martedì 24 gennaio 2017

L'autobiografia di Desmond Morris

Ebook Un cervo in metropolitana e altre storie della mia vita con gli animali Morris, Desmond
Desmond Morris: Un cervo in metropolitana e altre storie della mia vita con gli animali, Mondadori, trad. di Laura Serra, pagg. 640, euro 24

Risvolto
"Questo libro parla della gioia di osservare il mondo. È un testo autobiografico, però non riguarda tanto me quanto le cose che ho visto. Sono affascinato dal mondo che mi circonda e da quello che sono riuscito a vedere e a registrare in sessant'anni di osservazione, prima come studioso del comportamento animale e poi come studioso del comportamento umano. Per tutta l'infanzia sono stato attorniato da animali: dividevo con essi perfino la carrozzina. Da grande ho studiato zoologia e sono diventato etologo. I miei studi sul comportamento animale mi hanno condotto allo Zoo di Londra, dove ho ricoperto la carica di conservatore dei mammiferi. Poi le mie ricerche sugli scimpanzé mi hanno spinto ad analizzare il più affascinante di tutti gli esemplari: la scimmia nuda. In questo libro introdurrò il lettore nei vari scenari della mia vita: da uno studio televisivo nello zoo di Londra a una casa di geishe a Kyoto; da una sperduta tribù africana a un casinò di Las Vegas; dalla 'dolce vita' mediterranea alla dura realtà della malavita di Los Angeles. Ammetto che ho spesso sorriso del lato più leggero della vita o riso di gusto delle bizzarre manie e idiosincrasie dell'umanità, ma non me ne scuso. È indubbiamente una mia debolezza, ma credo che renderà più gradevole la lettura." Con strepitoso humour britannico, Desmond Morris racconta in questo libro la sua carriera di uomo di scienza e divulgatore, e i tantissimi incontri con animali straordinari e altrettanto straordinari esseri umani, da Dylan Thomas a Joan Miró, a Yoko Ono, Stanley Kubrick e Marlon Brando.             

 "Nonostante tutto ho fiducia nell’uomo” 

Esce “Un cervo in metropolitana”, un’autobiografia del grande etologo inglese Desmond Morris, studioso delle scimmie e delle “tribù contemporanee”
ANTONELLO GUERRERA Rep 24 1 2017
Desmond Morris non sa che il suo ultimo libro, “Un cervo in metropolitana”, in Italia esce oggi, nel giorno del suo 89esimo compleanno. «Ma davvero?», replica eccitato il grande etologo, artista e studioso inglese dalla sua casa di Oxford. «Che meraviglia. Sa, non avrei mai creduto di poter vivere così a lungo. E
mi spiace molto esser arrivato già al capolinea della vita. Me la son goduta, però: non ho mai avuto soldi in banca, ho sempre speso tutto e subito. Ma non potrò resistere per molto, lo so. Quante cose vorrei ancora vedere, quanti paesi e culture non riuscirò mai a conoscere, il Perù, le Galapagos... Che dispiacere non poter più osservare l’umanità, immaginare il suo futuro ».
E già, chissà che fine faranno le “scimmie nude”, come Morris definì l’umanità nel suo capolavoro del 1967, The Naked Ape, dove descrisse l’evoluzione e «gli esseri umani come se fossi un alieno sbarcato da un altro pianeta». Un approccio rivoluzionario, quale è sempre stato quello di Desmond Morris, proficuo autore di molti altri testi come Lo Zoo umano e La Tribù del calcio. Un maestro irrequieto e irriducibile, che ha studiato e teorizzato la zoologia, l’etologia, la sociobiologia e poi l’arte, il surrealismo.
Morris è un eretico dio “pan”, in quanto “natura” ma anche “tutto”. Un cervo in metropolitana (Mondadori) è la definitiva Wunderkammer della sua vita e del suo pensiero. Un’autobiografia possente ma audace ed esilarante: dall’infanzia solitaria al successo inatteso, dalle ricerche all’inseparabile Ramona amata dal ‘52, dall’incontro con Dylan Thomas ubriaco ai volatili che quasi evirarono il suo maestro Konrad Lorenz in un esperimento.
Lei, Morris, è uno studioso totale. Anche per questo diversi colleghi l’hanno accusata di essere naif e superficiale.
«Ho sempre invidiato coloro che nella loro vita si sono concentrati solo su un aspetto di una scienza. Ma io non sono fatto così. Ho bisogno di saltare da un argomento all’altro, senza freni o imposizioni».
Una scelta giusta, alla fine?
«Sì. Oddio, qualche rimorso ce l’ho: fossi stato uno studioso più canonico, forse avrei capito le origini e le ragioni dei colori di certi animali, i misteri dell’evoluzione in quelle esili sfumature cromatiche. Ma mi sono sempre sentito uno studente, non uno studioso, anche oggi a 89 anni. Il multitasking mi ha permesso di vedere cose che gli scienziati più devoti hanno spesso ignorato, e i miei libri lo dimostrano. Sapere alla perfezione un lato della scienza non basta. Difatti, le grandi scoperte sono arrivate spesso per caso».
Qual è stata la più grande lezione che ha imparato durante la sua lunga carriera?
«Che gli esseri umani sono molto meglio di quanto si creda. All’inizio della mia vita, tra guerre e genocidi, ero terrorizzato dalla nostra razza. Perciò mi misi a studiare gli animali».
E poi cos’è successo?
«Ho capito che mi sbagliavo. Così, negli anni Sessanta, passai ad analizzare gli uomini. Sono molto meglio di quanto credessi: hanno uno spirito collaborativo eccezionale, una creatività impareggiabile. E poi ho scoperto la potenza del linguaggio gestuale, soprattutto in Italia, forse lo studio di cui vado più fiero ».
Perché?
«È un modo molto efficace per osservare e comprendere il genere umano. Forse il migliore. I politici di oggi, per esempio, si studiano e si capiscono solo con i gesti. Quando li vedo in tv, tolgo l’audio».
E a quale conclusione è arrivato?
«Che Donald Trump, per esempio, è tutta un’altra persona. La sua gestualità è molto delicata, precisa, soffice, l’opposto delle parole che pronuncia. Le sue movenze sono molto rassicuranti e secondo me sono state decisive per la sua vittoria. Hillary Clinton invece era molto più rigida, si concedeva pochissimi gesti, se non quel sorriso robotico che molti hanno percepito come falso. Ha soppresso il linguaggio del corpo e le emozioni, con le conseguenze che tutti sappiamo».
A proposito di Trump, la spaventa il populismo oggi? È un ritorno al nostro passato tribale?
«Per milioni di anni ci siamo evoluti in piccoli gruppi e abbiamo visto i membri degli altri come “lo straniero” e, dunque, un possibile nemico. Ciò ha ovviamente conseguenze anche oggi. È per questo che il multiculturalismo o la globalizzazione troppo veloci innescano tensioni nella società contemporanea, e quindi populismo, xenofobia, conflitti interetnici o religiosi. Per un’evoluzione di questo tipo servono tempo, secoli, millenni. Anche per questo i leader mondiali riscuotono sempre meno consenso. Oggi devono essere leader di tutti, non solo di una semplice “tribù”, ed è molto difficile trovarne uno che incarni un vero riferimento generale ed eterogeneo. Oggi abbiamo realtà eccessive, troppo grandi e numerose per un essere umano».
Quindi lei è pessimista per il futuro?
«No, affatto. Credo che l’umanità possa migliorare sempre di più. Il problema maggiore è il sovrappopolamento della Terra: in poco più di mezzo secolo, la popolazione mondiale è raddoppiata e questo non è sostenibile. Di questo passo, arriverà in futuro una pandemia che ci decimerà. Ma nel frattempo possiamo trovare delle soluzioni. Per il resto, da razza tribale ci evolveremo presto geneticamente in urbana, dove la vera selezione naturale saranno i suicidi. E anche la tanto temuta tecnologia non ci renderà stupidi, perché ci mantiene attivi e curiosi a lungo. Nel frattempo, l’istinto della caccia si è evoluto in attività ludiche e pacifiche come il calcio, dove gli hooligan sono sempre di meno. Ma la cosa fondamentale è che gli esseri umani sono tutti uguali, in ogni parte del mondo, con i loro desideri, le voglie, i timori. Sono gli esseri viventi più collaborativi, generosi ed empatici che abbia mai conosciuto. Per questo ho fiducia e dico: viaggiate il più possibile. Riscoprirete quella meravigliosa forza umana che è in noi e che ha sempre sconfitto i tiranni, le paure, il male».
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