giovedì 12 gennaio 2017

Il carteggio tra Stevenson e Conan Doyle


Lo strano caso del dottor Stevenson e Mr Conan Doyle 

Il carteggio ritrovato tra i due scrittori mostra le loro affinità elettive al di là della comune origine scozzese

VALERIO MAGRELLI Rep 2 1 2017
Per Giacomo Scarpelli, scovare inediti di Stevenson è una vera passione. Nel 2008, proprio sulle pagine della “Repubblica”, tradusse un breve, rilevantissimo saggio in cui lo scrittore scozzese ripercorreva la genesi de “L’Isola del Tesoro”. Prima ancora, nel 1998, aveva invece pubblicato una lettera da Samoa in cui Stevenson commentava uno sdoppiamento della personalità studiato di su sé durante un violento attacco di febbre. A rendere più importante tale testimonianza (già di per sé cruciale rispetto al tema di Jekyll-Hyde), stava il fatto di
essere apparsa sulla rivista di quella “Society for Psychical Research” che aveva fra i suoi affiliati Lewis Carroll e Jung, Lombroso e i coniugi Curie, William James, Bergson e Conan Doyle. E proprio quest’ultimo è al centro dell’ultima, sorprendente scoperta, centrata sul suo carteggio con Stevenson. La prima reazione è di stupore: cosa ha a che fare l’inventore di Sherlock Holmes con il romanziere fuggito nelle isole Samoa? A rispondere è lo stesso inventore del detective, in quale, in una lettera al suo interlocutore (di nove anni più anziano), spiega: «Credo che noi due abbiamo tanto in comune: sono nato a Edimburgo, vi ho poi frequentato l’università, e so che condividiamo parecchie amicizie».
Scarpelli (docente di Storia della filosofia all’Università di Modena e membro della Freud Gesellschaft di Vienna), spulciando l’ottavo volume delle Letters of Robert Louis Stevenson, si è imbattuto in quattro missive destinate a Conan Doyle. In nota era riportato un frammento di risposta del destinatario. Questa, però, era soltanto una metà del carteggio; e l’altra? Come seguendo gli indizi di una mappa strappata, lo studioso italiano ha prima riletto le pagine che Conan Doyle dedicò a Stevenson ( Memories and Adventures, 1924), poi chiesto aiuto alla generosa comunità dei critici. Ciononostante, le lettere continuavano a sembrare introvabili, finché, alla Beinecke Rare Book & Manuscript Library di Yale, è apparso il tesoro: quattro missive di Conan Doyle. Mentre le lettere di Stevenson al giovane Conan Doyle non sono state mai tradotte in italiano, quelle del secondo sono del tutto inedite sia in inglese, sia in italiano.
Veniamo dunque al contenuto della corrispondenza. Il cantore dei mari del Sud, avido lettore dei primi Sherlock Holmes, indovinò subito chi si nascondeva dietro la figura dell’investigatore. Sbalordendo il suo conoscente, egli suppose che il personaggio fosse ispirato a un luminare della medicina scozzese, Joseph Bell. Doyle ammise stupito che in effetti il proto-tipo era davvero Bell, aggiungendovi però l’influenza di un grande eroe letterario, cioè il Dupin inventato da E. A. Poe. Del resto, anche Stevenson dichiarava candidamente di aver saccheggiato l’autore di Gordon Pym nel creare L’Isola del Tesoro.
Nel carteggio compare anche un invito di Stevenson all’ammiratore, affinché venisse a trovarlo nella sua isola remota, in quanto questi progettava di compiere un viaggio intorno al mondo. Purtroppo, poco dopo, la moglie si ammalò di tisi, e il progetto venne abbandonato. Così, Conan Doyle non poté mai raggiungere il Pacifico. Tuttavia, se i due concittadini non si incontrarono, rimane la soddisfazione di poter leggere le loro lettere sempre ironiche, come nel passo in cui Stevenson scherza sul proprio esilio. Deridendo i luoghi comuni sull’esotismo, confessa d’essere afflitto al pensiero di vedere riprodotta la sua effige di «sgradevole vecchio dalla lunga zazzera, intento a raccontare storielle sconvenienti a una coppia di negre sformate, in una catapecchia fatiscente e piena di detriti».
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Gentile Signore, lei si è reso amabile nei miei confronti in numerose occasioni, perciò avrei già dovuto, per buon garbo, ringraziarla in precedenza. Dunque tocca a me. Spero mi permetterà di porgerle i miei complimenti per le ingegnosissime e interessantissime avventure di Sherlock Holmes. È proprio questo il genere letterario che prediligo allorché ho il mal di denti. Anche se, nella fattispecie, devo dire che quando ho preso in mano il volume stavo patendo per una pleurite. Potrà interessarle sapere, in quanto uomo di medicina, che per il momento la cura si è dimostrata efficace. Soltanto una cosa mi tormenta: costui, potrebbe essere il mio vecchio amico Joe Bell?
Sinceramente suo, Robert Louis Stevenson P.S. Ecco, questo è il suo indirizzo che mi è stato fornito qui, a Samoa! Tuttavia, o baldo compare degli spettri, si guardi dal prendere il mio dalla stessa fonte: è sbagliato.
12, TENNISON ROAD, SOUTH NOR-WOOD, 30 MAGGIO 1893
Caro Signor Stevenson, sono assai orgoglioso della lettera che ho ricevuto, posso assicuraglielo. Per tutti noi il Pacifico è diventato un luogo importantissimo da quando lei stesso vi si è trasferito, proprio lì nel mezzo. Quella è la vera Isola delle Voci, mai visibile al nostro occhio, ma sempre ascoltata e prontamente ubbidita. Mia moglie e io progettiamo di compiere un viaggio intorno al mondo; se lo realizzeremo, mi auguro di fare una sosta ad Apia. E se così sarà, sarà per il tempo di una pipata insieme. Credo che noi abbiamo davvero tanto in comune: sono nato a Edimburgo, vi ho poi frequentato l’università, e so che condividiamo parecchie amicizie; sin da quando il primo R.L.S. cominciò ad apparire sul
Cornhill, molto prima che conoscessi il vostro nome e desiderassi incontrarvi. Non potrò mai dimenticare l’entusiasmo col quale lessi Il padiglione sulle dune. Lo consideravo il racconto più bello del mondo. Cosa diavolo Chatto e Windus intendevano fa- re quando lo pubblicarono, omettendo due dei principali snodi narrativi — l’Huddlestone che borbotta una preghiera nel mezzo della cupa storia, e l’«Avete lasciato Dio solo!» di Northmour? «Avete lasciato Stevenson solo!» deve essere stata l’esclamazione di molti come me. Sono davvero felice che Sherlock Holmes l’abbia aiutata a trascorrere un’oretta. È un incrocio tra Joe Bell e il Monsieur Dupin di Poe (assai diluito). Confido di non dover più scrivere una parola su di lui. Preferirei piuttosto che lei mi conoscesse per il mio La compagnia bianca. Glielo spedisco, nell’eventualità che non ne abbia mai preso visione, insieme a una copia dell’ultimo numero della nostra rivista di qui ( The Strand Magazine, ndt), nella quale ho pubblicato una storia. Le porgo i miei più cordiali saluti e i miei sentiti ringraziamenti per tutto il piacere che mi ha concesso nel corso della vita — più che ogni altro uomo abbia mai fatto. Sinceramente suo, A. Conan Doyle
Mio caro Conan Doyle, Mi sto riprendendo dopo un’esperienza in qualche modo difficile, sulla quale ritengo mio dovere ragguagliarla. Stasera, subito dopo cena, mi è venuto in mente di rinarrare al mio sorvegliante, il nativo Simele, il suo racconto Il pollice dell’ingegnere (una delle
Avventure di Sherlock Holmes, ndt).
E così ho fatto. È stato necessario, non occorre dirlo, uscire talvolta dal solco da lei tracciato. Per esempio, soffermarsi a spiegare cos’è una ferrovia, cosa un maglio a vapore, cosa una carrozza a cavalli, cosa batter moneta, cosa un criminale e cosa la polizia. Sorvolo su altre spiegazioni non meno indispensabili. Ma, in definitiva, sono riuscito nell’intento: se avesse potuto vedere l’espressione tesa e ansiosa e gli occhi accesi e febbricitanti di Simele, avrebbe assaggiato (almeno in quel momento) il sapore della gloria. Di conseguenza, forse penserà che, quando verrà a Samoa, potrà essere presentato come l’Autore del Pollice dell’ingegnere.
Non si illuda. I locali non hanno idea cosa significhi inventare una storia. Il pollice dell’ingegnere l’ho raccontato (Dio mi perdoni) come se fosse un episodio di storia reale e concreta. […] Oa’u, o lau uo moni, O Tusitala più comunemente conosciuto come R. L. Stevenson
12, TENNISON ROAD, SOUTH NOR-WOOD, 6 AGOSTO 1894
Caro Signor Stevenson, I miei pensieri spesso tornano a lei, ma il suo incantevole articolo Il mio primo libro, pubblicato sull’Idler, mi impone di scriverle e dirle quanto segue. L’Isola del Tesoro è di certo tutto suo, a dispetto dello squisito candore che lei dimostra; è costruito in modo così organicamente armonioso che avrebbe avuto la medesima forma anche senza [l’influsso di] Washington Irving o chiunque altro. Long John è grande. «E puoi vedere con i tuoi occhi quanto io sia facilmente amico di tutti». Ha impartito a costui alcuni piccoli tocchi che lo hanno reso indimenticabile. Se altri fossero candidi come lei, quanti secchi avremmo visto attingere alla sua sorgente. Ogni viso nuovo che appare in superficie mi sembra abbia la sua mano che lo trae per i capelli. […] Ora devo andare, mi tocca giocare una partita di cricket contro una squadra olandese che ci è stata spedita per disputare questa stagione. Le auguro ogni bene e che la sua salute continui a migliorare. Mi domando se ha letto Pembroke (di Mary Eleanor Wilkins Freeman, ndt). Lo considero il romanzo più potente apparso in America da quando Hawthorne è morto. Saluti cordiali. Sinceramente suo, A. Conan Doyle
Traduzione di Giacomo Scarpelli
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