mercoledì 7 dicembre 2016

Una storia del rosso: Michel Pastoureau


Michel Pastoureau: Rosso. Storia di un colore, Ponte alla Grazie traduzione di G. Calza, pagg.
213, euro 32

Risvolto
Nella civiltà occidentale, il rosso è il primo colore che viene usato sia in pittura che in tintoria. Probabilmente è per questo che è stato a lungo il colore per eccellenza, il più ricco dal punto di vista sociale, artistico e simbolico. Nell'Antichità è stato il simbolo della guerra, della ricchezza e del potere. Nel Medioevo ha assunto una forte connotazione religiosa, evocando sia il sangue di Cristo che le fiamme dell'Inferno, ma nella dimensione profana è stato anche il colore dell'amore, della gloria e della bellezza e la Rivoluzione francese lo farà diventare anche un colore ideologico e politico. Il primo colore che l'uomo abbia padroneggiato, fabbricato, riprodotto e dunque quello sul quale lo storico, il sociologo o l'antropologo hanno più cose da dire che su tutti gli altri. Rosso - quarto capitolo di un'opera di alto profilo che vede in libreria Blu, Nero, Verde e prevede il giallo come quinta e ultima tappa - è un testo ricchissimo, che considera il rosso lungo un orizzonte temporale molto ampio e sotto tutti i punti di vista: una bussola che ci permetterà di orientarci nel labirinto cromatico di questo colore archetipico della storia e della cultura occidentale. 
“Tra eros e potere le nostre vite in rosso” 
Intervista a Michel Pastoureau, che studia la civiltà attraverso le sue variazioni cromatiche “Da simbolo del potere imperiale ai red carpet, ecco la storia del più evocativo dei colori”ANAIS GINORI Rep 7 12 2016
PARIGI È il colore archetipico, il primo che l’uomo abbia usato in pittura e poi padroneggiato in tintoria. Dal sangue di Cristo alle fiamme dell’Inferno, il rosso ha avuto sin dal Medioevo una connotazione religiosa, ma anche fortemente profana. Evoca seduzione, bellezza, trasgressione e rivolte politiche. «È stato a lungo il
simbolo del potere e della guerra » ricorda Michel Pastoureau, autore di Rosso, storia di un colore (Ponte alle Grazie), che analizza il tema partendo dalle prime tracce risalenti a trentaduemila anni fa, con le pitture rupestri nelle grotte paleolitiche di Chauvet, in Ardèche. «Osserviamo già una forte varietà di toni rossi, ricavati per lo più dall’ematite, uno dei minerali di ferro più diffusi in Europa » racconta Pastoureau nella casa vicino al Bois de Boulogne, divani bianchi e un tavolo ricoperto da un telo verde, il suo colore preferito: «Non saprei spiegare perché, l’ho scelto da piccolo e non ho mai più cambiato».
Lo storico francese continua così un’opera originale e unica sviluppata in quasi mezzo secolo: raccontare l’evoluzione dell’umanità attraverso quella dei colori come filo conduttore culturale e sociale dell’Occidente. «Solo da noi il colore è diventato un’idea, qualcosa di astratto, da aggettivo a sostantivo, mentre in Africa o in Asia centrale resta solo materia». Dopo
Blu, Nero, Verde e questo quarto volume, lo storico francese annuncia che finirà la serie con il giallo.
Se è il colore archetipico perché non aver incominciato il suo lavoro proprio dal rosso?
«La storia del blu era più semplice per iniziare. Oggi è il colore preferito in Occidente ma nell’antichità contava poco, al contrario del rosso che per millenni è stato dominante sia nella cultura materiale, che nei codici sociali e nei sistemi di pensiero».
Come nasce questa egemonia?
«Per questioni materiali visto che è il colore i cui pigmenti sono più facili da trovare in natura e da fabbricare, con una vasta gamma di tonalità. Come sempre, al dato materiale si aggiunge quello simbolico. È il colore ambivalente, ispirato al sangue, dunque alla vita ma anche alla morte, o a un elemento distruttore come il fuoco».
Quali sono le altre accezioni del rosso?
«Già durante il paleolitico viene considerato come un colore che protegge. I capi se lo cospargono sul corpo, viene messo nei sepolcri con blocchi d’argilla. Nell’antica Roma solo l’imperatore ha il diritto di vestirsi interamente di porpora. Anche i Papi per secoli sono stati ammantati di rosso, solo dopo il Medioevo è comparso il bianco. Ancora oggi la simbologia degli onori sociali è legata a questo colore: si dice per esempio “stendere il tappeto rosso”. È anche un accessorio della bellezza, dei primi trucchi, tra l’altro anche maschili. Fino al Diciottesimo secolo, i nobili si truccavano il viso di rosso».
È diventato anche il colore della contestazione.
«È l’evoluzione più recente, con la storia della bandiera rossa sventolata come simbolo di pace durante una manifestazione della Rivoluzione francese, nel 1791. Allora l’esercito sparò lo stesso e con i martiri quel drappo è diventato emblema politico della rivolta popolare, poi della sinistra. Quando ero giovane nelle sfilate del Maggio ’68 la bandiera rossa era scavalcata da quella nera degli anarchici, considerata ancora più estremista».
E poi c’è l’amore?
«In ogni sua forma, da Cristo che versa il suo sangue per salvare l’umanità, alla passione, l’erotismo, il peccato. Nel Medioevo, le prostitute dovevano portare qualcosa di rosso per farsi riconoscere».
In quale momento il blu prende il posto del rosso?
«A partire dal Dodicesimo secolo il blu soppianta il rosso nell’aristocrazia, nei tessuti più pregiati. Il colpo di grazia arriva però con la riforma protestante che mette al bando i colori troppo accesi, il giallo, il verde ma soprattutto il rosso, colore del Papa e dei cattolici all’epoca. Nella Ginevra di Calvino qualcuno che porta un abito porpora rischia la pena di morte. La controriforma non riuscirà più a riportare in auge questo colore soprattutto negli ambienti maschili. Il rosso che per secoli appariva virile, marziale, diventa più legato all’immagine femminile. Ma per esempio nelle battaglie femministe di inizio Novecento è il viola il colore prediletto».
Il rosa è stato a lungo un colore neutro?
«Per molto tempo gli uomini non sono riusciti a fabbricare questo colore che non aveva neppure un nome, si chiamava semplicemente incarnato, in italiano. Il rosa dei fiori veniva rappresentato in pittura come una sfumatura del giallo. Solo alla fine del Diciottesimo secolo è apparso un codice sociale secondo cui il rosa è per le bambine e l’azzurro per i maschi».
La percezione dei colori è cambiata nei secoli?
«Il dibattito è iniziato alla fine dell’Ottocento quando alcuni studiosi hanno osservato che i romani e i greci parlavano raramente del blu. Qualcuno allora ne ha dedotto che era un colore che vedevano male. Oggi quest’ipotesi è superata. Credo però che la percezione visiva non sia solo neurobiologica ma anche culturale. In Africa, le persone riconoscono diverse tonalità di marrone, con vocaboli appositi, che l’occhio francese o italiano fatica a distinguere. In Europa abbiamo modificato i nostri pregiudizi su alcuni abbinamenti. Nel Medioevo l’accoppiamento di rosso e verde era considerato abbastanza dolce mentre per noi oggi è violento». ©RIPRODUZIONE RISERVATA

Sangue, fuoco, potere, morte: biografia del rosso
«Rosso. Storia di un colore», tempestivamente tradotto da Ponte alle Grazie. Michel Pastoureau aggiunge un tassello «egemonico» alla sua storia dei colori nelle società europeeGraziella Pulce Alias Manifesto 8.1.2017, 18:31
Indifferenti alle sorti di stati e imperi, dinastie e potentati, i colori svolgono un loro discorso attraverso i millenni. Le pitture rupestri rappresentano le primissime testimonianze di un’egemonia indiscutibile esercitata sulla mente dei nostri più lontani progenitori. Con Rosso Storia di un colore (traduzione di Guido Calza, Ponte alle Grazie, pp. 261, € 32,00) Michel Pastoureau è giunto alla quarta tappa della storia dei colori nelle società europee, avviata con Bleu (2002) e proseguita con Noir (2008) e Vert (2013), tutti accompagnati dal sottotitolo Histoire d’une couleur e tutti editi dalle Èditions du Seuil, sempre tradotti in italiano da Ponte alle Grazie, qui davvero tempestivamente (Rouge è uscito in Francia in ottobre). Il prossimo sarà l’epopea del Giallo.
La vicenda umana è anche una vicenda di simboli che proprio il colore veicola immediatamente e ad ogni livello, sulla base di un codice rimasto vivo nel tempo. Il codice del quale i colori sono segni tanto profondamente è radicato nella sensibilità e nell’immaginario, da sembrare poco o per nulla ‘visibile’: la simbologia cromatica possiede infatti una potenza comunicativa così forte da rendere secondaria se non superflua l’elaborazione intellettiva. In ogni civiltà la simbologia dei colori è assorbita e condivisa fino a diventare linguaggio ‘naturale’ ancorché squisitamente culturale. «Lo storico deve costantemente rammentare che non esiste alcuna verità universale del colore, né per quanto riguarda le sue definizioni, le sue pratiche o i suoi significati, né per quanto riguarda la sua percezione. Anche in questo caso, tutto è culturale, strettamente culturale». Così Pastoureau in Medioevo simbolico, vera summa degli interessi e dei saperi dell’autore, direttore dell’École pratique des hautes études, storico esperto – oltre che di colori – di simbologia medievale, di bestiari e di emblemi.
Il saggio prende avvio dalle prime espressioni artistico-religiose del Paleolitico e segue le tracce del rosso – il primo a essere utilizzato in pittura e tintura – attraverso l’antichità, lungo il Medioevo fino alla modernità. Ricchissimo di curiosità e di illustrazioni, il volume si apre con Composition gris et rouge di Serge Poliakoff (1964) e il grande bisonte rosso di Altamira (15500-13500 a.C.) e si chiude con No. 16 (Red, White, and Brown), 1957, di Rothko, e una vetrata della scuola del Bauhaus di Weimar (1923).
Naturalmente parlare di un colore è possibile solo se lo si affianca, paragona o contrappone a un altro. I colori dialogano tra di loro, talvolta si fanno anche la guerra (come quella tra il rosso e il blu tra il XII e il XIII secolo) e conoscono fasi aurorali, ascese e declini tutti propri. La predilezione nei confronti di un colore può rappresentare la fortuna di un produttore o di un mercante come pure scatenare invidie e tracolli. Anche senza arrivare ai fenici e alla loro porpora, ad esempio il segretissimo rosso turco o rosso di Adrianopoli, in auge dal XV secolo, domina fino alla fine del Settecento, quando Francia e Germania strappano il primato e mettono a punto dei rossi ‘alla maniera di Adrianopoli’. Emblematico anche il caso del colorante estratto da un albero proveniente dall’America del sud, capace di fornire proprietà tintorie ben superiori a quelle del Brasileum, il ‘legno rosso’ importato dall’Asia. Tanto imponente si fa lo sfruttamento di quell’albero che a quel territorio sudamericano viene dato appunto il nome di Brasile.
Ovviamente anche la storia dei colori va a inscriversi nella storia della schiavitù: ad esempio, negli anni Venti del Cinquecento l’acido carminico ricavato dalle cocciniglie disseccate dell’America tropicale (dove gli spagnoli proseguono il commercio delle cocciniglie che era stato degli Aztechi) mantiene un prezzo accessibile solo perché la raccolta viene effettuata dagli schiavi.
Per millenni il rosso è il colore per eccellenza. Con il bianco e il nero costituisce la triade fondamentale dalla quale vanno a generarsi tutte le scale cromatiche, attestate sui sei colori base di aristotelica definizione, all’interno della quale il rosso occupa una posizione centrale, privilegio mantenuto fino alla scoperta newtoniana dello spettro (1666), in cui il rosso occupa in realtà una posizione assai più ‘bassa’ nella scala rivelando di essere il colore più scuro. La sua egemonia dura fino al XVI secolo, quando si fa progressivamente più raro nella vita quotidiana per acquisire via via connotati che lo conducono ad associazioni simboliche sempre più strette con i tratti della deviazione, assumendo il carattere di un segnale o un accento, e dunque si fa notare sempre più. Più marcata risulta allora la contiguità con la duplice simbologia della seduzione e del peccato, ma anche della sanzione e della punizione. Tra i passaggi fondamentali c’è da registrare il ripudio dei colori da parte del mondo protestante (cromofobo per eccellenza), che ne cancellerà diligentemente le tracce, nella negazione di ogni forma di frivolezza e di esibizione.
La storia dei colori è scritta ovunque, nel lessico, nelle stoffe, negli oggetti quotidiani. Tintori, pittori, artisti, chimici e fisici ne sono i cantori, insieme a poeti, politici, religiosi, antropologi. Innumerevoli i nomi che distinguono le sfumature del re dei colori (scarlatto, vermiglio, cremisi, vinaccia, granata, ciliegia, papavero) e l’origine (garanza, chermes, cocciniglia, oricello, verzino, sandracca, realgar, minio).
Se tutti i colori hanno una straordinaria profondità di semantica, il rosso da sempre risulta connesso con le maggiori potenze della vita stessa. Sangue, fuoco, morte, potere. E dunque seguirne il percorso significa inoltrarsi all’interno delle pulsioni più remote: il desiderio nella sua natura selvaggia. Si pensi alla caccia: ogni persona di rango doveva andare a caccia, indossare il rosso e dimostrare sul campo di essere il più forte. D’altra parte una capigliatura fulva è quella che per tradizione marchia la figura del traditore e dell’omicida, da Caino e Giuda, fino a Gano e Mordred. Dalle bandiere alla segnaletica stradale, dal teatro (il sipario) alla metafisica (l’inferno è rosso e nero), alla medicina (la croce rossa e la mezzaluna rossa). Per il rosso si può combattere, patire e anche morire. Per difendere una bandiera, per sostenere un emblema o più semplicemente per obbedire a una moda, come accadeva con i belletti a base di ossido di piombo, la biacca, per il bianco, e di solfuro di mercurio, il cinabro, per il rosso.
Portare alla luce e alla consapevolezza il ruolo simbolico, sociale e culturale dei colori indirizza a distinguere livelli di realtà che dopo il Medioevo non siamo più addestrati a cogliere. Si tratta appunto di quei «grands réprouvés», declassati e detronizzati, verso i quali l’autore si è sempre sentito attratto. E non diversamente rispetto a quelli sui colori vanno letti i saggi sugli animali (l’orso, il maiale e quello imminente sul corvo) e sugli emblemi. Seguendo una linea interpretativa che fa capo a Lévi-Strauss (ma che, si potrebbe aggiungere, arriva fino alla polarità logica/analogia del nostro Enzo Melandri), bisogna distinguere il piano della ‘verità’ da quello della ‘realtà’. In svariate occasioni l’autore ha ribadito che nel Medioevo il vero e il reale appartengono a due sfere distinte. I suoi studi infatti mirano a mettere in risalto quello che la coscienza simbolica percepisce come vero, e cioè vivo, pieno di significato, capace di operare nell’ambito dell’immaginazione, ben più profondo e ricco di ciò che è semplicemente realistico.
Dunque questa di Pastoureau è una battaglia a salvaguardia della facoltà immaginativa e creatrice nata con l’uomo stesso, l’unica che metta in grado di comprendere le infinite sfumature e l’innegabile potere che oggi come ieri sono propri del linguaggio simbolico, grazie al quale si rendono di nuovo leggibili strati di significato caduti nell’ombra.

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