venerdì 20 gennaio 2017

Ricordi di Giacomo Debenedetti



I saggi per riscoprire Debenedetti il principe dei criticiGiornale Andrea Caterini - Mer, 22/03/2017


Giacomo Debenedetti L’arte del saggio letterario 
Cinquant’anni fa moriva il grande critico letterario Nel tramonto della narrativa classica vide ancora un futuro 
Andrea Cortellessa Busiarda 20 1 2017
Cinquant’anni sono pochi, per la storia; ma un’eternità nel tempo iper-accelerato in cui consumiamo, oggi, la nostra esistenza. Cinquant’anni fa, il 20 gennaio 1967, si consumava un’esistenza esemplare – o che tale è stata, nel formarsi psicoaffettivo della mia generazione; mentre è verosimile appaia del tutto aliena, «storica» come quella di un ussaro napoleonico o d’uno scriba egizio, ai «nativi digitali» di oggi. Moriva quel giorno colui che l’unico suo possibile rivale, Gianfranco Contini, definì «primo critico letterario italiano di questo secolo»: Giacomo Debenedetti.
Fra i non molti a ricordarlo è l’editore che – tanti passaggi societari dopo – a lui tutto deve, il Saggiatore. Anche se lo fa, con contraddizione non priva d’una sua torbida eleganza, al contempo chiudendo la collana a lui più direttamente ispirata, le «Silerchie». Vi esce infatti in questi giorni la sua quarta e ultima raccolta saggistica, Il personaggio-uomo (pubblicata postuma nel 1970). Fra i cultori di Debenedetti è classica la diatriba tra la perfetta calibratura «narrativa» dei saggi e la tessitura «conversativa» dei grandi corsi universitari (da «libero docente», beninteso), a Messina e a Roma; ma proprio Il personaggio-uomo rappresenta, in tal senso, la sintesi perfetta: facendo precipitare nella forma-saggio la straordinaria apertura alla contemporaneità che caratterizzò il suo ultimo decennio di vita: quello coinciso, appunto, coll’avventura del Saggiatore di Alberto Mondadori. Come dice Raffaele Manica nella bella prefazione, è «il passaggio del testimone nella staffetta che salda il Debenedetti scritto al Debenedetti orale».
Sempre Manica ricorda le parole di Hannah Arendt su Walter Benjamin, sulla «fama postuma» che sembra «essere il destino degli inclassificabili». E tanti sono in effetti i contatti fra queste due biografie: dalla natura anfibia, di critico e insieme scrittore, sino all’incomprensione da parte di quell’Università che avrebbe dovuto coltivarne il magistero, passando per l’identità di marxisti eretici (animati dal sostrato della mistica ebraica). Ma ce n’è un altro, più sottile. Tanto Benjamin che Debenedetti, infatti, si congedano dalla forma che hanno innalzato a cime abissali, il saggio appunto, con un episodio di perfetta ambivalenza: tanto il saggio sul Narratore del primo che la Commemorazione provvisoria del personaggio-uomo (le quaranta straordinarie pagine del ’65 che danno il titolo alla silloge) celebrano lo spirito della narrativa classica registrandone il tramonto; e si spingono più d’ogni altro nel futuro – come l’Angelo della storia raffigurato dallo stesso Benjamin – con gli occhi fissi sul passato. È il viatico migliore per un tempo, quello odierno, che pare costretto a commemorare, con Debenedetti, una cosa che non c’è più: la critica letteraria, appunto. Destinata però forse a risorgere – in forme nuove, s’intende, e oggi imprefigurabili – in un futuro tutto da scrivere.  BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI


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