giovedì 26 gennaio 2017

Rimane il maggioritario: l'Imbroglione Giovane stravince. E' la pietra tombale sulla ricostruzione di una sinistra autonoma

C'è gente in perfetta buona fede che sta festeggiando per il "ritorno al proporzionale" senza minimamente immaginare il cetriolone che è proprio dietro l'angolo.
Nel frattempo, altri, in fede un po' peggiore, festeggiano pensando che è finalmente tornato il momento di compilare le liste elettorali [SGA].

Corriere della Sera

Renzi e il piano per il voto “Niente ostacoli alle urne Ma Gentiloni va coinvolto” 
Il segretario Pd pensa a un listone con Pisapia e Alfano 
Fabio Martini Busiarda 26 1 2017
È euforico, di nuovo su di giri. Come nei giorni in cui era il padrone della politica italiana. Certo, una volta Matteo Renzi sarebbe apparso in tv a raccontare a tutti la sua versione dei fatti, ma per ora la «cura» del silenzio continua. Il segretario del Pd ovviamente ha parlato a lungo con i suoi amici e nel pomeriggio, una volta letto il comunicato della Corte Costituzionale, Renzi ha esclamato: «Ragazzi, ma questo è un trionfo!». Nella sua lettura, la Consulta non ha toccato il cuore dell’Italicum e ha «soltanto» cancellato il ballottaggio: «Ma quale Legalicum!», commentava ieri sera un Renzi talmente affezionato al suo «Italicum», che l’ex premier ora accarezza la tentazione di utilizzarlo per andare ad elezioni anticipate. Quando? «Calma e gesso», confidava ieri sera l’ex premier, perché non si può cavalcare la questione elettorale con le tragedie ancora in corso. Dunque, escluso il voto subito, in primavera, ma da ieri al Nazareno l’11 giugno è considerato più vicino. Quella che Renzi ha messo in cantiere è una «escalation soft». 
Il suo disegno, tracciato a caldo dopo la sentenza della Consulta, si dipana in tre mosse. Primo: mettere la sordina alla corsa al voto. «Non facciamoci prendere dalla fretta», dice Renzi, perché a suo avviso sarebbe un errore madornale dare l’impressione al Paese di guardare a questioni di bottega, mentre è ancora forte l’emozione collettiva per i morti d’Abruzzo. E infatti, ieri pomeriggio, un renziano doc come Francesco Bonifazi è stato costretto proprio da Renzi a cancellare in un baleno un tweet considerato troppo «oltranzista». Poco dopo la diffusione del comunicato della Consulta, Bonifazi aveva scritto: «E adesso non ci sono più alibi. Votiamo e vediamo chi ha i numeri nel Paese». Fuori mood: bocciato.
La seconda mossa del piano Renzi prevede l’approdo in Parlamento, nel giro di qualche settimana, dei progetti di riforma elettorale, col Pd che spingerà per il ripristino del Mattarellum, la legge maggioritaria con i collegi. In quel frangente il Pd prenderà atto quel che è noto da settimane: una maggioranza per far passare una riedizione del Mattarellum non esiste. E a quel punto scatterebbe il terzo tempo del piano: il Pd proverà ad armonizzare il Consultellum-1 (la legge per il Senato, ricavata da una vecchia sentenza della Consulta) e il Consultellum-2, la legge elettorale per la Camera ricavata dalla pronuncia di ieri della Corte Costituzionale. Se anche questo tentativo fallisse per le divisioni tra i partiti, a quel punto si aprirebbero le porte ad uno scenario del quale Renzi ragionava ad alta voce: «L’attuale normativa per il Senato, che prevede una soglia all’8% per le coalizioni, ha un forte effetto maggioritario». E dunque, ma questo Renzi non lo dice neppure in «casa», non resterebbe che votare con i due «Consutelli». E aggiunge: «Una soluzione che piace a Forza Italia...».
A quel punto bisognerebbe preparare le truppe «ritagliate» su due leggi di impianto proporzionale. Ragionava ieri Renzi: «Poiché si va verso una legge con quell’impianto lì e poiché alla Camera bisognerà presentare una lista coalizionale», già nelle prossime ore si intensificheranno i contatti con la «lista Pisapia» e con i centristi raccolti attorno ad Angelino Alfano. Con loro Renzi si misurerà anche in Primarie di coalizione? Questione ancora non decisa, ma intanto nelle segrete stanze già si discetta su quanti capolista bloccati (salvati dalla Consulta) si possano assegnare alle tre forze nel futuro «Listone». Mentre Lorenzo Guerini sta già preparando le liste del Pd ieri sera circolava la prima stima della lista coalizionale il 75% dei bloccati al Pd e il restante 25% diviso tra le due ali. 

Certo, per uno show down, restano molti problemi che Renzi conosce bene: l’ostilità dentro al Pd di una area - più larga della minoranza - alle elezioni anticipate. Ma anche la difficoltà a «sfiduciare» un governo guidato da un esponente del Pd, Paolo Gentiloni che ha approvato provvedimenti importanti, che sta operando senza intoppi e che sta dimostrando la massima lealtà verso Renzi. L’ex premier, pur restando diffidente per natura verso tutto e tutti, ieri sera confidava che in vista di uno scioglimento anticipato delle Camere serve un’operazione corale, «dal presidente del Consiglio fino a tutti gli esponenti della maggioranza del partito».  BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI

La maggioranza (im)possibile Sondaggisti concordi: nessuno avrà quella assoluta e servirà un governo di coalizione Weber: “Avremo un sistema quadripartito, di fatto un proporzionale puro” Alessandro Di Matteo Busiarda 26 1 2017
Quel premio per chi arriva al 40% è quasi irraggiungibile, almeno secondo alcuni dei principali sondaggisti e studiosi di dinamiche elettorali e, se il Parlamento non rimetterà mano alla legge elettorale, il prossimo governo sarà di nuovo di larghe intese o, comunque, sostenuto da partiti che erano rivali alle elezioni. Roberto D’Alimonte, Nicola Piepoli e Roberto Weber analizzano il sistema che esce dalla sentenza della Consulta - l’Italicum corretto o il «Legalicum», per dirla alla maniera di M5S - e tutti concordano sul fatto che anche provando a mettere insieme delle alleanze, il premio di maggioranza sarà difficile da ottenere.
D’Alimonte, che dell’Italicum è un po’ l’ideatore, non è affatto sorpreso della decisione della Corte («L’avevo anticipata ampiamente») e sottolinea innanzitutto l’aspetto che più interessava a Matteo Renzi: «Si potrebbe andare a votare senza ulteriori interventi del Parlamento. Credo che Renzi possa essere soddisfatto, perché rimane un elemento maggioritario (il premio di maggioranza alla Camera, ndr) e i capilista bloccati che gli danno uno strumento molto importante per gestire il partito ». 
I veri problemi, spiega, li avrà Silvio Berlusconi, perché «la presenza del premio gli pone un dilemma: vorrebbe correre da solo, ma così si condannerebbe a un ruolo secondario, perché non potrebbe partecipare alla corsa per il premio. E se si alleasse con Salvini e Meloni dopo sarebbe difficile fare il governo con Renzi, come è nelle sue intenzioni». In ogni caso, aggiunge D’Alimonte, «nessuno avrà la maggioranza assoluta e servirà un governo di coalizione», perché il premio è previsto solo alla Camera, mentre al Senato «le soglie (all’8% per chi non è alleato, ndr) potrebbero produrre un effetto maggioritario, ma difficilmente tale da dare una maggioranza assoluta». 
Secondo Piepoli, poi, la sentenza dovrebbe allontanare il voto: «Questa legge incasina i partiti, li costringe a ragionare in termini maggioritari. Nessuno può vincere da solo, nemmeno Pd o M5S. Bisogna coalizzarsi, ma così i grandi partiti subirebbero i ricatti dei piccoli». Peraltro, aggiunge, « è comunque molto improbabile raggiungere il 40%». Insomma, «la situazione è così caotica che, per conto mio, non si va alle elezioni ». Lo stesso Renzi, «secondo me non ha troppa voglia di votare, lascia governare Gentiloni, che sa governare, e il Pd ne guadagna». Piepoli cita un dato: «La fiducia degli italiani in Gentiloni è aumentata di 4 punti in due settimane ».
Difficile raggiungere il premio anche secondo Weber: «Mi pare assai improbabile, anche ricorrendo ad una lista-coalizione (come pensa di fare il Pd, ndr). Peraltro, a destra credo che non raggiungeranno un accordo e avremo un sistema quadripartito, di fatto un proporzionale puro». In questo contesto, scordiamoci di «sapere subito chi ha vinto le elezioni». Semmai bisognerà provvedere ad operazioni di «costruzione politica» ma «Grillo e Salvini non hanno mostrato qualità da questo punto di vista. Renzi, mi pare più capace di cucire». 
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«Si può votare», Renzi verso l’azzardo. Ma nel Pd scatta l’ora della verità 

Democrack. Bersani: no urne. Ma per lui il partito ha pronta una propostina: la corsa da sindaco nella sua Piacenza. Dal Colle filtra il riserbo. Ma fino alle motivazioni resta sul tavolo la questione dell’omogeneità
Daniela Preziosi Manifesto 26.1.2017, 23:59 
Alle cinque del pomeriggio i cellulari dei deputati Pd diventano radioattivi tutti insieme, all’improvviso. Il gruppo sta inviando i primi lanci di agenzia sulla sentenza della Consulta: cancellato il ballottaggio, restano i capilista bloccati e il premio di maggioranza alla lista che raggiunga il 40%. Fausto Raciti, giovane segretario siciliano e giovane turco, sorride scorrendo gli sms: «Per noi proporzionalisti così va bene». Anche per i coalizionisti però non va male: per raggiungere il 40 per cento la lista dovrà essere un «listone»: qualcuno parlava di «nuovo Ulivo»? Il Transatlantico fin lì mezzo vuoto in attesa di verdetto si trasforma in un autobus all’ora di punta. Facce renziane si illuminano di un buonumore che non si vede dal giorno della sberla referendaria. In capannelli separati, le facce della sinistra Pd si allungano. È il capogruppo Ettore Rosato a dare la linea: «Non c’è una bocciatura dell’Italicum», ripete, e giura che le leggi di camera e senato ora sono «omogenee» come ha chiesto il presidente Mattarella, «per noi bisogna andare al voto subito». Dario Parrini convince i cronisti: «Le due leggi sono già armonizzate, non lo erano prima quando erano maggioritario e proporzionale». Il vicesegretario Lorenzo Guerini, più realista, aggiunge qualche avverbio: la legge che esce dalla Consulta «è tendenzialmente omogenea e immediatamente applicabile. Siamo per il Mattarellum e siamo disponibili ad un confronto ma senza perdere tempo. Il Pd non ha paura del voto». Due metri più in là il bersaniano Nico Stumpo è scettico: «Stiamo ai fatti: abbiamo una legge in molte parti giudicata incostituzionale proprio come il Porcellum». Quanto all’«omogeneità», «da una parte c’è il premio dall’altra no, gli sbarramenti sono molto diversi. Diciamo la verità: andare al voto adesso è una scelta politica del Pd». Roberto Speranza chiede che il parlamento «si riappropri della potestà legislativa e approvi una nuova legge». Si scatena l’ironia dei renziani. 
Dal Nazareno la «soddifazione» di Renzi rimbalza fino a Montecitorio. Il segretario prepara la sua «ripartenza» sin dalla mattina quando mette in rete un blog nuovo di zecca, benché stile vintage. Primo post: «Il futuro prima o poi ritorna. Ci sono molti modi di cominciare. E di ricominciare». Poi, con un messaggio su whatsapp ringrazia – e licenzia – la vecchia segreteria. Oggi sarà il giorno del nuovo team. 
Ma nel pomeriggio la sentenza è il miglior assist che poteva desiderare, a patto di tralasciare che la Corte ha bastonato la legge che tutti dovevano copiare eccetera. I capilista bloccati gli danno la golden share per convincere Berlusconi che anche per lui il Legalicum è il massimo risultato possibile. Ma soprattutto Renzi ora può trattare da una posizione di forza con quelli che nel suo partito non vogliono andare a votare: prendere un drappello di capilista e rassegnarsi. Sono Dario Franceschini e Andrea Orlando. Per ora chiusi in un silenzio giustificato: il primo è in visita ufficiale a Londra, il secondo lima il suo discorso per l’inaugurazione dell’anno giudiziario, «delicatissimo», si spiega, per via della protesta dei magistrati. Ora i due e le loro truppe di «frenatori» in sintonia con gli intenti del Colle dovranno uscire allo scoperto. Dal Quirinale filtra il «riserbo» del presidente ma anche una sottolineatura che per ogni valutazione bisognerà aspettare le motivazioni della sentenza alla luce delle quali andrà valutata la questione della omogeneità delle leggi. 
Discorso diverso per i bersaniani. In lista per loro ci sarebbero ben pochi posti «garantiti». Bersani ripete il suo no al voto: «Bisogna guardarsi un attimo intorno. Abbiamo qualche problemino noi: abbiamo il problema delle banche; il problema del lavoro ed il referendum; il terremoto; abbiamo forse da fare una manovrina», dichiara al Fattoquotidiano.it. Ma al Nazareno Renzi ha già ingranato la marcia. Prepara la sua rentrée per il 28 a Rimi. L’impossibile voto l’11 giugno ora sembra possibile. «Mi bastano tre settimane per chiudere la legge elettorale», aveva detto alla vigilia della sentenza. Quanto a Bersani, per lui il Pd potrebbe fare una propostina a cui sarebbe dura dire di no: sacrificarsi per il partito, candidarsi a sindaco della sua Piacenza. E tanti saluti alla ditta.

L’ex premier soddisfatto: confermata la validità dell’impianto. Anche nel Pd c’è chi frena sui tempi Renzi vede le urne più vicine “Trattiamo, ma ora la legge c’è” Berlusconi prepara la trincea TOMMASO CIRIACO CARMELO LOPAPA Rep
ROMA. È il calcio d’inizio della partita elettorale, il segnale che diceva di aspettare. Matteo Renzi la vive così e scalda i muscoli. «Calma e gesso - predica quasi euforico ai suoi al Nazareno - Tenteremo di tornare al Mattarellum, ma con queste leggi della Consulta si può già andare a votare». Non più tardi di giugno, anche se il “partito del rinvio” resta sempre in agguato.
Per come si erano messe le cose dopo il referendum, la Corte non poteva fare altro che cancellare il ballottaggio. «Il doppio turno - confida l’ex premier - era già morto il 4 dicembre». La sentenza, nell’ottica renziana, diventa un punto a favore. Di più, un punto a favore delle urne. Non è il solo a pensarla così, dato che pochi minuti dopo il responso Grillo e Salvini (non Luigi Di Maio, che chiede «correttivi al Senato») urlavano già “al voto, al voto” con il “Legalicum”. Resta fuori, si mette di traverso e minaccia barricate soltanto Silvio Berlusconi.
L’ex premier, tornato in maniche di camicia, è chiuso nella stanza da segretario al Nazareno. Intorno alla scrivania, nel giorno in cui licenzia con un sms l’intera segreteria, resta la cerchia davvero ristretta dei fedelissimi. Niente trionfalismi, è la parola d’ordine, non tira aria di questi tempi. E poi non è il momento di far rullare i tamburi, con i terremotati da assistere, le banche da tenere d’occhio, gli importanti dossier che il governo Gentiloni deve mettere al sicuro, primo tra tutti quello dei conti pubblici. Detto questo, per Renzi il pronunciamento dei tredici giudici della Corte è né più né meno che la conferma della tenuta costituzionale della sua legge elettorale. Resta in piedi il premio di maggioranza, sopravvivono perfino le pluricandidature. Ci sono insomma le condizioni per andare a votare così, per il leader dem. Tanto più con la Lega e il Movimento che si agitano nelle piazze: «Non possiamo dare l’impressione di essere quelli che hanno paura del voto - è il ragionamento del segretario - anche perché non è così e siamo ancora il primo partito».
Ci saranno dei passaggi da consumare e saranno consumati. Il Pd attenderà senza eccessive forzature le motivazioni della Consulta, entro il 25 febbraio, sarà aperto un tavolo con le altre forze politiche, «vedremo se davvero hanno intenzione di cambiare le regole o piuttosto di tirare per le lunghe». Se andrà bene, qualche ritocco lo si farà in poche settimane, altrimenti dritti al voto. Renzi, d’altra parte, si sente già in campagna elettorale. Prima tappa, la due giorni di Rimini di domani e domenica con gli amministratori, alla quale potrebbe fare la sua comparsa anche il premier Paolo Gentiloni. E se è per questo, il segretario ha deciso perfino dove si misurerà: collegio senatoriale in Toscana, perché vuole entrare in Parlamento «a suon di preferenze».
L’umore è schizzato a mille, la sentenza vissuta come una rivincita sulla sinistra interna. I volti dei big della minoranza, ieri in Transatlantico, non sprizzavano certo gioia. Con questo sistema, per loro, le vie di fuga sembrano minime. «A dire il vero - sostiene Miguel Gotor - cade l’idea renziana iper maggioritaria della democrazia del capo». Il problema è che proprio il capo avrà in mano le liste elettorali. «Me l’ha detto anche un leader che ho sentito oggi - racconta in privato l’ex premier - “Matteo, ora avete il coltello dalla parte del manico”». Vale anche nei confronti degli altri capicorrente. I cento capilista li selezionerà il segretario, mentre gli altri dovranno combattere furiosamente a colpi di preferenze per un esiguo bottino di seggi. Ed è proprio in questo delicato braccio di ferro tutto interno al Pd che si decideranno i tempi del ritorno alle urne. Serve un patto tra le diverse anime, oppure sarà scontro. E se Matteo Orfini è al fianco del leader, Andrea Orlando ha qualche dubbio in più sulla rincorsa elettorale. Per non parlare di Dario Franceschini e del resto del “partito del rinvio”.
E Forza Italia? «Renzi farà “’o pazz” per andare a votare, ma lui non è il Pd», provoca a Montecitorio Renato Brunetta, reduce da cinque minuti di colloquio in buvette con il ministro pd Anna Finocchiaro. Il fatto è che per Silvio Berlusconi l’affare si complica non poco. Il Cavaliere - che ieri è finito di nuovo al San Raffaele per esami - ha l’esigenza primaria di guadagnare tempo e di allontanare le elezioni, nell’attesa della sentenza della Corte europea sulla sua candidabilità che dovrebbe arrivare entro il 2017. Altro che urne subito, insomma. Prima del ricovero i big riescono a sentirlo. E la linea non cambia: «Questo sistema non ci favorisce », detta il Cavaliere. Ha il vantaggio dei capilista bloccati, ma tiene in vita le odiate preferenze. Con la bozza che hanno invece messo a punto Ghedini e Letta un mix di mini collegi e proporzionale - sogna di riportare in Parlamento almeno 150 fedelissimi. Sfilandosi dalla stretta di Salvini.
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Pd, blog e squadra nuova per il voto Renzi cita gli scout e riparte con lo slogan: “Il futuro prima o poi torna”. Richetti entra nella segreteriaGIOVANNA CASADIO Rep
ROMA. Nel giorno della sentenza della Consulta, Matteo Renzi lancia il suo blog e saluta la vecchia squadra dem, annunciando che a ore ci sarà la nuova segreteria del Pd. Un gruppetto di centometristi: è la battuta che circola al Nazareno, la sede del partito, per dire che è la squadra che deve preparare il partito nell’orizzonte di elezioni a breve. A giugno, preferibilmente.
La giornata è cruciale. Renzi decide due mosse. La prima è mandare sulla chat della segreteria su WhatsApp un messaggio: «Care amiche e amici, grazie a tutti per quanto avete fatto... riorganizzeremo il partito con una nuova segreteria ma continueremo a combattere insieme ». Qualcuno lo interpreta come un benservito senza neppure una convocazione. Comunque rispondono: «Un onore lavorare con te». La seconda mossa è quella che segna la riscossa social e il primo passo della nuova strategia politica: un blog per comunicare senza intermediari, come fa Beppe Grillo col suo di blog. Il titolo del primo post: «Il futuro, prima o poi, torna». E però subito la precisazione che non si tratta di un blog per reduci: «Ci sono molti modi di cominciare. E di ricominciare. Chi è cresciuto con l’esperienza scout sa che il modo più bello è mettersi in cammino...Noi siamo fieri dei nostri mille giorni. Ma, ragazzi, anche basta. Quello è il passato, ormai. E questo blog non è pensato per i reduci. È un luogo in cui camminare insieme in tanti». Di certo con quei «milioni e milioni di italiani che hanno votato Sì al referendum costituzionale e anche di chi ha votato No e ha voglia di confrontarsi». E poi una stoccata dell’ex premier e segretario del Pd all’Europa: «A cosa serve l’idea dell’Europa nata a Ventotene? A inviare letterine ridicole per chiedere assurde correzioni sul deficit, come quelle che ci hanno inviato senza risultati per tre anni?». Ce n’è per tutti nel blog studiato nei dettagli con una grafica da “Italian Graffiti”, maniche di camicia, cravatta rossa e un sbaffo di bandiera del Pd sotto la firma Matteo Renzi.
Il blog si porta dietro polemiche che vengono dalla minoranza del Pd, del tipo: «Ma non avevi detto propri tu a Grillo di uscire dal blog?». Però i dem sono concentrati sul partito e su come risalire la china dei consensi. Quindi, i nomi della squadra della segreteria praticamente certi: Lorenzo Guerini e Debora Serracchiani, i vice segretari, dovrebbero restare. All’organizzazione del partito arriva Andrea Rossi, braccio destro del governatore dell’Emilia Romagna, Stefano Bonaccini. L’ultima novità sarebbe Matteo Richetti, il “figliol prodigo”, fu definito, che dopo tanti conflitti con Renzi si è buttato a capofitto nella campagna referendaria. Entra Tommaso Nannicini che si occuperà del programma. Piero Fassino, l’ex sindaco di Torino e segretario dei Ds, sarà responsabile Esteri. Ci sarà con molta probabilità anche Maurizio Martina, ministro dell’Agricoltura e leader della corrente “Sinistra è cambiamento”. Restano Matteo Ricci, vice presidente del partito, Andrea De Maria, cuperliano, Alessia Rotta, Emanuele Fiano. Infine i sidaci, che dovranno portare l’esperienza e i problemi locali: Mattia Palazzi, primo cittadino di Mantova e per il Sud, o il sindaco di Ercolano, Ciro Buonajuto o Giuseppe Falcomatà di Reggio Calabria.
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