sabato 3 dicembre 2016

Compagno Fido, calati anche tu il passamontagna, allarga l'orizzonte del comune e senti il calore della comunità proletaria. Il negrismo antispecista

Massimo Filippi, Michael Hardt e Marco Maurizi: Altre specie di politica, Mimesis 

Risvolto
Uno spettro si aggira per il continente dell’“Uomo” – lo spettro dell’animalità. Il presente volume prova ad articolare le premesse per visioni e prassi atte ad arrestare la caccia spietata a cui questo spettro è sottoposto, mettendo in primo piano l’urgenza di decostruire le categorie della nostra tradizione politica a seguito dell’affacciarsi sulla scena sociale di una “nuova” moltitudine sterminata, ormai da considerarsi parte integrante del proletariato.
Non più solo il punkabbestia, ma anche il cagnòlo del punkabbestia va individuato come proletario e soggetto antagonista e io voglio morire.
Non volevo credere ai miei occhi, invece siccome non ci facciamo mancare nulla è arrivata l'ora del "negrismo antispecista".
Ebbene, sappiate che esiste una "'nuova' moltitudine sterminata" che è "ormai da considerarsi parte integrante del proletariato" e cioè gli animali, sia come metafora del desiderio, sia proprio come povere bestie che non hanno colpa del delirio di alcuni uomini.
Con questo passaggio, il contributo della corrente post-operaista alla distruzione di quel poco che rimane della sinistra raggiunge vette inconcepibili per i comuni lavoristi.
Il Manifesto giustamente a tale serissima innovazione dà lo spazio che merita, nella pagina settimanalmente appaltata a questa specifica corrente degli adoratori dell'Innocuo Maestro [SGA].


Laboratori filosofici e sintomi animaleschi 
SCAFFALE. «
Alessandra Pigliaru Manifesto  3.12.2016, 19:15 
Uno spettro a cui tutti danno la caccia si aggira nel continente dell’Uomo. Con questa espressione, suggestiva e carica di aspettative, Massimo Filippi apre il primo capitolo di un volumetto tanto piccolo quanto denso dal titolo Altre specie di politica (Mimesis, pp. 68, euro 4.90), firmato insieme a Michael Hardt e Marco Maurizi. Dipanato in tre capitoli, quello centrale orienta tutti gli altri che in certo qual modo lo sorreggono. Il punto cruciale è infatti all’altezza del contributo di Michael Hardt (sotto forma di intervista curata da Massimo Filippi) che getta una luce inedita e originale sul «mal detto» e il «non detto» che infesta il pensiero filosofico. Quello spettro a cui Filippi fa riferimento è l’Animale, niente meno che un «sintomo» e niente più che un potente rimosso che, come tale, erompe per indicare una «sensualità desiderante» che eccede la normatività del pensiero. È in questa premessa teorica che sta la portata politica dell’operazione di Altre specie di politica. Nella ricerca precisa, diremmo interlineare, nei testi di Antonio Negri e Michael Hardt (in particolare Impero, Moltitudine e Comune), 
MASSIMO FILIPPI individua l’apparizione di animali lungo alcuni snodi fondamentali come quello relativo alla trasformazione del soggetto rivoluzionario. Il riferimento a talpe, serpenti e millepiedi, viene letto dunque non come una metafora qualsiasi bensì, à la Lacan, come una nuova significazione tesa a sostituire un significante con un altro.
Si tratta di un bestiario eversivo giunto, secondo Filippi, al pensiero di Negri e Hardt nel punto di massima incandescenza, capace di aprire un varco, una frattura. Gli indizi che hanno condotto Filippi all’intervista con Michael Hardt sono molteplici e tuttavia percorrono un crinale preciso: mettere davanti al «dolore e alla gioia dell’antispecismo» lo stesso filosofo. Cominciando a interrogarlo, come era stato con Judith Butler nel volume precedente a questo (Corpi che non contano. Judith Butler e gli animali, Mimesis), cercando tuttavia di non stravolgerne il pensiero ma tenendo fra le mani la possibilità di contaminare territori sorprendenti con grani pensanti e antispecisti. Come nel caso di Butler, anche questa a Hardt è una intervista intelligente. È lo stesso filosofo statunitense a segnalare che il proprio «laboratorio filosofico» ha già previsto di «prendere in considerazione l’idea della necessità di sviluppare relazioni sociali tra umani e non umani nel tentativo di affrontare problemi filosofici e politici che vi si associano leggendo autori come Viveiros de Castro». 
DETTO QUESTO, e molte altre cose, Hardt precisa un posizionamento decisivo sollevando posizioni che riportano ai primi e illuminanti anni Sessanta: «sì all’articolazione delle diverse lotte per la liberazione e sì alla lotta a fianco degli altri, ma no a ogni rivendicazione che pretende di lottare a nome di altri o per gli altri». Bisogna dunque interrogarsi su cosa può voler dire per gli umani combattere con gli animali senza però lottare a nome loro. Gli umani, piuttosto, «dovrebbero rivendicare il loro diritto a non essere persecutori degli altri animali e di altri esseri».
In questa direzione, restando nella faglia fertile (aperta da Hardt e Negri in particolare), Marco Maurizi aggiunge nell’ultimo capitolo elementi importanti alla discussione. Così la «lunga marcia delle moltitudini all’interno dell’Impero è il divenire comune della propria estraneità all’ordine costituito». Ciò che si paventa allora è che l’Animale da sintomo divenga parte di quell’esistenza «comune» ancora da inventare.





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