domenica 22 gennaio 2017

Joseph Goebbels nella Storia Illustrata



La banalità di Goebbels vista dalle donne 
In due docufilm, la segretaria e l’amante diva raccontano il braccio destro di Hitler

EMILIANO MORREALE Rep 21 1 2017
«Era un grande attore». È la stessa definizione che di Joseph Goebbels danno due donne che l’hanno conosciuto diversamente bene. Brunhilde Pomsel era la segretaria del ministro della propaganda del Terzo Reich dal 1942 in poi, nel momento più tragico della guerra. Lida Baarova, invece, era una diva del cinema, che di Goebbels fu l’amante fra il 1935 e il 1938. Due destini assai diversi, che arrivano tutti e due sullo schermo al Trieste Film Festival, in due documentari-intervista. Si tratta dunque di due momenti diversi nella vita di Goebbels: nel primo caso, il massimo trionfo del nazismo e l’inizio della sua politica espansionista, nel secondo caso la catastrofe della guerra mondiale, fino al suicidio con la moglie, dopo aver ucciso i sei figli. Entrambe le donne sono attratte e terrorizzate dall’uomo e davanti ai suoi discorsi, entrambe raccontano di essere rimaste ipnotizzate come tutta la folla, ma di non avere idea del contenuto dei suoi discorsi. I due documentari arrivano subito dopo la traduzione italiana di una monumentale biografia dello storico Peter Longerich ( Goebbels, Einaudi, pagg. 890, euro 44), che racconta minuziosamente il percorso di questo nazista morbosamente fedele al Fuhrer, esponente dell’ala “rivoluzionaria” e più violentemente antisemita, che con il suo uso dell’informazione, della radio, del cinema ha creato una macchina del consenso micidiale. La sua “narrazione” del pericolo giudaico, la sua peculiare “post-verità” (è a lui attribuito il detto: «Una menzogna ripetuta all’infinito diventa verità») lo rendono una figura tristemente attuale: uno dei massimi manipolatori di masse nell’Europa del Novecento.
Doomed Beauty si basa su un’intervista fatta nel 1995 alla Baarova. L’attrice, che morirà cinque anni dopo, rievoca la sua carriera, e si racconta come donna dalla bellezza fatale. In effetti è rimasta nella storia politica più che in quella del cinema, ricordata quasi solo come amante di Goebbels. Eppure era una diva vera già giovanissima, in Cecoslovacchia, quando venne ingaggiata dalla più grande casa di produzione tedesca, la Ufa, che cercava una bellezza “esotica” (italiana, per la precisione) per il film Barcarola (1935). Sul set arrivano Hitler e Goebbels; e, a quanto pare, entrambi si innamorano di lei. Il commento dell’anziana attrice non è privo di cinico umorismo: «Mi è andata bene che il mio destino in Germania si è chiamato Goebbels. Avrebbe potuto chiamarsi Hitler».
Di questa donna, che come in un mélo dell’epoca sembra far innamorare di sé tutti gli uomini che incontra (specie se ricchi e potenti), aveva raccontato tra gli altri il giornalista Mariusz Szczygiel in un capitolo di Gottland (nottetempo), in un reportage intitolato Soltanto una donna. Potremmo dire: soltanto una diva. Quando nel 1937 riceve una proposta dalla Mgm, Goebbels fa un duro discorso alla radio sugli artisti che vogliono partire per Hollywood, minacciando che non potranno più tornare in Germania. E lei? Capisce di chi sta parlando, e confessa: «In quel momento ho capito di essere innamorata di lui». Un episodio rivelatore delle seduzioni reciproche della Diva e del Potere. Poco dopo, però, lui la lascerà, su pressioni della moglie e di Hitler in persona, il quale aveva con i Goebbels un rapporto morboso. Nella Cecoslovacchia diventata protettorato tedesco, Baarova riuscirà a lavorare ancora grazie al capo degli studios Milos Havel (zio di Vaclav), e dopo l’invasione tedesca raggiunge l’Italia dei telefoni bianchi dove lavorerà con De Sica e i De Filippo. Processata nel dopoguerra, con la presa di potere dei comunisti scappa per raggiungere, ancora una volta, l’Italia. Dove si accorge di essere una ultratrentenne in un cinema pieno di ventenni maggiorate, e quindi lavora in drammoni di serie B, ma ha almeno un ruolo indimenticabile: la donna che Franco Fabrizi cerca di sedurre a una festa, ne I vitelloni di Fellini.
A German Life, il secondo documentario in programma a Trieste, uscirà il 27 gennaio in sala per Wanted. E il suo interesse è inversamente proporzionale al fascino della vicenda narrata. Brunhilde è infatti solo una delle quattro segretarie di Goebbels: una persona come tante, di nessun rilievo nell’organigramma nazista. Si iscrive al partito per fare carriera come impiegata alla radio, lavora da un commerciante ebreo ed ebrea è la sua migliore amica, Eva. Ma non trova assolutamente nulla di strano in quel che Goebbels, promotore della soluzione finale, fa, e adempie al proprio lavoro di fabbricatrice di veline, gonfiando e ritoccando le notizie. È quello che lei, oggi, chiama «questa cosa molto prussiana di seguire le regole, eppure allo stesso tempo mentire un po’, oppure dare la colpa a qualcun altro». Ed è questo a rendere la sua testimonianza così preziosa, anche perché a tratti lei sembra mettersi nei panni della se stessa di allora. E con gli occhi di oggi, l’ultracententenaria (aveva 103 anni quando è stata fatta l’intervista, due anni fa) guarda a quella se stessa giovane, superficiale, codarda. Ha pensato solo a sé, eppure con un filo di compiacimento si lascia sfuggire: «Te la sei cavata sempre», e non si sente colpevole, se non in maniera indiretta. «A meno che non si voglia incolpare l’intero popolo tedesco. È stata colpa di tutti, anche mia», sciogliendo le responsabilità personali in quelle collettive. E soprattutto: «Quelli che oggi si indignano per la sorte degli ebrei pensando che loro avrebbero fatto qualcosa, lo pensano davvero. Però non credo lo stesso che avrebbero fatto qualcosa».
Pomsel sostiene di aver saputo dell’esistenza di campi di concentramento, ma di non aver immaginato il genocidio e i piani di sterminio. Dopo due anni di prigione, va a Buchenwald, cerca la sua amica Eva, e ne trova il nome tra i morti del campo. E la sua visione, per forza di cose impastata di giustificazione e colpa, è nera: «Il male esiste. Non so come dirlo... Dio non esiste, ma il diavolo sicuramente sì». Parola della sua segretaria. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

IL FESTIVAL
I docufilm Doomed Beauty e A German Life sono al Trieste Film Festival ( fino al 29 gennaio). A destra una foto di Brunhilde Pomsel tratta dal film. Nelle altre immagini, foto d’epoca di Lida Baarova: sotto, sul set con Franco Fabrizi; in alto, con Eduardo De Filippo; sopra nel ’ 36 con Goebbels ( destra) e Gustav Froehlich

Nessun commento: