbagliato, in questi due anni?
«Lo guardo in prospettiva: serve meno solitudine e più diversità, nelle scelta delle persone che avrà intorno. Renzi vive, non per colpa sua ma per difendersi da Roma, chiuso a Palazzo Chigi. Anche in questo tocca buttare giù i muri: aprirsi a più persone, più mondo esterno anche dentro i palazzi. Deve rottamarci definitivamente, tutti noi, e avere a che fare con la sua generazione, senza subire il fascino degli anziani dei media, dell’impresa, dei presunti salotti buoni della finanza».
Come mai per il No votano soprattutto i giovani? Renzi non dovrebbe chiedersi soprattutto questo?
«Il Pd, come del resto tutti i partiti consolidati, ha perso la capacità di parlare ai ragazzi sotto i 25 anni. È un partito che si è anche allontanato da tutto quel mondo di terzo settore - penso a Emergency del mio maestro Gino, a Slow Food del geniale Carlin Petrini, a Libera - che inizialmente era suo, e adesso magari interloquisce di più con il M5S. Ho l’impressione che in tanti giovani italiani prevalga un atteggiamento di sfiducia, anche aggressiva, a volte. Sono totalmente “anti”. È su questo che dobbiamo scavare. Sicuramente il ventennio berlusconiano, da un punto di vista culturale e di rispetto delle istituzioni, lo pagheremo ancora a lungo».
I Cinque stelle questo atteggiamento l’hanno alimentato senza innocenza, non trova?
«Il M5S, gliene va dato atto, ha capito per primo i canali attraverso cui parlare a questa fetta di giovani, e a questa rabbia: i social e quel tipo di viralità. Ha saputo trovare delle persone: per esempio, perché una Chiara Appendino non è finita nel Pd? Ma andrebbe denunciata con più forza la deriva di bugie e anche di istigazione all’odio con cui la loro macchina web sta facendo propaganda; e in maniera non casuale, costruita a tavolino. Non penso sia irreversibile. Renzi ha ancora un fortissimo appeal su molti. E per la prima volta, accanto all’elettore di sinistra deluso che conosco da anni, compresi tanti miei amici, si sta creando anche quella dell’elettore cinque stelle deluso».
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