mercoledì 1 febbraio 2017

Il Mito Transpolitico del professor Katechon e quella solita sinistra sottovalutazione della questione nazionale che produce populismi reattivi

Risultati immagini per cacciari“Nessuna sinistra oggi può vincere in Europa” Francesca Paci  Busiarda 31 1 2017
La crisi della sinistra è venuta a noia a Massimo Cacciari, che pure l’ha indagata come pochi. Ma, nella difficoltà di afferrare il nuovo ordine (o disordine) globale, il Novecento si prende la rivincita sulla Storia e torna a proporre le logiche politiche di ieri. 
Cosa possiamo dedurre dal trionfo di Hamon, la sinistra della sinistra francese?
«Il problema, in Francia e nel resto d’Europa, non è quale sinistra vinca ma se la sinistra vince alle elezioni che contano. E la risposta è no. È già capitato che alle primarie, anche locali, prevalesse la sinistra sinistra. Come Hamon a Parigi, a Venezia passò Casson. Ma poi si perde regolarmente. Nessuna sinistra, socialdemocratica o meno, può vincere oggi in Europa».
Perché non vince più?
«Ci sono ragioni storiche e strutturali. Da una parte è venuta meno la classe operaia, il suo blocco sociale di riferimento, dall’altra la sinistra non ha capito la crisi fiscale dello Stato. Non c’è più spazio per la sinistra tradizionale, certamente non per i D’Alema e i Bersani. Ma non ce ne sarebbe neppure per i grandi socialdemocratici del passato come Willy Brandt. Il mondo è cambiato e la sinistra appartiene al mondo di ieri. Come la destra».
E il presidente Trump?
«Trump non viene dalla destra tradizionale, che non lo voleva. E non vengono da lì i Grillo, i Salvini o i pro Brexit del Regno Unito, dove i Tory erano piuttosto europeisti. Anche Renzi non viene dalla sinistra tradizionale. O archiviamo i parametri del passato o sarà la catastrofe». 
Per la sinistra o per il mondo?
«Per tutti. Lo Stato nazionale non ha più la sovranità politica sui flussi di capitale, il lavoro dipendente si è polverizzato, le diseguaglianze crescono a dismisura e i poteri politici non sanno per loro natura affrontare problemi di questo genere. L’unica cosa che potrebbero fare è smetterla di sbandierare la sovranità che non hanno più e dire la verità sul poco che possono fare».
Tipo il reddito di cittadinanza?
«Quella è la strada giusta. Se ci illudiamo che ci sarà di nuovo uno sviluppo capace di produrre più lavoro sbagliamo. È ancora il mondo di ieri, quello in cui si credeva che la rivoluzione tecnologica avrebbe aperto nuovi settori. È un fatto: sebbene in Occidente la ricchezza continui a crescere si riducono le chance per il lavoro. Ma non per questo bisogna lasciare la gente senza le risorse minime. È una delle poche cose serie dette dal Movimento 5 Stelle: o ragioniamo per provare a evitare il disastro o siamo finiti. Credete che le misure imposte dalla Troika alla Grecia passerebbero in Italia senza sparare? Se cadi dal primo piano reggi, dal terzo crepi» 
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I cigni neri della quarta rivoluzione industrialeCODICI APERTI. Il populismo e il protezionismo come reazioni alla diffusione della Rete 
Vittorio Filippi Manifesto31.1.2017, 19:15 
I cigni neri crescono e affollano minacciosamente i cieli del futuro prossimo venturo. Com’è noto, è stato il filosofo Nassim Taleb a denominare cigni neri gli eventi che per quanto imprevisti ed inattesi possono davvero capitare con ripercussioni enormi ed incalcolabili. E di cigni neri – passando dall’epistemologia alla previsione – ne propone molti, troppi, l’ultimo rapporto del World Economic Forum. 
Una specie di corposo ed inquietante cahier de doléances mondiale che parte dalle cinque grandi tendenze che ipotecheranno i prossimi dieci anni, tendenze che si riassumono nell’aumento della disuguaglianza di reddito e di benessere, nel cambiamento climatico, nella crescente polarizzazione sociale, nell’incremento della cyber dependency, nell’invecchiamento della popolazione. 
Un mix complesso di variabili economiche, sociali, ambientali, tecnologiche e demografiche la cui interconnessione, a sua volta, produce ulteriori rischi ed ulteriori incognite: nuovi cigni neri, se si vuole usare la metafora succitata. Il rapporto non lesina analisi, ma profonde suggerimenti e consigli. In campo economico si sottolinea la cronica debolezza della ripresa, una debolezza che suscita umori populistici, antielitari ed antiglobalizzazione. Siamo di fronte ad un inedito globalization trilemma in cui tra democrazia, sovranità nazionale ed integrazione economica internazionale solo due di questi elementi sembrano essere compatibili tra loro e la tendenza è di privilegiare i primi due e di sacrificare il terzo. Donald Trump docet. 
Da un punto di vista sociologico il trittico sovranismo-nazionalismo-populismo sta guadagnando consensi un po’ ovunque (spinto anche dalla delle migrazioni) e spinge a guardare con malcelata simpatia ad un deus ex machina (charismatic strongman lo chiama il rapporto) che finalmente risolva l’eccesso di complessità e di incertezza che avviluppa la quotidianità di tanti mentre lo sfilacciamento sociale e le troppe invisibili marginalità mettono in crisi i canali tradizionali del consenso politico ed i partiti stessi. E sono proprio gli anziani ex baby boomer – sempre più importanti per ovvi motivi demografici – a spingere verso un voto «securitario» e protettivo. 
Sulla tecnologia già il titolo è evidente: gestire la distruzione. Che non sarà necessariamente quella creativa di Schumpeter, perché la quarta rivoluzione industriale – che mescola tecniche e tecnologie fisiche, biologiche e digitali – sta creando nuovi rischi ed enfatizza quelli già esistenti. Mandando a gambe all’aria non solo i modelli occupazionali usuali, ma anche le relazioni sociali e la stabilità geopolitica. 
L’automazione in senso lato minaccia quasi la metà degli attuali posti di lavoro, non solo nell’industria ma anche nei servizi. Questo trionfo del lavoro morto sul lavoro vivo – per dirla con Karl Marx – sposta il pendolo della ricchezza verso il capitale, dato che l’80% della quota della ricchezza persa dal lavoro dipendente dal 1990 al 2007 è dovuta alla tecnologia. Alimentando così spinte antiglobalizzazione ma anche antitecnologiche di nuovi luddisti spaventati e confusi. 
Nota il rapporto che in un mondo sempre più disincantato circa la cooperazione interstatuale, cresce lo scetticismo verso le organizzazioni internazionali e sovranazionali e cresce anche il ricorso agli armamenti (tradizionali, atomici, elettronici) che rendono fragile e «rischiosa» la stessa coesistenza, tra isolazionismi, frammentazioni e troppi failed State. 
Infine l’ambiente, che nonostante i fragili progressi compiuti (dall’accordo di Parigi al coinvolgimento della Cina alla conferenza di Marrakesh) è un tema su cui non solo molto resta da fare, ma anche da fare in fretta. Per evitare ad esempio non solo catastrofi naturali estreme, ma anche ingestibili migrazioni climatiche dalle conseguenze geopolitiche imprevedibili o crisi idriche o agricole altrettanto catastrofiche. 
E la democrazia? Non sta molto bene, conclude il rapporto. Non sta bene perché lesa o indebolita da molteplici, simultanei attacchi sferrati dall’insicurezza (economica, lavorativa, finanziaria), da una polarizzazione che è culturale prima ancora che sociale, da una indefinita paura sulla velocità dell’accelerazione dei cambiamenti (rilevante su questo punto è l’analisi del filosofo tedesco Hartmut Rosa nel volume Accelerazione e alienazione, Einaudi), da una informazione ipertrofica ma inquinata dalle fake news e dalla cosiddetta «post verità» che privilegiano emozioni e sensazioni ritagliate per gruppi piuttosto che il rigore informativo per tutti. 
E soprattutto da una disuguaglianza lacerante che ha visto – secondo i dati di Oxfam International (An economy for the 99%) – lo scorso anno l’1% del mondo accumulare quanto il restante 99 ed in Italia i primi sette miliardari possedere ciò che ha il 30% dei più poveri. 
Che tu possa vivere in un’epoca interessante, dicevano i cinesi per maledire qualcuno. Di sicuro quest’epoca è interessante, forse anche troppo. Divenendo quindi la maledizione di un turbocapitalismo prometeico che ormai preoccupa perfino le stesse élite di Davos.

2 commenti:

massimo zanaria ha detto...

1) L'Italia non cresce da circa 15 anni: come distribuire ricchezza?
2) Gli Stati non possono impedire i movimenti dei flussi di capitale.
3)I ceti operai (non la Classe operaia)votano da anni come i loro imprenditori per l'antipolitica destrorsa(prima Lega, ora M5s),bellamente impipandosene della Lotta e della appartenenza di Classe, alla quale preferiscono l'appartenenza territoriale e la redistribuzione in loco delle spoglie.
4)La sinistra politica o è neoliberale o minoranza residuale.
5)La sinistra sociale è quella radical vincente dei diritti umanitari, corporativa e dimentica delle diseguaglianze economiche e sociali.
6)Il socialismo reale è sentito e vissuto da milioni di persone come una delle tragedie del Novecento.
7)Comunismo è parola impronunciabile e filosofia della storia difficilmente riproponibile.
Che fare?

materialismostorico ha detto...

Sono cose in parte giuste in parte sbagliate. Se posso permettermi, rimando al mio libro Democrazia Cercasi, dove la crisi della sinistra politica e le trasformazioni nella composizione di classe sono non semplicemente enunciate e deplorate ma, per quanto è mia competenza, ricondotte alla loro genesi storico-politica e in quella culturale.