martedì 24 gennaio 2017

Sociologia sondaggista dell'ovvio e dell'inutile: nel prossimo quarto d'ora agli italiani piace l'Uomo Forte, in quello successivo chissà

La voglia dell’ Uomo forte Il leader solo al comando piace a otto italiani su dieci

L’esempio di Trump e Putin. Ma anche quello di Renzi, oggi indebolito. Con il declino della politica e delle rappresentanze sociali, nel Paese è cresciuto negli ultimi anni il desiderio di una guida risoluta, soprattutto tra i giovani
ILVO DIAMANTI Rep 24 1 2017
GRILLO lo ha chiarito esplicitamente al JDD: «La politica internazionale ha bisogno di statisti forti come loro». Un giudizio espresso non solo per valutazioni di politica internazionale, ma perché i due “statisti” propongono un comune modello di leadership. L’Uomo Forte, appunto. Beppe Grillo, d’altronde, non parla mai senza pensare al “suo” pubblico. Ai “suoi” elettori. E agli elettori in generale. Non interviene mai senza valutare il momento. E questo è, sicuramente, un momento giusto. Perché l’unico Uomo Forte che abbia agito nel Paese negli ultimi anni, oggi, appare meno forte. Mi riferisco a Matteo Renzi. Potente e un po’ prepotente. Come si è dimostrato fin dagli esordi, nel gennaio 2014. Quando ha rassicurato Enrico Letta con un tweet entrato nel linguaggio comune. “Enrico stai sereno”, twittava allora Matteo - mentre aveva già deciso di scalzarlo. Per sostituirlo, egli stesso, riassumendo, in prima persona, i due ruoli di comando. Nel Pd e nel governo. Renzi: aveva, così, avviato la trasformazione del Pd in PdR. Il Partito di Renzi. E, analogamente, del governo nel GdR. Il Governo (personale) di Renzi. Proprio per questo il M5s, insieme alla Lega di Salvini e a tutti i partiti di opposizione - di Destra, ma anche di Sinistra – ha condotto una campagna decisa per il No al referendum costituzionale. Perché si era trasformato, nei fatti, in un referendum “personale” su Matteo Renzi. Poi, perché il ridimensionamento del Senato avrebbe accentuato ulteriormente ruolo e poteri del Premier. Visto che la nuova legge elettorale, l’Italicum, nell’attuale versione, garantirebbe, alla Camera, una larga maggioranza al partito vincitore (con oltre il 40% dei voti al primo turno oppure al ballottaggio). Rafforzando l’esecutivo e chi lo presiede. Ma oggi, dopo la vittoria del No, il Bicameralismo in Italia resta – e resterà a lungo – paritario. Mentre Renzi si è dimesso, ma non si è certo ritirato. Al contrario. È in attesa. Di ri-presentarsi davvero con un Pd(R) vero.
A Renzi è subentrato Paolo Gentiloni che è tutt’altro. Un leader “impopulista” (così l’ho definito all’indomani dell’incarico). Per stile decisionale e di comunicazione. “Uomo di squadra”, non certo il leader di un “partito – e di un governo - personale”. Così la polemica aperta da Grillo assume un significato più chiaro. Perché i riferimenti evocati – Trump e Putin – condividono non solo un comune modello di leadership. Ma un comune bersaglio. L’Unione Europea. Che oggi appare stretta tra due fronti. Fra la Russia di Putin e l’America di Trump. Eugenio Scalfari, d’altronde, nell’editoriale di domenica, ha indicato in Trump, ma anche in Renzi, due figure esemplari, per quanto con un “diverso raggio d’azione”, di un’epoca nella quale “l’Io la fa da padrone”.
Per averne conferma è sufficiente osservare gli orientamenti dell’Opinione Pubblica. Italiana. Che appare attratta, a sua volta, dalla prospettiva di un Uomo Forte. Come mostrano i sondaggi condotti da Demos. Dai quali emerge come, fra i cittadini, questa idea risulti non solo maggioritaria, ma in costante crescita. E oggi dominante. L’affermazione: “C’è troppa confusione, ci vorrebbe un Uomo Forte a guidare il Paese”, infatti, nel 2004 era vicina – ma ancora sotto – alla maggioranza degli elettori. Nel 2006, però, era condivisa dal 55% degli elettori e nel 2010 quasi dal 60%. Ma oggi (meglio, pochi mesi fa, nel novembre 2016) l’attrazione verso l’Uomo Forte sfiora l’80%. Pare divenuta, dunque, un’idea dominante. Sulla quale conviene interrogarsi seriamente. Riflette, certamente, il declino dei partiti e delle organizzazioni di rappresentanza sociale e degli interessi. Ma anche il processo di “personalizzazione”, che si è imposto in ogni ambito della vita pubblica. Non solo in politica. Così il rapporto dei cittadini con i poteri e i potenti è divenuto sempre più “diretto”. Anzi, “immediato”. Senza mediazioni. E sempre più “verticale”. Perché la possibilità dei cittadini di re-agire con i leader, anche al tempo del digitale, non si può paragonare alla tendenza inversa. Che vede i leader comunicare “direttamente” con i (meglio: “ai”) cittadini. TV e Social media vengono, ormai utilizzati senza soluzione di continuità dai leader, come Renzi. Che twitta mentre parla e sta in TV. Ma, a confronto di Trump, anche Renzi è un dilettante. Perché Trump, più che parlare, cinguetta.
L’Uomo Forte, comunque, oggi appare un modello per tutti. Soprattutto fra i più giovani. I più disillusi, d’altronde, dalla politica e dai partiti. Se osserviamo gli elettorati di partito, inoltre, solo fra gli elettori di Sel e degli altri soggetti di Sinistra l’adesione a questa prospettiva non è maggioritaria. Anche se di poco. Presso la base degli altri partiti, invece, il consenso appare larghissimo. In alcuni casi, come FI (l’archetipo del “partito personale”), pressoché totale. Fra gli elettori della Lega e dei Fd’I: prossimo al 90%. Mentre nei due principali “avversari” politici, di questa fase, Pd e M5s, coinvolge oltre i tre quarti della base. Inutile rammentare, d’altronde, che l’elettorato del M5s è il più trasversale. Sotto il profilo politico e sociale.
Così, il richiamo all’Uomo Forte, espresso da Grillo va incontro a un orientamento condiviso e, al contempo, contraddetto. Dagli stessi elettori. Che si sentono “orfani” di un Capo. E, di quando in quando, lo cercano e lo votano. Ma poi tendono ad allontanarsi da esso.
Per questo, è difficile credere alla possibilità di alleanze del M5s con altri partiti, anche nel caso venisse approvata una legge di tipo proporzionale. Certo, il positivo giudizio su Trump (e Putin) ha suggerito la possibilità di un accordo con la Lega di Salvini. Un’alleanza nel segno del Trumpismo – all’italiana. Eppure gli elettori del M5s sono troppo trasversali. E, dunque, troppo diversi dalla base degli altri partiti. Tutti. Ma, soprattutto, da soggetti politici molto caratterizzati. Come la Lega. Il M5s, oggi, contende al Pd il primato nelle intenzioni di voto. Ma è condannato a star da solo. Contro tutti. Un non-partito come potrebbe allearsi con altri partiti?
©RIPRODUZIONE RISERVATA


Il trumpismo unisce i vertici di M5S e Lega ma non chi li vota 
L’eterogeneità della base grillina rende difficile la scelta di politiche e alleanze
Affinità nel no a Ue, immigrati e politici troppe però le differenze sui diritti

FABIO BORDIGNON LUIGI CECCARINI Rep 24 1 2017
TRA M5S, LEGA (e Fratelli d’Italia), i comuni “sentimenti”, sui quali fondare un eventuale matrimonio, non mancano. Così come gli “amici” in comune, almeno a giudicare dalle simpatie internazionali dei rispettivi leader. Ma esistono anche importanti punti di attrito, nel possibile patto di governo, sul quale persino i vertici pentastellati - secondo quanto svelato ieri su queste pagine da Tommaso Ciriaco - starebbero meditando.
Il trumpismo, in realtà, sembra unire la leadership dei partiti molto più dei loro elettorati. Se i fan del nuovo inquilino della Casa bianca sono in maggioranza (56%) tra gli elettori della Lega, chi invece vota per il M5s esprime, nella maggior parte dei casi, giudizi negativi. Gli argomenti sui quali impostare un percorso comune, ciò nondimeno, sono evidenti e in parte noti. Le “affinità elettive” tra il grillismo e la destra radicale sono spiegate anzitutto dall’approccio antagonista: contro l’Europa, contro il sistema (politico) e contro l’immigrazione. Gli elettori della Lega e del Movimento pensano, più degli italiani nel loro insieme, che il perimetro della corruzione si sia ulteriormente allargato, rispetto all’epoca di Tangentopoli. Ritengono, più degli elettori degli altri partiti, che l’Euro debba essere abbandonato. Vedono, più della media, l’immigrazione come problema, per le possibili ricadute in termini di sicurezza.
Su quest’ultimo punto - è il caso di precisarlo - gli elettori del M5s si presentano divisi, al loro interno, e comunque lontani dal partito di Salvini. Soprattutto, condividono l’idea che ai figli degli immigrati debba essere concessa la cittadinanza italiana: un punto sul quale l’elettorato leghista risulta invece spaccato a metà. Proprio sul terreno dei “diritti”, del resto, si registrano le maggiori divergenze tra i due potenziali alleati. Lo testimoniano, in modo chiaro, i giudizi sulle nozze gay: approvate dal 65% degli elettori 5s, ma dal 40% dei leghisti.
Tali atteggiamenti riflettono, in parte, la diversa composizione ideologica dell’elettorato delle due formazioni. Se chi vota per il Carroccio si (auto-)colloca esplicitamente a destra o a centro-destra (73%), il M5s conferma la natura composita della base. In particolare, sebbene la componente degli “esterni” (che si chiamano fuori dalle tradizionali categorie politiche) risulti oggi maggioritaria (41%), ben il 30% degli elettori 5s si dichiara di sinistra o di centro-sinistra.
Ma una quota appena inferiore, nel complesso, guarda al centro (8%) oppure a destra/centro-destra (21%). Una eterogeneità, quella della base pentastellata, che indubbiamente rende difficile “scegliere”: quali politiche, prima ancora che quali compagni di viaggio.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

Nessun commento: