lunedì 19 dicembre 2016

Dove ci sono Siderurgia & Aperitivo e Sinistra Inutile, lì c'è già la destra. Chiudono il partito delle alleanze per fare il partito delle alleanze


Grandi novità a sinistra. Oggi muore Siderurgia & Aperitivo, un partito nato per allearsi con il PD, e nasce Sinistra Inutile, il cui obiettivo strategico è invece quello di allearsi con il PD [SGA].

Renzi tra solitudine e WhatsApp - Corriere.it - Corriere della Sera

Addio a Sel, l’ultima tappa. Al via il nuovo partito 

Sinistra. Stamani a Roma con la relazione di Vendola si chiude una storia durata 7 anni e nasce Sinistra italiana
Rachele Gonnelli Manifesto 18.12.2016, 23:59 
È durata sette anni, dal 20 dicembre del 2009, data della prima assemblea nazionale, a quella di oggi. A Roma, stamattina, si scioglie ufficialmente Sinistra ecologia e libertà. 
L’appuntamento è per le 10,30 alla sala convegni della Domus Australia di via Cernaia, vicino alla stazione Termini, per la relazione di Nichi Vendola, che pure non è già più da mesi presidente di Sel, se non «ad honorem». Non si annuncia come un «evento triste», anche se dalla base serpeggia qualche malumore, perché da domani inizierà il percorso per la fondazione del nuovo soggetto chiamato Sinistra italiana, che già riunisce 8 senatori e 31 deputati, e che avrà il suo primo congresso dal 17 al 19 febbraio prossimi. 
«Sarà un momento di grande emozione, anche personalmente», non si sbilancia più di tanto Nicola Fratoianni che oggi chiude la sua esperienza di coordinatore nazionale di Sel per entrare a far parte del gruppo dirigente di Sinistra italiana insieme agli altri deputati e allo stesso Vendola che lo ha preceduto alla guida del partito. «Vorrei che fosse un bel momento – aggiunge – perché Sel è stata una storia entusiasmante, con alcuni errori, anche miei, soprattutto miei, visto che la dirigevo, ma anche tante cose belle». Sel chiude ma il suo patrimonio non si disperde, muta, perché prende le distanze dalla missione iniziale e dal quadro politico di riferimento – l’alleanza con il Pd di Bersani – nel quale prese vita. Le ragioni di fondo però, fa notare lo stesso Fratoianni, restano e sono quelle che hanno spinto i suoi fondatori e i suoi militanti «a non rassegnarsi a un quadro di equilibri politici dati per immutabili». 
Sinistra italiana, è la promessa, non sarà solamente una nuova sigla di quella «cosa rossa» che la sinistra cosiddetta «radicale» ha da decenni tentato di compattare per farne un soggetto dotato di una massa e quindi un peso in grado di spostare l’asse e la direzione della politica italiana e anche i processi reali nella società. Sel si è scontrata con l’incapacità di riuscire in questo compito e, dice Fratoianni, ciò ha portato all’esaurimento della spinta su cui si basava, «il suo scioglimento ne è la presa d’atto», precisa il suo coordinatore. E si augura che nella nuova fase costitutiva che si va ad aprire da domani «l’urto con la storia, al di là delle responsabilità soggettive, sia migliore». 
«Italia Bene Comune», il progetto di governo di centrosinistra a cui Sel era votata, non esiste più da tempo neanche nelle giunte locali. E chi ne fu il campione, l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia, lunedì 19 si riunisce a Bologna con il sindaco Pd della città, Virginio Merola, Gianni Cuperlo, Sandro Gozi, per un progetto già bocciato come irrealistico da Vendola: rifare un centrosinistra cercando di sostituire i voti centristi di alfaniani e verdiniani. Un altro progetto, alternativo, è quello dell’assemblea «Costruire l’alternativa» che si terrà domani, sempre a Bologna, alla Scuderia di Piazza Verdi 3, con tra gli altri, il sindaco di Napoli Luigi De Magistris, l’ex candidato sindaco a Bologna Federico Martelloni, i giovani di Act!, Tommaso Fattori (Si, Toscana a sinistra). 
In tutto ciò Sinistra italiana prova a rimettersi in gioco fin dai pilastri. Fratoianni assume come bussola e ragione di partecipazione al nuovo percorso, la necessità di mettere al centro del campo «le nuove radicalità che si oppongono alle crescenti disuguaglianze e marginalità generate dalla crisi». Ma chiarisce che Sinistra italiana avrà una forma-partito, «perché abbiamo bisogno di mantenere e sviluppare un radicamento sociale, abbiamo bisogno di maggiore, e non minore, insediamento nei territori». E poi, Rossella O’Hara insegna, domani è un altro giorno.

Renzi frena sulle primarie Tre candidati per sfidarlo 

Oggi assemblea Pd. Speranza: “Io come Davide contro Golia” 
Fabio Martini  Busiarda
Nei sotterranei dell’Ergife - l’ormai dimenticato hotel dove si consumarono le ultime riunioni dei partiti della Prima Repubblica - questa mattina alle 10 riappare Matteo Renzi nelle vesti di segretario del Pd: dovrà indicare un percorso per il suo partito, dicendo esplicitamente se vuole bruciare i tempi, fare un congresso a febbraio e Primarie che lo rilegittimino come leader. Oppure se, come pare più probabile, rinunci al congresso subito e tenga le redini del partito con tutte le sue leve. A poche ore dall’Assemblea nazionale (il parlamentino del Pd), tutti i principali notabili del partito ieri hanno rinunciato a fare previsioni sulle reali intenzioni del loro segretario. Mago della “pre-tattica” anche quando era in auge, in queste ore Renzi alimenta ancora più incertezza dopo la batosta del referendum: la previsione più quotata indica una tripla aperta ad ogni soluzione. Anche se ieri sera le voci in arrivo da casa Renzi, a Pontassieve, dicono che il segretario del Pd non proporrà un’anticipazione del congresso: restare segretario gli consentirebbe di controllare partito e liste elettorali in vista di uno scioglimento anticipato delle Camere, che l’ex premier considera ancora come la sua principale mission. Sarebbe una retromarcia rispetto alle aspettative dei giorni scorsi di Renzi, che alla fine potrebbe contentarsi di vedersi approvare la relazione.
Una cosa è certa: Renzi attaccherà frontalmente i Cinque Stelle per la vicenda di Roma, con un messaggio in controluce che il segretario non potrà esplicitare del tutto, ma che rappresenterà uno dei sottotitoli della sua relazione: la crisi dei Cinque Stelle è la ragione più forte che dovrebbe spingere il Pd ad accelerare la corsa verso le elezioni. Una corsa che non è condivisa dai notabili della maggioranza “renziana”: il ministro Dario Franceschini, assieme al Capo dello Stato punta ad una chiusura naturale della legislatura; Andrea Orlando che, forte di una esperienza da ministro della Giustizia che ne sta rafforzando l’immagine e lo spessore politico, non ha ancora deciso se candidarsi alla guida del Pd.
Ad un rinvio del congresso è interessato anche l’ex presidente dei deputati del Pd, Roberto Speranza, che ieri ha annunciato di volersi candidare per la segreteria del Pd e che avrebbe bisogno di tempo per consolidarsi. Pupillo di Pier Luigi Bersani, Speranza si è lanciato in pista provando a cavalcare il mood dei deboli contro i potenti: «Io al congresso del Pd ci sarò con la mia storia, con umiltà e coraggio. Qualcuno dirà sorridendo, pensando al sistema di potere di Renzi, sarà Davide contro Golia». Ma nella stessa area di “sinistra” ci sono già in campo due Governatori del Pd, il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi e quello della Puglia Michele Emiliano: personaggi troppo solidi per poter convivere con un terzo candidato. Per capire chi sarà l’anti-Renzi è ancora presto. 
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“Rotto l’incantesimo M5S” ora Renzi spinge sulle urne 
La vicenda Roma e la crisi dei grillini motivo in più per il voto anticipato. Oggi assemblea Pd
Il leader vuole primarie per la premiership e il Mattarellum corretto il congresso si allontana. E punta su cento giovani come capilista

TOMMASO CIRIACO Rep 
ROMA. «Ma avete visto che casino a Roma? I grillini sono troppo impegnati a combattersi, e nessuno pensa a governare la città. Tanti apriranno gli occhi, l’incantesimo si sta rompendo. Questo dovremo spiegare agli italiani. Dobbiamo tornare a votare, al più presto». Ecco Matteo Renzi, dopo una settimana a Pontassieve. Altro che relax, è pronto allo scontro. Convinto di poter piegare con la forza dei numeri dell’assemblea nazionale i dubbi degli amici e le resistenze dei nemici. Anche a costo di sacrificare il congresso del Pd, se la minoranza dovesse continuare a chiedere le sue dimissioni: «Se siamo tutti d’accordo, lo facciamo in tempi rapidissimi. Ma certo solo un pazzo potrebbe consentire due mesi di cavilli e liti sullo statuto, come punta a fare la sinistra interna per logorarmi». Tradotto: l’assise anticipata si svolge alle nostre regole, oppure basteranno primarie di coalizione per la premiership.
Non ha ancora assorbito la sberla del referendum. E infatti l’umore dell’ex premier oscilla parecchio, con acuti che investono la sinistra interna e i teorici del governo di legislatura. «Ma io guardo già alle elezioni - ha spiegato nelle ultime ore - A gennaio parto con il mio tour nel Paese». L’idea è di farsi affiancare da una pattuglia di giovani, uno per ogni provincia da visitare. Li presenterà come i capilista alle prossime Politiche. Un piano che fa tremare un po’ tutti, nel Pd. Che serve a far capire chi comanda. Ma che nella mente del capo mostra anche la volontà di creare una nuova classe dirigente nel partito, fin quasi a ribaltarlo. «Altrimenti non ci rialziamo».
Certo, il governo Gentiloni è appena nato e stressare troppo equilibri già precari non sembra saggio. Di fronte alla platea dell’Ergife, allora, il leader ribadirà lealtà all’esecutivo fotocopia e rispetto per le indicazioni del Colle. Ma insisterà comunque su un dato, che considera indiscutibile: «La legislatura è finita. Facciamo una nuova legge elettorale, assolviamo agli impegni internazionali e torniamo alle urne». Ad aprile, si spera, al più tardi a giugno.
Resta appunto un problema: la legge elettorale. Camera e Senato hanno due sistemi difformi, la sentenza della Consulta sull’Italicum rischia di ritardare i piani. Meglio procedere subito, provando a cambiarla: «Chi ha votato No non voleva certo tornare alla prima Repubblica - è il ragionamento dell’ex premier - né al proporzionale o agli accordicchi tra i partiti». Il Pd si farà carico fin da subito di una proposta per un uninominale con un impianto maggioritario. Un Mattarellum corretto, a grandi linee. Con una quota rilevante per il proporzionale, di certo superiore al 25% previsto nella legge del 1993. Sperando di accontentare Forza Italia.
Resta da capire la reazione del partito. Non solo sulla legge elettorale, quanto piuttosto sul timing del congresso. Renzi ha saldamente in mano la maggioranza dell’assemblea dem, e le telefonate dei suoi centurioni ai delegati hanno fatto il resto. Si dirà pronto a un’assise in tempi brevi, ma non è disposto al passo indietro. Statuto alla mano, sarebbe il capo dell’organizzazione (cioè Lorenzo Guerini) a gestire la commissione per il congresso. È probabile però che prevalgano le resistenze. La minoranza insiste sulle dimissioni del segretario, mentre anche big schierati con il leader, a partire da Andrea Orlando e Dario Franceschini, preferiscono dare precedenza alle primarie per Palazzo Chigi.
A Renzi può andar bene così. Senza accordo, punterà dritto sui gazebo del centrosinistra per la premiership. Con un vantaggio: senza congresso, avrà mani libere anche sulle liste elettorali. L’ultima parola, adesso, all’assemblea. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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