lunedì 5 dicembre 2016

Fomentatori di populismo che ci spiegano come fermare il populismo: Villepin



“Il populismo si batte solo quando i governi sono lontani dalle élite” 
L’ex premier francese commenta il weekend di paura dell’Europa: “Il pericolo sono le disuguaglianze”
ANAIS GINORI Rep 
«Non esiste alcuna fatalità nelle scadenze elettorali quando si trova il modo di riallacciare il dialogo con i popoli». Dominique de Villepin ha appena pubblicato “Memorie di pace in tempi di guerra”, un raffinato e argomentato appello per un ritorno della supremazia politica sia al livello nazionale che internazionale. «La politica è l’arte di mettere in movimento la realtà, come insegnava già Machiavelli» ricorda l’ex premier francese rimasto famoso per il discorso pronunciato all’Onu nel 2003 in cui la Francia rifiutò di partecipare alla guerra contro il regime di Saddam Hussein. Favorevole a una ripresa del dialogo con la Russia e a un’integrazione della difesa europea, Villepin vede nei populismi «l’effetto dell’abbaglio delle élite davanti alla globalizzazione». Dall’Austria all’Italia, in questo ennesimo weekend di paura per l’Europa, dopo il Brexit e la vittoria di Donald Trump, l’ex premier sostiene che «la realtà dimostra di essere sempre più instabile e sorprendente ». Su Renzi è cauto: «Ho stima per l’uomo politico, ma noto che la drammatizzazione del voto in contesti difficili si ritorce spesso contro i governi».
Siamo entrati nell’era dell’imprevedibilità politica?
«Pensavamo che la caduta del muro di Berlino nel 1989 significasse la vittoria automatica delle democrazie liberali e invece ci accorgiamo che non è così semplice. Esiste una nuova competizione tra sistemi politici. Quando le democrazie non rispondono alle aspirazioni dei popoli, altre forme diventano più attraenti, dal populismo ai regimi autoritari».
Chiede un ritorno di Stati forti dentro all’Europa?
«È uno dei drammi del mondo: l’indebolimento degli Stati. Le democrazie occidentali sembrano atomizzate e impotenti, non sempre pronte a confrontarsi con regimi autoritari che appaiono più in grado di unificare i propri paesi. Oggi molti attaccano gli Stati in quanto organizzazioni sociali arcaiche e opprimenti, in nome del liberismo e dell’estensione illimitata della supremazia dell’economia. Un’illusione che ha provocato la crisi economica, poi il Brexit e l’elezione di Trump».
Nonostante la vittoria del candidato dei Verdi in Austria, la minaccia dei populisti resta alta in Europa.
«La globalizzazione ha creato un sentimento di vincitori e vinti, aumentato le disuguaglianze, provocato paure economiche ma anche identitarie. Le presunte soluzioni proposte dai populisti conducono verso un’impasse: alzare muri fino al cielo non farà scomparire paure profonde. La risposta deve essere nell’azione dei governi. Su questo Francia e Germania portano una pesante responsabilità per come hanno gestito le crisi della Grecia e dei rifugiati. Sui profughi, l’Italia è stata lasciata completamente sola, con l’impressione che l’Europa non esistesse. Se vogliamo evitare la contaminazione dei populismi bisogna assolutamente ridare forza agli Stati».
La candidatura di François Fillon all’Eliseo può fermare l’ascesa di Marine Le Pen?
«La vittoria di Fillon alle primarie è netta e lancia un segnale forte di unità nel centrodestra. È anche un messaggio chiaro su quel ritorno della politica di cui parlavo, sulla base di convinzioni. Fillon crede nel rilancio della diplomazia per smuovere gli scenari, dalla Russia alla Siria. L’unico punto di domanda nel programma di Fillon è il ruolo dello Stato. Di certo va modernizzato ma sono convinto che ce ne sia bisogno più che mai, soprattutto per parlare alle classi popolari. Il tema della difesa del servizio pubblico è fondamentale».
La vittoria di Trump può diventare un’opportunità per la Francia e l’Europa?
«Come tutti gli elettrochoc ci costringe a ridefinire interessi e ambizioni. Se Trump rimetterà in discussione alcuni accordi, noi europei dovremo prenderci le nostre responsabilità. Sarà l’occasione di rilanciare finalmente un’integrazione della Difesa». Cosa pensa della decisione di François Hollande di non ripresentarsi? «È una scelta molto personale che rispecchia la sua concezione della responsabilità politica, ma avviene in un contesto molto degradato per la sinistra di governo. Non sorprende: sarebbe stato difficile per lui affrontare da solo una sconfitta annunciata. La fase di successione che si apre rischia di essere complicata ».
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