domenica 29 gennaio 2017

Aventuriers des mers de Sindbad à Marco Polo: Franco Cardini e Marina Montesano sull'orientalismo e su una una mostra a Parigi

L’Oriente sognato dalla nave di Sindbad 
A Parigi una mostra racconta viaggiatori leggende arabe e i rapporti antichi con l’Occidente

FRANCO CARDINI Rep 28 1 2017
Nel film “Les visiteurs du soir” di Marcel Carné (tradotto in italiano come “L’amore e il diavolo”) si ascoltava fascinosa la voce di sogno del menestrello Gilles, un giovanissimo e bellissimo Alain Cuny, che al centro della sala di un adorabile castello falsomedievale di cartapesta cantava i versi di Jacques Prévert, i più belli forse che egli abbia mai scritto. Il film era la favola bella del maniero infestato dallo Spirito del Male e dell’amore che vince ogni cosa, che tutto purifica, che respinge e mette in fuga il demonio. Uscito nel 1942, era un messaggio di speranza per Parigi preda dell’incubo,
prigioniera del faustiano sogno di onnipotenza del Necromante di Berlino e della sua armata che allora sembrava invincibile. Quel verso indimenticabile, che associava demoni e incantesimi a meraviglie e maree, che sapeva di oceani e di leggende, evocava irresistibilmente un capolavoro ispirato a Le Mille e Una Notte: la musica della Sherazade di Nikolaj Andreievich Rimskij- Korsakov. Non era, non è l’Oriente: non quello “vero” che del resto – Edward Said ha ragione – non è mai esistito, è una proiezione dell’Occidente che del resto non esiste nemmeno lui. Eppure senza quel sogno, che per tanti versi ci definisce, noi che ci definiamo “occidentali” soffriremmo di un deficit identitario in più. L’Oriente ci avvolge, c’incanta, ci attrae e ci perseguita: e non è certo – grazie a Dio – quello del “califfo” al-Baghdadi.
Che cosa significhi in realtà quell’Oriente, tanto nella storia quanto nel nostro immaginario, lo spiega in questi giorni una splendida mostra proprio a Parigi, all’Institut du Monde Arabe, due passi da Place de la Bastille. Aventuriers des mers. De Sindbad à Marco Polo, visitabile fino al 26 febbraio (e poi dal 7 giugno al 9 ottobre a Marsiglia, al Musée des Civilisations de l’Europe et de la Méditerranée) vale la pena di un viaggio apposito. E non perdetevi il suo catalogo (pubblicato da Hazan). Tema specifico della mostra (oggetti, documenti, manoscritti, maquette, filmati, una ricchissima cartografia) è in primo luogo lo sterminato mondo dei viaggiatori e geografi musulmani del medioevo: da al-Idrîsî (ca 1100-1165) a Ibn Jubayr (1145-1217) a Ibn Battûta (1304-1377); senza dimenticare però nemmeno il veneziano Marco Polo (ca. 1254-1324), il più celebre fra i viaggiatori europei. Ma c’è molto di più di quanto viene promesso. Ci si trova davanti a un sorprendente coup d’oeil sulla storia del mondo, che sconvolgerà molti di noi assuefatti all’eurocentrismo e ai confini del Mediterraneo. Qui, il protagonista è appunto l’Oceano Indiano de Le Mille e Una Notte con il suo Ulisse arabo-persiano, Sindbad il Marinaio: e, in tempi di matura globalizzazione, questo rovesciamento di prospettive sarà per molti una vera e propria scoperta rivelatrice.
I romani conoscevano la “Via dell’Incenso” (o “delle Spezie”; o “degli Aromi”) che dall’estremità della penisola arabica conduceva preziose mercanzie provenienti via mare dall’India o dalla Cina. Essi avevano anche rapporti mercantili via terra, sia pur indiretti, con l’Estremo Oriente e con il “paese dei seres”, cioè dei produttori di seta: la Cina. Alessandro Magno si era del resto spinto fino all’India: e della sua avventura era rimasta una possente traccia leggendaria nella cultura occidentale. I romani avevano però guardato soprattutto a quel mondo mediterraneo che conoscevano meglio: e i loro viaggiatori ed enciclopedisti (Pomponio Mela, Plinio il Vecchio, Solino) si erano dati nel tempo a riempire il vuoto di notizie a loro disposizione sul continente asiatico con una quantità di nozioni in parte rispondenti a una realtà spesso fraintesa o mista ad elaborazioni leggendarie.
La seta e le altre preziose merci giungevano al Mediterraneo attraverso le rapide ancorché pericolose rotte che rapide attraversavano, sfruttando il clima monsonico, l’Oceano Indiano; dall’estremità della penisola arabica si risaliva poi lungo le carovaniere fino a Dama- sco o si trasferivano i cari- chi per via d’acqua lungo il Nilo fino ad Alessandria. Ma i cinesi, le spedizioni e le esplorazioni dei quali si spinsero pur fino al Golfo Persico, non dimostrarono mai per l’Occidente un entusiasmo o una curiosità pari a quelli che gli occidentali dimostravano nei loro confronti. Del resto, noi avevamo molto da chieder loro (“le spezie” erano indispensabili per la medicina, la gastronomia, la tintura delle stoffe), ma praticamente nulla da offrire. D’altra parte, quello che può sfuggire a un occidentale odierno è che comunque, nel medioevo come nell’antichità, l’Europa altro non era che un piccolo e sottosviluppato annesso nordoccidentale della grande Asia.
Se gli europei sapevano dunque poco di quel continente, molto più di loro conoscevano gli arabi che erano abituati a viaggiare in quel continente e a commerciare con esso. E a partire dal VII secolo, con la nascita e l’espansione dell’Islam, si venne a creare un ponte continuo fra Oriente asiatico e Occidente europeo. Mediterraneo e Nordafrica ne furono i tramiti.
Fin dal IX secolo i mercanti del Golfo Persico frequentavano la Cina mentre le navi giavanesi giungevano, favorite dal regime stagionale dei monsoni, fino alla penisola arabica. Anche se per via di terra il commercio era florido, e il fascio carovaniero che noi chiamiamo la “Via della Seta” attraversava i deserti del Gobi e le oasi turkestane, furono soprattutto le vie d’acqua quelle che favorirono i commerci e gli scambi. Già nel VI secolo la produzione della seta si era impiantata a Bisanzio, anche se fu solo dal VII e dalla prima intermediazione araba che essa si fece più diffusa. Insieme alla seta la produzione della carta di stracci, sostituto sia del papiro sia della pergamena, cominciò a diffondersi grazie agli arabi a partire dalla stessa epoca. Ma, oltre alla seta, altre merci viaggiavano sulle vie commerciali eurasiatiche. Le più richieste e pregiate erano l’oro e l’argento di Sumatra, della Malesia e della Corea; il sandalo, il bambù, l’albero della canfora da cui si estraeva un’apprezzata essenza; gli aromi come l’incenso e il muschio; le pietre preziose come rubini e zaffiri, provenienti da Ceylon o dall’India. Altrettanto ricco era quello delle spezie vere e proprie: pepe, noce moscata, cannella (“cardamomo”), chiodi di garofano. Una sezione dell’esposizione parigina mette alcune di queste spezie in evidenza all’interno di teche: ed è una riscoperta, perché da generazioni certe sostanze un tempo familiari anche nelle nostre farmacie sono ormai scomparse.
E c’erano altre merci ancora, forse addirittura più importanti: strumenti scientifici, carte geografiche, libri, culti religiosi, idee, racconti. Di qui il richiamo, nel titolo della mostra, a Sindbad: se Marco Polo rappresenta il mercante europeo, sia pure affascinato dall’Asia, il leggen- dario marinaio delle Mille e Una Notte è il richiamo a una dimensione dell’immaginario che molto deve alla cultura indopersiana.
Sindbad, al pari del divino Ulisse, molto vide e molto soffrì: affrontò l’isola del Monte della Calamita che, attraendo il ferro, sfasciava le navi i cui scafi erano rafforzati da chiodi (i marinai dell’Oman lo sapevano…); sfidò l’immenso Uccello Ruk, un leggendario volatile del quale parla anche Marco Polo e di cui qualche decennio fa si occupò Rudolph Wittkower (1901-1971), il quale – indagando la “migrazione dei simboli” da est a ovest - ne ha individuato le origini nel combattimento tra l’uccello solare Garuda e il serpente ctonio Naga, entrambe figure del mito induista. Ma esso ha un parallelo preciso in Persia, dove una creatura alata del tutto simile prende il nome di Simurgh. Dall’India e dalla Persia le storie e le immagini di questa creatura si diffusero verso il mondo turcofono dell’Asia centrale (e oltre, fino alla Cina) e da là al Caucaso fino a raggiungere la stessa Grecia: e il grifone che Dante incontra sulla cima del monte del Purgatorio forse ne dipende. Questo commercio intercontinentale, per tanti versi poco noto, è stato la base reale della nostra prosperità moderna: e non stupirà se vie, rotte e mercanzie concretissime grondassero di leggende. Noi siamo fatti della stessa stoffa dei nostri sogni. ©RIPRODUZIONE RISERVATA




L’epopea di avventurieri via mare 
Percorsi. Una mostra ora a Marsiglia (da Sinbad a Marco Polo) e una serie di libri attraversano le rotte del Mediterraneo e dell'Oceano indiano, seguendo spezie, merci, riti religiosi 
Marina Montesano Manifesto 23.3.2017, 19:09 
La via della seta richiama immediatamente l’immagine di polverose carovaniere che passavano da Kashgar, Samarcanda, Bukhara, Tabriz, i deserti del Gobi e le oasi turkestane, per giungere attraverso Costantinopoli fino al Mediterraneo. È vero tuttavia che molte delle merci che partivano da Oriente per giungere in Occidente non si muovevano per vie di terra, ma per quelle di mare. Anche il nome è almeno parzialmente fuorviante: già nel VI secolo la produzione della seta si era impiantata a Bisanzio, anche se fu solo dal VII e dalla prima intermediazione araba che essa si fece più diffusa; il che significa che altre erano le merci che viaggiavano per le le vie di terra e di mare. 
FINO ALL’EPOCA di Marco Polo, gli europei sapevano poco dell’Asia centrale ed estrema. Molto più di loro conoscevano gli arabi che erano abituati a viaggiare in quel continente e a commerciare con esso. È con la nascita e l’espansione dell’Islam, dunque, che si venne a creare un tessuto connettivo continuo fra Oriente asiatico, coste africane e Occidente europeo. Fino dal IX secolo i mercanti del Golfo Persico frequentavano la Cina, mentre le navi giavanesi giungevano, favorite dal regime dei venti detti «monsoni», fino alla penisola arabica. Arabi o persiani erano coloro che guidavano i mercanti europei, che per loro traducevano nomi di cose e luoghi. Non è casuale che il Milione rechi traccia di questa mediazione arabo-persiana. Ed è attraverso questi contatti che viaggiavano anche, oltre alle merci, strumenti scientifici, cartografia, culti religiosi, idee, racconti. 
PER QUESTO, LA MOSTRA Aventuriers des mers. De Sindbad à Marco Polo, organizzata dall’Institut du monde arabe, parlava in primo luogo dei viaggiatori e geografi arabi: da al-Idrîsî (ca 1100-1165) a Ibn Jubayr (1145-1217) a Ibn Battûta (1304-1377). Senza dimenticare però il veneziano Marco Polo (ca 1254-1324), il più celebre fra i viaggiatori europei; e neppure il coté leggendario, così importante, rappresentato da Sindbad, il marinaio delle Mille e Una Notte. L’esposizione, conclusasi a Parigi, dal 7 giugno al 9 ottobre 2017 si replicherà al Musée des Civilisations de l’Europe et de la Méditerranée di Marsiglia. Il catalogo Aventuriers des mers. VIIe-XVIIe siècle (Hazan, pp.224, ill.170, euro 29) approfondisce, attraverso una serie di brevi saggi, molti dei temi che nella mostra sono, per forza di cose, soltanto accennati. 

Anche se, come detto, la seta non era più monopolio cinese, tante altre erano le merci che viaggiavano sulle vie commerciali eurasiatiche. Le più richieste e pregiate erano l’oro e l’argento di Sumatra, della Malesia e della Corea, oppure dell’Africa subsahariana; il sandalo, il bambù, la canfora, e il muschio asiatici, oppure l’incenso e la mirra d’Etiopia; le pietre preziose provenienti da Ceylon o dall’India. Ma anche le spezie vere e proprie: pepe, noce moscata, chiodi di garofano, cinnamomo. Della centralità di queste merci come motore del commercio internazionale ci parla l’ultimo libro di Anna Unali, Verso le isole delle spezie. Il commercio delle spezierie alle origini della penetrazione europea in Asia (L’Harmattan Italia, pp.304, euro 34). 
Come nella rassegna francese, anche in questo libro protagonista è l’Oceano Indiano e il traffico marittimo che lo attraversava. L’autrice intreccia relazioni di viaggio di origine differente: arabe, cinesi, italiane, portoghesi. Perché è soltanto attraverso questa polifonia che si può avere un quadro completo di questa straordinaria epopea terrestre e marittima, che tanta influenza ha avuto sull’Europa bassomedievale e moderna.
Al di là delle direttrici intercontinentali, si viaggiava anche su tratte più modeste, ma non per questo meno importanti. Ce lo spiega bene Maria Serena Mazzi nel suo In viaggio nel Medioevo (il Mulino, pp.336, euro 24). 
LA RINASCITA COMMERCIALE, che nel XII secolo trovò il suo centro nelle fiere di Champagne, nelle Fiandre, in Italia, era sovente basata sulle vie fluviali intrecciate a quelle terrestri. Una linea parallela al corso del Reno collegava alla pianura padana; da Milano si arrivava sia al porto di Genova sia a quello di Venezia, sia al nodo stradale di Piacenza dove si incontrava la grande arteria medievale italiana, la Via Francigena che conduceva a Roma. Da lì, il tracciato dell’antica Appia Traiana raggiungeva i porti pugliesi, il canale d’Otranto, Costantinopoli e magari l’Oriente.
Si viaggiava anche per ragioni di pellegrinaggio, un capitolo importante della storia del viaggio medievale, nonché nel libro di Mazzi, che ne racconta la storia partendo dalle fonti dirette: i tanti racconti di viaggio bassomedievali che in questi ultimi anni hanno vissuto una meritata riscoperta. 
Ad accoglierli a Gerusalemme vi era l’Ordine francescano, che dal Duecento aveva fondato la Custodia di Terrasanta, una importante istituzione ancora attiva ai nostri giorni e che ha dato non solo ospitalità, ma anche un’intensa attività culturale, archeologica, educativa. Ne ricostruisce la storia per i primi secoli di vita Beatrice Saletti in Francescani in Terrasanta. 1291-1517 (libreriauniversitaria.it, pp. 224, euro18,90). 
OLTRE ALLE PERSONE e alle merci, lungo le strade viaggiavano anche ospiti indesiderati. La peste di metà Trecento arrivò attraverso le vie commerciali asiatiche, poi sulle navi che dal Mar Nero facevano la spola con l’Italia. Noi la ricordiamo come un flagello per l’Europa, ma il morbo colpì l’intero bacino del Mediterraneo.
È il punto di partenza di un libro di grande portata scientifica e culturale: Salvatore Speziale, Il contagio del contagio. Circolazione di saperi e sfide bioetiche tra Africa ed Europa dalla Peste nera all’Aids (Città del Sole, pp.708, euro 24). Sulle sponde meridionali del Mediterraneo, nel mondo arabo-islamico, l’arrivo del contagio venne registrato con spavento, ma diede anche origine a tante domande sulle sue cause e sui possibili rimedi. 
A parte la ricostruzione del dibattito, particolarmente vivace perché la medicina e le scienze arabe al tempo vivevano una straordinaria fioritura, uno dei punti di forza del lavoro sta nel dimostrare come le due sponde del bacino mediterraneo si somigliassero, come le epidemie suscitassero un dibattito comune, come le reazioni fossero simili. In fondo, come davvero il Mediterraneo sia un mare che raccoglie intorno a sé una sola cultura con alcuni tratti differenzianti. Dove la religione è solo un elemento fra i molti possibili, nessuno dei quali divisivo. 

SCHEDA 
Marco Polo la definisce una «nobile città» popolata di cristiani e musulmani. Franco Cardini le ha dedicato un libro recente: Samarcanda. Un sogno color turchese (il Mulino, pp.325, euro 16). Centro di fondamentale importanza lungo la via della seta, Samarcanda rimanda a orizzonti mitici anche sotto il profilo letterario. Molti ricorderanno la canzone di Roberto Vecchioni: mentre festeggia la fine della guerra, un soldato scorge una donna vestita di nero che lo guarda con malevolenza. Credendo che sia lì per lui, scappa verso Samarcanda, dove trova la morte ad attenderlo. Probabile modello è l’Appointment in Samarra (1933) di William Somerset Maugham, che a sua volta rinvia a una storia molto più antica che nelle sue varie forme ha quale tema centrale l’appuntamento con il destino fatale. Ne conosciamo una versione narrata nel IX secolo del sufi Fudail Ibn Ayad nel suo Hikayat-i-Naqshia (Storie concepite secondo un disegno), dove tuttavia l’Angelo della Morte dà appuntamento a Baghdad. Il motivo potrebbe avere le sue radici nella letteratura talmudica. Una Haggadah racconta la storia di due fratelli spinti dall’Angelo della morte a trovare asilo nella leggendaria Luz, città degli immortali, per incontrare, invece, il proprio destino mortale, appena prima di varcarne le soglie.

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