lunedì 12 dicembre 2016

"Il romanzo dei tui" di Bertolt Brecht

Risultati immagini per Brecht: Il Romanzo dei tui l'ormaBertolt Brecht: Il Romanzo dei tui, L’orma, pp.250, euro 18,00

Risvolto
È in una Cina immaginaria che Brecht decise di trasporre narrativamente, con divertito coraggio, i tempi oscuri e turbolenti in cui la Storia gli diede in sorte di vivere. Cominciato durante l’esilio e rimasto frammentario dopo oltre un decennio di lavoro, Il romanzo dei tui è una satira feroce degli intellettuali che affittano a cottimo al migliore offerente il proprio ingegno: i «tui». Dal mare dell’imbecillità umana emerge qui un arcipelago di aneddoti, storielle, parabole e corrosivi esercizi di umorismo che mettono alla berlina tutti i grandi ideologi dell’Occidente e forniscono anche una diagnosi inaspettata e spiazzante dell’ascesa di Hitler. Un geniale e comico breviario sul cattivo uso dell’intelletto che zigzaga tra apologhi memorabili, trattati stravaganti (compreso uno sull’arte del leccapiedi) e racconti arguti, consegnandoci una requisitoria serrata e farsesca contro ogni pensiero fumoso e servile. Un tesoro di caustica comicità proposto per la prima volta al pubblico italiano. 

Una tragica beffa contro l’euforia bellicista 
Sedimentato nel decennio fra il 1931 e il 1942, poi ripreso, il «Romanzo dei tui» è un prezioso relitto letterario in cui la Germania guglielmina e la repubblica di Weimar vengono trasferite in una Cina immaginaria, tra ironia e cupezza 
Marco Bascetta Manifesto Alias 11.12.2016, 20:42 
Un’ opera incompiuta è sempre, immancabilmente, un labirinto. Infestato di vicoli ciechi, di biforcazioni, di tornanti. Tutto è ancora aperto, esitante, indefinito e sospeso. Il Romanzo dei tui (L’orma, pp.250, euro 18,00) opera più che incompiuta, di Bertolt Brecht, di cui ci restano brani sparsi, appunti, indici e scalette è un puzzle in cui poche tessere si incastrano le une con le altre. Sullo sfondo, però, un disegno, chiaramente leggibile, che si propone, in forma satirica, una storia della Germania dalla prima guerra mondiale allo scoppio della seconda. Storia che avrebbe dovuto essere soprattutto quella della «falsa coscienza» che dall’imperialismo guglielmino, attraverso gli anni turbolenti della Repubblica di Weimar, conduce alla «resistibile»ascesa di Adolf Hitler e alla nuova, spaventosa catastrofe bellica. 
I «tui», protagonisti di questa narrazione, sono infatti gli intellettuali, asserviti al potere o suoi velleitari oppositori, lontani dalla vita reale e dai bisogni delle masse sfruttate. Gli uni servilmente impegnati nel legittimare la guerra e l’oppressione, gli altri persi dietro l’acume delle proprie interpretazioni, o esitanti e interdetti di fronte alle scelte che si impongono con l’incalzare degli eventi. 
In questi testi viene in luce quel paradosso, tipico dell’irriverenza brechtiana, che mette i più raffinati strumenti dell’intelletto al servizio di una polemica «antintellettuale». La posizione materialista, per quanto possa esibirsi nella maniera più ruvida («prima viene il cibo, dopo la morale», recita una celebre strofa del poeta) è pur sempre il risultato di una sintesi filosofica tutt’altro che elementare. Così come la ridicolizzazione dei «tui» reca comunque i tratti di un rigoroso esercizio critico, di un intento esplicativo, del «rischiaramento» illuminista e, dunque, della sua origine «intellettuale». Il talento comunicativo di Brecht, del resto, è tutto giocato sul paradosso , scelta che lo mette al riparo, anche se non sempre e in tutti i casi, dal rischio dell’appiattimento didascalico.
I frammenti e gli abbozzi di questa idea di romanzo si sono sedimentati lungo un intero terribile decennio dal 1931 al 1942, quello dell’esilio e dell’apocalisse bellica. Il progetto, ripreso, lasciato, poi ripreso ancora, mostra incertezze e discontinuità nella sua architettura e nel registro narrativo. L’ambientazione è però stabilita. Brecht trasporta la Germania guglielmina e la repubblica di Weimar in una Cina immaginaria, chiamata Cima, e i personaggi – politici, militari, intellettuali – evocati nella narrazione ricevono di conseguenza una denominazione «cimese», che rende assai faticosa la lettura, richiedendo il continuo ricorso alla consultazione di un piccolo dizionario dei nomi. 
Alla scelta della Cina come teatro di storie e apologhi, Brecht è, del resto, notoriamente affezionato. Questa ambientazione remota e beffarda dei costumi e delle vicende germaniche, ricorda, per contrasto, La storia degli Abderiti, (1774) di Cristoph Martin Wieland, dove si narra della controversia sull’ombra di un somaro che condurrà gli abitanti di Abdera sull’orlo della guerra civile . Tanto ottimista e sereno era, però, lo spirito dell’illuminista tedesco fiducioso nell’avvento di una grandiosa rivoluzione pacifica, quanto sardonicamente pessimista è, nonostante il tono scanzonato e divertito, quello di Brecht nell’accingersi a raccontare la genesi ideologica della più grande catastrofe della storia. L’autore, è indubbio, si diverte, gioca, sbeffeggia, dissacra. E l’intero progetto non uscirà mai da questa dimensione ludica e perfino goliardica. Ma è di una goliardia tragica che si tratta. 
La maggior parte dei testi prendono di mira l’euforia bellicista della Grande guerra, rispecchiando quell’ironia sdegnata, dissacratoria e «impertinenente» che il sedicenne Bertolt aveva già riversato nella stupefacente Ballata del soldato morto del 1918. Tra i brani più straordinari del libro, un vero e proprio racconto compiuto di inconfondibile sapore kafkiano, è la storia di un filosofo convocato dal Capo di stato maggiore dell’armata «cimese» (controfigura del generale Ludendorff) per redigere il proclama che dovrà sostenere la natura difensiva e umanitaria di quella che in realtà è una guerra d’aggressione. Il povero «tui», inseguendo l’armata attraverso le terre che essa ha devastato senza pietà, si contorce nello sforzo di adeguare le sue argomentazioni patriottiche all’atroce realtà che ha sotto gli occhi, mistificandola. Fino a quando quella realtà non avrà definitivamente ragione di lui. 
Vi sono insomma delle pagine memorabili in questo prezioso relitto letterario. Pochi maneggiano l’apologo, la parabola, l’aneddoto con l’ironica maestria del poeta di Augusta. E nello scanzonato catalogo dei germanici «tui», tra tecnici, scienziati, storici e pensatori, non poteva certo mancare il più venerato e illustre tra loro: «Questa era la dottrina del filosofo Leh-geh. Il pensiero preesisteva alla testa. Per esprimersi gli mancava solo la testa. E la testa nacque per conformarsi a tale necessità». La traduzione dal cimese mi sembra, in questo caso, superflua.

Gli intellettuali da tre soldi smascherati da Brecht 
“Il romanzo dei tui” uscito solo ora in Italia è una satira (attualissima) su chi vende idee e talento al miglior offerente
LEONETTA BENTIVOGLIO Rep 5 1 2016
«Su larga scala la stupidità diventa invisibile», suggerisce Bertolt Brecht, e le sue parole risuonano più che mai concrete e pertinenti mentre galleggiamo negli oceani delle scemenze populiste. Quanto alla prassi del leccapiedi, che è sempre in auge, il sommo drammaturgo del Novecento tedesco la dipinge con cura irresistibile. Perché se è vero che di adulazioni è affollato
il mondo, l’arte del leccapiedismo esige allenamento e disciplina.
«Solo con l’esercizio ci si può elevare dalle bassezze della leccata corriva, e soltanto quando la perseveranza lascia il posto alla fantasia si diventa maestri», scrive. Aggiungendo che bisogna distinguere la più ovvia adulazione dal lecchinaggio artistico: il primo «è merce dozzinale e cicaleggio meccanico»; il secondo «produce espressioni originali e profondamente sentite: crea una forma».
Stiamo pescando citazioni da un libro di Brecht che piacerebbe da matti a Dario Fo: stessa satira sferzante e stessa rabbia giullaresca lanciata a sinistra del marxismo. S’intitola Il romanzo dei tui e lo ha appena pubblicato in Italia L’Orma editore. A questa raccolta di considerazioni e siparietti futuristici sull’opportunismo dei cosiddetti pensatori, Brecht lavorò dal 1931 al 1942, ben piantato nel proprio odio per tutti gli ideologi occidentali: da Hegel a Freud, da Marx a Lenin, dagli artisti partecipi dell’impresa mitica del Bauhaus fino agli accademici, ai ministri, ai rivoluzionari e ai poeti.
È una strage che non salva nessuno, proprio come le vignette schiacciasassi di Charlie Hebdo, irrispettose per principio con chiunque al di là di tendenze e colori. Collezionando ritratti, cronache mascherate e testi corrosivi in un florilegio di nomi storpiati, Brecht offre una messe di materiali acidi e inopportuni, curati nella versione italiana da Marco Federici Solari, abile nell’arricchire il “Roman” con appendici relative alla progettazione dell’opera e con un attento vocabolarietto dei termini e dei loro equivalenti.
Il bersaglio di Brecht sono le creature che non esitano, in ogni tempo e luogo, a prostituire l’ingegno, e sappiamo che il pianeta annovera una tale moltitudine di membri di questa categoria che il lettore, tuffandosi nella costellazione “tuistica”, si sente di continuo emergere sulla punta della lingua una miriade di esempi ritagliati dalla politica e dalla intellighenzia di ieri e oggi.
Nato dalla parola “intellettuale” (Brecht isola le inziali di “Tellekt-uell-in”), il “tui” è il noleggiatore dell’intelletto che ingrassa vendendo analisi e opinioni al miglior offerente. Muovendosi tra la storiografia comica e la parabola filosofica, l’epopea dei “tui” narra le sorti del Reich dal suo primo germinare fino agli apici del nazismo. La storia che dalla disfatta tedesca della prima guerra mondiale arriva all’ascesa di Hitler e all’esilio degli intellettuali passando attraverso la Repubblica di Weimar viene trasposta in “Cima” o in Cina, luogo focale corrispondente alla Germania. Grande territorio in cui tra l’altro dilaga biecamente la razza dei funzionari, dato che la burocrazia dell’impero ha inventato quel genere di “basso” intellettuale pronto ad affannarsi su astrazioni e scartoffie «sostituendo in corso d’opera il mezzo con il fine ».
Così, mentre da esule si aggira furente in una dozzina di paesi, l’autore di Mahagonny e de L’opera da tre soldi si sfoga identificando con il tema del «cattivo uso dell’intelletto » il fulcro della propria rivolta. Nemico della malafede dei cerebralisti di ogni risma, giunge a mettere alla berlina anche eventi tragici come l’assassinio di Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg. Ed è talmente perfido da descrivere, con sprezzo da comunista snob, «i cappellini inguardabili » della Luxemburg.
Paradossale è il tono roboante e impavido che vibra in ogni pagina dello pseudo- romanzo, dove il Führer diventa Gogher Gogh, il ministro della propaganda Goebbels si riconosce in un certo ridicolo Gobbelo e i riflettori della prosa, teatralmente, illuminano le gesta degli agiografi, dei pretestologi e dei reggicoda. Avventurandosi nell’etica “tuista” fin dalle radici, Brecht rievoca Kant, «il grande filosofo tuistico Ka-an», ricordato per la sua definizione del matrimonio come «unione di un uomo e una donna finalizzata alla cessione reciproca degli organi genitali». Il Papa è un grottesco capopopolo catalogato come “Tashi-Lama” che attraversa la Cima marciando a braccia aperte verso l’imperatore, e “Len”, che sarebbe Lenin, è un danneggiatore tarchiato e munito di barba caprina. Nei comportamenti pubblici e privati non esistono alternative al male dei pochi che si approfittano dell’idiozia dei molti. Ogni speranza di giustizia cade nell’irraggiungibilità di auspici buoni e onesti.
Il diario non è mai un apologo sul valore e l’efficacia del raziocinio, anzi: dal Romanzo dei tui è completamente assente il Brecht articolato e finissimo di Vita di Galileo, dove la forza cieca dell’ideologia viene attaccata in nome della ragione. Piuttosto qui s’alza la voce di un individuo folle di sdegno e soffocato dalle proprie risate, o dai propri singhiozzi espressionisti, di fronte allo spettacolo mostruoso del nazismo.
Sotto apparenze ludiche, leggiamo insomma una dichiarazione di assoluto e disperato isolamento. Solo in tal senso Brecht potrebbe somigliare al personaggio di Galileo, che davanti alla sconfitta impostagli dall’Inquisizione si ritira a riflettere in solitudine, abbandonato da tutti. Specialmente dai propri ideali. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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