L'Imbroglione Pugliese pronto a fare il listone con Spezzaferro per poi allearsi con Renzi.
Tutti gli altri, alla ricerca del solito coniglio dal cilindro che gli
risparmi la fatica di un lavoro ventennale di radicamento con un colpo
di mano elettoralistico, seguiranno o precederanno per non restare con
il cerino in mano.
D'Alema, come sempre, soffoca sul nascere ogni tentativo di costruire una sinistra autonoma. Vendola è il suo degno compare.
Non c'era il menomo dubbio. Resta da sapere se non fosse concordato con Renzi e il PD sin dall'inizio [SGA].
Da D'Alema a De Magistris, spunta il listone anti Renzi. Pisapia: "Niente alleanze col Nazareno"
Baruffa sulle tessere, è rischio rottura
Sinistra italiana. Accuse reciproche nella commissione di garanzia, contestate tessere e seggi elettorali
Discussione ruvida ieri in tarda serata nella commissione di
garanzia di Sinistra italiana. Gli iscritti sarebbero arrivati, in meno
di un mese, dai quattromila a ventunomila . Da quel che filtra volano
accuse reciproche di poca trasparenza. Sotto osservazione il
tesseramento di alcune zone, in particolare a Foggia e nel Lazio. Ci
sarebbe anche stata una contestazione sulla dislocazione dei congressi
locali che si svolgeranno sabato prossimo. In alcune grandi città – da
Roma a Reggio Calabria – i seggi sarebbero collocati in zone poco
raggiungibili, e per di più in un solo luogo anche per territori estesi.
Ieri sera fra la Camera e la sede del partito a Viale Trastevere
rullavano tamburi di guerra. L’area che si riconosce nel candidato
Arturo Scotto, che conta metà gruppo di Montecitorio, minacciava
rotture. Nel pomeriggio Scotto ha lanciato l’ennesimo appello: «Ho
chiesto alla commissione di garanzia di permettere ad ogni iscritto e ad
ogni iscritta, anche alla luce delle promesse – sempre tradite in
passato – di garantire che siano le persone a scegliere. Ho chiesto che
questa volta non siano gli accordi nel chiuso in una stanza a definire
il gruppo dirigente e la linea politica, ma le persone, con la loro
testa, il loro cuore e il loro voto, a deciderlo. Per questo ho chiesto
che si applichi il regolamento nel senso di garantire la massima
partecipazione, in modo tale da poter discutere di politica e non di
caricature».
Sinistra italiana/Intervista. Il
deputato: Le nostre scelte saranno collettive e condivise, non
possiamo bloccarci per l’emergenza del voto. Ci confronteremo con
D’Alema, ma anche con tutti gli altri. Le parole si consumano, se
chiediamo chi governa, oggi la risposta di molti sarà: il centrosinistra
Daniela Preziosi Manifesto
Nicola Fratoianni è disponibile a una gestione una
gestione collegiale di Sinistra italiana, come le propone Arturo Scotto
in vista del congresso?
Una premessa: l’unità, la collegialità e il pluralismo sono un
obiettivo per il quale ciascuno deve fare il massimo dello sforzo.
Cercare i punti che uniscono prima di quelli che dividono è la nostra
idea della politica. Chi esprime una differenza si deve sentire
pienamente cittadino fra noi. Ma questo non può avvenire per un accordo
fra gruppi dirigenti. La politica è un processo collettivo, di
partecipazione e di confronto. Per quanto mi riguarda, sono proprietario
solo delle mie idee. Ad Arturo rispondo: facciamo una discussione e poi
costruiamo la casa in cui tutti si possano sentire a proprio agio.
La risposta è no?
La risposta è quella che ho dato. Né un sì né un no. Il partito è di
chi lo fa. Non vorrei che in nome di un’emergenza elettorale tutto
venisse congelato nell’attesa. Il nostro partito ha bisogno di esserci,
di immaginare una proposta.
La nascita della ’cosa’ di D’Alema e il possibile crack nel Pd non cambia nulla per lei?
Certo che cambia. Ma vogliamo fare un partito la cui natura è
l’attesa? O non vogliamo immaginare una proposta per quello che già oggi
succede nel paese? Ci confronteremo con quello che accadrà, senza
steccati e senza chiusure, a partire dall’analisi di quello che è
successo fin qui. E cioè che tanta parte della sinistra ha considerato
il liberismo l’unico quadro nel quale esercitare la propria funzione. Da
qui si parte: da una messa in discussione radicale di questo punto di
vista e da una proposta radicalmente alternativa.
D’Alema ha parlato di lotta alla diseguaglianza e il lavoro. Non è una revisione critica alla linea del Pd?
Sono stato tante volte in dissenso con D’Alema, ma da ultimo ho
condiviso il suo No e molte delle cose che ho sentito sabato. Resta il
fatto che Renzi non è un corpo estraneo al Pd ma il frutto di una
stagione ormai in crisi ovunque. Sia chiaro: non voglio fare l’analisi
per puntare il dito contro chi ha sbagliato e dire che noi avevamo
ragione.
Anche perché molte di quelle scelte le avete condivise, eravate alleati.
Non è così, ma sarebbe un discorso lungo. Ora mi interessa discutere
di quali sono le risposte necessarie. Ma non c’è solo l’assemblea di
D’Alema che ragiona su questo, ci sono molte esperienze con le quali
voglio continuare a interloquire, da De Magistris alle esperienze di
civismo che hanno riconquistato credibilità alla politica prima ancora
che alla sinistra. C’è tutto il mondo dei comitati per il No, oltre a
quelli di D’Alema e Calvi, le reti dei movimento. Dobbiamo guardare alle
mille sinistre che nascono, vivono, producono.
La convince l’idea di un nuovo centrosinistra ’derenzizzato’?
Faccio fatica a utilizzare parole che si sono ormai consumate. Oggi
centrosinistra nella testa di molte persone è il governo Renzi. E allora
non voglio impiccarmi alle parole ma credo che sia meglio proporre
soluzioni che diano passione e speranza di cambiamento.
Secondo lei centrosinistra oggi fa pensare a Renzi che governa con Alfano?
Se chiede in giro chi sta governando oggi la risposta più diffusa sarà centrosinistra.
Non teme un congresso ’fratricida’ alla vigilia del voto?
Fatico a capire su cosa si possa essere fratricidi. Discuteremo su un
documento in assenza di emendamenti che segnalino dissensi incolmabili.
Spero che la discussione sia sul che fare e con chi farlo. Superando le
dinamiche riproducono vecchi vizi.
Vi viene attribuita l’intenzione di portare Sinistra italiana
verso la marginalità. Tanto più se dovesse nascere la formazione di
D’Alema.
Se qualcuno avesse quest’intenzione avrebbe bisogno di un medico. Il
punto è come si fa a riguadagnare lo spazio per un’alternativa. Qui c’è
una sottovalutazione di fondo: la politica ricostruisce una credibilità e
una forza se mette in campo proposte radicali, radicali almeno quanto
la crisi. Se mette in discussione un modello di sviluppo che consuma
l’ambiente, il mito delle grandi privatizzazioni. In giro per il mondo
tutte le forze che riconquistano credibilità lo fanno a partire da
questo.
Insomma non la preoccupa che nasca un’altra formazione a sinistra del Pd.
Non posso e non voglio definire qui il quadro elettorale. Non
teorizzo un cartello o un’alleanza. In questo paese ci sono personalità
ed esperienze che pongono il tema di una svolta radicale: possiamo fare
tutti insieme una discussione e misurare le prospettive di
un’alternativa? Chi è innamorato di uno scenario fa un errore. La scelta
deve essere collettiva e condivisa. E nel caso ne parleremo con D’Alema
ma anche con tutti gli altri.
Perché ancora non dice che si candiderà al congresso?
Perché non mi candido a niente se non a far parte di un processo
collettivo. Decideremo insieme. Il congresso sarà l’apertura di un
processo e non la blindatura di un percorso.
Diciannove segretari regionali contro la scissione di D’Alema
Lettera aperta: “Il nostro popolo si aspetta esattamente il contrario” Ma la Cgil si muove verso la minoranza: “C’è una domanda di sinistra”
Andrea Carugati Busiarda 1 2 2017
I segretari regionali del Pd, tranne quello della Puglia, si schierano contro Massimo D’Alema e Michele Emiliano, che ha lanciato una raccolta di firme (obiettivo 20mila) per chiedere il congresso anticipato. «Evocare la scissione è esattamente il contrario di ciò che il nostro popolo ci chiede e si aspetta», scrivono. «La base del Pd non può accettare questa campagna fatta da chi non rispetta le regole interne, né lo Statuto. Unità e gioco di squadra devono essere il modo migliore per essere pronti alle elezioni, i populismi non aspettano altro che approfittare delle nostre debolezze». Diciannove le firme in calce al documento (una prima versione citava esplicitamente Emiliano e la sua intervista a Lucia Annunziata) che mira a serrare le fila dentro il Pd, nel giorno in cui anche Pier Luigi Bersani non esclude lo strappo. «Non minaccio nulla e non garantisco nulla. Porrò delle questioni e sentirò la risposta», avverte l’ex segretario. «In tutti i partiti del mondo prima di andare alle elezioni si fa il punto sul programma e la leadership. Se queste cose non si facessero sarebbe una cosa inedita e molto seria, si aprirebbe una questione democratica». I parlamentari più vicini a Bersani, da Davide Zoggia a Nico Stumpo, erano in prima fila il 28 gennaio al lancio dei comitati di D’Alema. E già sono impegnati per radicare il movimento sui territori.
Poi c’è una variabile che può pesare nella costruzione della “cosa rossa” alle prossime politiche: la Cgil. Il sindacato di Corso d’Italia resta geloso della propria autonomia, ma dopo anni di guerre con l’ex partito di riferimento, il Pd, nelle ultime settimane sta mostrando molto interesse per i sommovimenti a sinistra. Erano in quattro i dirigenti Cgil arrivati al centro congressi Frentani di Roma per il lancio del movimento di D’Alema. Tra loro il numero uno dei bancari Agostino Megale (considerato un moderato) e i segretari confederali Nino Baseotto, Gianna Fracassi e Tania Scacchetti.
Delegazione di peso, molto simile a quella che a metà dicembre aveva seguito, sempre al Frentani, la candidatura di Roberto Speranza al congresso Pd. «Non siamo mai stati neutrali rispetto alla politica», spiega Megale, uno dei pochi dirigenti che ha ancora la tessera dem. «È chiaro che oggi nella scena politica manca qualcosa: o la riconquista del Pd a un’idea di centrosinistra ulivista o la costruzione di una sinistra che il renzismo ha accantonato». Insomma, il sindacato rosso è molto interessato al ritorno in Parlamento di una sinistra «che si impegni su valori come diseguaglianze e dignità del lavoro». Una forza che «non ci prenda a schiaffoni come ha fatto Renzi col Jobs Act». Un partito, quello in fieri, che potrebbe fare man bassa di voti tra quegli iscritti Cgil che negli ultimi anni si sono rifugiati nell’astensione. Salvo poi tornare alle urne per dire No al referendum. «C’è una domanda di sinistra che non trova risposte», spiega Megale citando Bruno Trentin e la Cgil come «soggetto politico generale».
Dopo anni di botte prese e date (molte meno) al Pd renziano, la Cgil ha risposto a tono con la mobilitazione per il No. In quel clima si sono riallacciati rapporti tra vecchi compagni, anche con D’Alema che era stato un avversario ai tempi di Cofferati. «Massimo non è mai arrivato al tentativo renziano di liquidare la storia politica e sociale del sindacato», spiega Danilo Barbi, uno dei registi della scelta di schierare la Cgil sul No. Per ora la Cgil ascolta, interviene agli eventi della galassia di sinistra ma non prende posizione esplicitamente. «Siamo gelosi della nostra autonomia», spiega Baseotto, «e la formula del partito amico mi pare un po’ logora». E tuttavia nel corpo della Cgil l’iniziativa dell’ex leader Ds sta facendo breccia. «Sui territori, in particolare al sud, alcuni compagni della Cgil ci stanno già dando una mano», spiega Massimo Paolucci, eurodeputato Pd e braccio destro di D’Alema.
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“Massimo è il migliore pronto a sostenerlo ma non ho più tessere”
Crisafulli, ras siciliano: serve il congresso
Giuseppe Alberto Falci Busiarda 1 2 2017
Massimo D’Alema scende in campo e al proprio fianco trova il primo dei fedelissimi, Vladimiro Crisafulli. «Sono dalemiano da sempre. Massimo è il migliore», confessa il barone “rosso” della provincia di Enna: l’uomo forte del Pci, del Pds, dei Ds, e infine del Pd. Ras delle preferenze, al punto da dire: «A Enna vinco con il proporzionale, con il maggioritario e pure con il sorteggio».
Crisafulli, è d’accordo con D’Alema che vuole staccarsi dal Pd?
«Spero che la scissione si possa evitare e che Renzi ascolti Massimo. Sbaglia oggi chi, come Renzi, dice che sia necessario andare a votare».
Ma non crede che sia arrivato il momento per D’Alema per farsi da parte?
«Massimo è la testa pensante più lucida che ci sia. I suoi ragionamenti sono sempre i più azzeccati. E le darò un dato: è stato l’unico che da premier ha ridotto il debito pubblico. La verità è che ci serve un altro D’Alema, più giovane».
Lo ha sentito?
«No, non parlo con Massimo dalla festa nazionale dell’Unità. Ma tra me e lui non c’è bisogno di sentirsi».
Si dice che D’Alema voglia puntare tutto su Michele Emiliano, il governatore della Puglia.
«Se si faranno le primarie voterò senza esitazioni per Emiliano. È il profilo più autorevole e più significativo. Ma a una condizione: deve essere un congresso vero».
Porterà in dote ad Emiliano e D’Alema il suo pacchetto di tessere?
«(Sorride ndr.) Tessere? Io ho una sola tessera, la mia».
Pensa anche lei che D’Alema possa raggiungere il 10%?
«Non so quanto valga, ma in ogni caso qualora ci fosse finirebbe per togliere voti al Pd. Tanti elettori del Nazareno non si identificano più in questo percorso e la dimostrazione si è avuta con il referendum».
Crisafulli è ancora decisivo all’interno Pd?
«Ricordo soltanto che all’ultimo congresso Cuperlo vinse in una sola provincia e quella provincia era Enna».
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Blitz sulla legge elettorale vince l’asse Pd-Lega-M5S verso le elezioni a giugno
In aula il 27 febbraio, accordo di massima per estendere anche al Senato l’Italicum corretto dalla Consulta
TOMMASO CIRIACO
Il nuovo Italicum anche per il Senato, un copia-incolla per inserire a Palazzo Madama il premio di maggioranza al primo partito e i capilista bloccati. Ecco il piano di Matteo Renzi, un blitz trasformato in riforma dopo un patto di ferro siglato con il Movimento cinque stelle. Dovrebbe arrivare il semaforo verde della Lega, forse anche quello di Silvio Berlusconi nonostante alcune resistenze interne. Difficilmente accetterà questo schema la minoranza del Pd. Il progetto renziano permette al segretario di andare incontro alle indicazioni del Colle sull’omogeneità dei sistemi e garantisce — almeno così si spera al Nazareno — il voto anticipato a giugno. «E adesso — riprende fiato l’ex premier — voglio vedere chi in Parlamento prova a inventarsi una scusa per non andare alle elezioni».
Il via libera al blitz in commissione l’ha preparato Renzi in persona, cavalcando la disponibilità dei cinquestelle a estendere l’Ita-licum della Consulta a Palazzo Madama. Una mediazione affidata a Matteo Orfini, Lorenzo Guerini ed Ettore Rosato, che hanno trattato con gli ambasciatori d’opposizione. L’ultima svolta è però arrivata ieri pomeriggio. Luigi Di Maio si è appartato prima con Roberto Giachetti. Poi proprio con Rosato, in un corridoio di Montecitorio, poco prima della riunione dei capigruppo che ha calendarizzato in aula per il 27 febbraio la riforma. Due colloqui che permettono al Pd di ottenere una garanzia fondamentale: i grillini voteranno convintamente l’Italicum per Palazzo Madama. Con tanto di premio alla lista — che scatterà solo con il 40% nazionale — e un meccanismo di distribuzione dei seggi a livello regionale. E ancora, capilista bloccati — perfetto per segreterie e movimenti ad ogni latitudine — soglia di sbarramento al 3%, doppia preferenza di genere. “Non faremo scherzi”, la promessa.
Per Renzi è come intravedere la luce in fondo al tunnel. Gli consente, tra l’altro, di dare seguito ai segnali arrivati dal Quirinale, che aveva fatto sapere di non essere disposto a far votare con due sistemi non omogenei e a sciogliere le Camere senza una legge votata dal Parlamento. Non a caso, l’operazione prevede che il nuovo Consultellum venga “assorbito” da una legge nuova di zecca, valida dunque per entrambi i rami del Parlamento e non per il solo Senato.
Non mancano i nodi, naturalmente. Tecnici, in primo luogo, perché l’iter della Camera rischia di essere più accidentato del previsto, a causa dei voti segreti che il regolamento consente. L’idea del Pd è di porre una fiducia “tecnica”, per cancellare questo spauracchio e arrivare in fondo al più presto. Il problema è che costringerebbe le altre forze a votare per il governo, oppure a sfilarsi. «Potete sempre votare gli emendamenti e uscire al momento della fiducia», hanno spiegato gli ambasciatori dem a grillini e leghisti. Già, la Lega. Per Matteo Salvini va benissimo così, perché la priorità è votare in fretta e al Nord rischia di strappare un accordo “al rialzo” con Silvio Berlusconi. Il quale, dal canto suo, dopo essere stato sondato — assieme a Fedele Confalonieri — dai massimi vertici del Pd, non ha chiuso la porta a un accordo. Restano i dubbi sul premio alla lista. E le resistenze di Renato Brunetta, ostile a questa corsa al voto. Le elezioni, appunto. Restano il primo obiettivo del segretario dem. Certo, in un sms a Giovanni Floris — mostrato durante la trasmissione “Di Martedì” — l’ex premier assicura di non avere fretta: «Per me votare nel 2017 o nel 2018 è lo stesso. L’unica cosa è evitare che scattino i vitalizi, perché sarebbe molto ingiusto verso i cittadini». La verità è che il contingentamento stabilito durante il summit dei capigruppo consentirebbe una rapida approvazione della legge, in caso di fiducia: dal 1 marzo, quando scatta realmente la “tagliola”, bastano sulla carta dieci giorni alla Camera e una ventina al Senato per tagliare il traguardo e ottenere entro fine marzo una legge nuova di zecca. Anche prima, se regge un patto largo tra Pd e Movimento. Giusto in tempo per consentire ad aprile lo sciogliemento delle Camere e arrivare alle urne l’11 giugno, al più tardi il 25.
Renzi conosce anche i rischi del blitz. Teme la palude parlamentare, in cui sguazzano i big del “partito del non voto”. La minoranza dem e alcuni ras del Pd di maggioranza non digeriscono nuovi capilista bloccati, che consegnano al leader i destini dei parlamentari. Proveranno quindi a complicare il cammino, facendo arenare la trattativa. Al capo resta però in mano l’arma finale della fiducia. E pure un piano B. «Se qualcuno fa fallire l’operazione — ha confidato in privato — si assume tutte le responsabilità. Noi a quel punto avremmo fatto tutto il possibile e chiederemo comunque le elezioni prima dell’estate».
Renzi prepara le liste e prova a fermare Bersani Il filo diretto con Salvini
Fissato un incontro per arginare la scissione. Telefonata a Zingaretti: “Corri al Senato”. La risposta: “Devo pensarci”
GOFFREDO DE MARCHIS Rep
Matteo Renzi vuole riaprire un canale con la minoranza del Pd. Gia stamattina, dicono alcune fonti a Largo del Nazareno, il segretario si prepara a un faccia a faccia con Pier Luigi Bersani. Colloquio a quattr’occhi che manca dai tempi dell’elezione di Sergio Mattarella. Sono trascorsi due anni esatti. Per evitare la scissione, per saltare l’appuntamento del congresso, per offrire alla sinistra posti in Parlamento e spazio politico nel Partito democratico si può tornare a parlarsi. Se non oggi, nei prossimi giorni di sicuro. Del resto, Renzi è finalmente entrato nella logica proporzionale della nuova legge, per cui le alleanze del dopo voto diventano obbligate. «Con una lista a sinistra dovremo farci i conti comunque. Meglio allora tenerne un pezzetto dentro il Pd», è il ragionamento dell’ex premier.
L’apertura a Bersani avrebbe anche un altro effetto: nessun ostacolo interno verso la corsa al voto di giugno mentre in Parlamento si lavora a un accordo sulle correzioni all’-I-talicum spianando la strada verso le urne. Non c’è un minuto da perdere. Luca Lotti si è messo al telefono a caccia di dem da candidare al Senato, dove i collegi sono regionali. Cerca “signori delle preferenze” che garantiscano il pieno di voti facendo crescere i consensi del Pd. Ieri per esempio ha chiamato Nicola Zingaretti, governatore del Lazio il cui mandato scade nel 2018 e che nel suo territorio può essere un front man molto votato. La risposta di Zingaretti è stata di quelle che non chiudono: «Ci devo pensare».
L’offerta a Zingaretti, non un renziano certamente, racconta del tentativo (quasi contronatura per i canoni di Renzi) di compattare il partito anziché spaccarlo nel momento in cui la lista di Massimo D’Alema, grazie al proporzionale, diventa attrattiva per molti. E al cambio di rotta non sono estranei i suggerimenti di alcune colombe dem: Lorenzo Guerini, Dario Franceschini, Graziano Delrio. Un percorso ordinato serve ad ottenere il risultato: il voto a giugno o a maggio. Questo è il consiglio dei “moderati”. Il caos lo allontana. Proprio ciò che non vuole Renzi. Con argomenti che si ripetono in queste ore e sono fissati in una scaletta di 5 punti. «L’incertezza di tornare a Palazzo Chigi è molto alta, sia che si voti a giugno sia che si voti nel 2018 — spiega il segretario ai collaboratori — . Ma prima del 2018 ci sono alcuni passaggi: le amministrative, il referendum sul Jobs Act, settembre...». Molti gli chiedono cosa significhi settembre. «È il mese in cui scattano i vitalizi dei parlamentari. Bisogna evitare che scattino perché sarebbe assurdo e ingiusto per i cittadi- ni, ci darebbero la colpa di essere attaccati alla poltrona per i soldi. Poi, c’è una finanziaria difficile. Infine, il congresso del Pd. No, non è affatto detto che nel 2018 ci arrivo più forte. Anzi».
Renzi pensa che il prossimo anno la sua immagine sarebbe «più depurata» rispetto alla sconfitta del 4 dicembre, ma «più forte no», ripete. E il congresso non porterebbe la pace nel Pd, «tutt’altro», è la convinzione dell’ex premier. Insomma, voto subito cercando accordi a tutto campo. I deputati leghisti si scambiavano ieri un sms con questo testo: «Oggi Renzi ha telefonato a Salvini. Chiede intesa per le urne, prima che l’Europa intervenga sui conti». Alla fine il passaggio più difficile rimane quello con la minoranza. La sirena dalemiana funziona tra le file della minoranza. I bersaniani hanno un problema nel Pd renziano, non solo il numero dei posti. «Cosa diciamo in campagna elettorale per prendere i voti? Possiamo dire la nostra sui voucher, sul lavoro, sulle banche, sugli errori del referendum? — dice Bersani ai suoi — . O dobbiamo fare il coro alla linea del segretario? Il punto è questo, non altri». La risposta è attesa nel faccia a faccia tra i due. Un altro tassello per il voto subito.
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Da D’Alema a De Magistris spunta il listone “anti Matteo”
Vendola chiama l’ex premier e Pisapia: “Niente alleanze col Nazareno” Bersani non esclude più la scissione: “Non minaccio né garantisco nulla”
GIOVANNA CASADIO Rep
«Nella vita pubblica ci sono troppi risentimenti e pochi grandi sentimenti, io mi iscrivo alla categoria dei sentimenti». È la premessa di Nichi Vendola, che apre a D’Alema e a un listone della sinistra. Sei anni fa, nel 2010 D’Alema faceva la guerra a Vendola, ricandidato governatore della Puglia e Nichi gli rendeva pan per focaccia. Ora Vendola a sorpresa scommette su D’Alema: «Guardo con molto interesse a quello che si sta muovendo, all’impegno di D’Alema, che mi auguro faccia qualche autocritica. Perché Renzi non l’ha portato la cicogna, ma è frutto di una storia e dell’idea che il compito della sinistra sia fare la destra, questo è il blairismo. Nessuna alleanza con il Pd renziano, ma osservo che il giocattolo si sta rompendo nelle mani di Renzi».
Tutto si muove nel centrosinistra. Di scissione si parla apertamente nel Pd, dopo la nascita del movimento Consenso di D’Alema che viene stimato intorno al 10%. E ieri Pierluigi Bersani, l’ex segretario dem che ha sempre ripetuto non avrebbe lasciato il Pd neppure con le cannonate, non si mostra più tanto fermo: «Scissione? Non minaccio nulla né garantisco nulla. Porrò a Renzi delle questioni e sentirò la risposta. C’è un piccolo oggetto che si chiama Italia e io chiederò delle risposte su questo e poi mi regolerò ».
Nel caotico passaggio di queste ore, Vendola - leader dell’ex Sel e in vista della nascita ufficiale di Sinistra Italiana nel congresso del 17-19 febbraio prossimo a Rimini indica la possibile “reunion”, soprattutto se si vota a giugno: «Interessante è il lavoro di Luigi De Magistris, il sindaco di Napoli; la discussione aperta nel Pd; quello che si muove sotto la cenere nei 5Stelle». E Giuliano Pisapia, l’ex sindaco di Milano, che sta sondando e organizzando in tutta Italia il Campo progressista? Vendola risponde: «Pisapia è stato un amministratore eccellente, è una personalità della sinistra. Penso abbia sbagliato l’analisi della società italiana non comprendendo cosa stava accadendo con il referendum sulla riforma costituzionale e che il fronte del No con Cgil, Arci e Movimenti era la base sociale della sinistra. Lui ha fatto fatica a vederlo e ha immaginato ci potesse essere un restyling del centrosinistra con Renzi. Ma la sinistra non può allearsi con i voucher, con la “buona scuola”. Però nella ricostruzione della sinistra Pisapia ci deve essere, sarebbe infelice se non ci fosse, sono convinto ci sia».
E nel movimento di Pisapia, tentato dal listone di sinistra, colloqui e contatti sono in corso. Con Michele Emiliano, ad esempio. Il governatore della Puglia si prepara a sfidare Renzi. Per questo chiede il congresso anticipato del Pd, convinto, come del resto i bersaniani, che sia l’unica opportunità per evitare la scissione. Ieri Emiliano e Francesco Boccia hanno fatto partire la piattaforma “primailcongresso”, raccolta di firme online tra gli iscritti. E il governatore pugliese minaccia il ricorso alle carte bollate se Renzi non ascolta. Nel listone della sinistra ci’è Emiliano, se si precipita verso le elezioni e nel Pd si arriva alla scissione. Bersani rincara: «In tutti i partiti del mondo prima di andare al voto si fa il punto su programma e leadership. Qui c’è una questione democratica, non solo per l’Italia ma per il Pd. Sennò la cosa diventa veramente seria, saremmo all’inedito ». Allarme di 19 segretari regionali (non ci sono quelli di Basilicata e Puglia) del Pd: «Evocare la scissione e parlare di carte bollate è da irresponsabili ». Tra i molti nodi da sbrogliare c’è anche la spaccatura di Sinistra Italiana. Arturo Scotto, capogruppo alla Camera, ha chiesto di congelare il congresso di febbraio trasformandolo in una kermesse della sinistra. Scotto si è candidato alla segreteria contro il coordinatore Nicola Fratoianni. È disposto a un passo indietro e ha chiesto a Fratoianni di farlo a sua volta. «Perché tutto il paesaggio politico sta cambiando»: motiva Scotto. Fratoianni replica: «Se c’è una svolta nel Pd ne discutiamo sul serio, ma per ora c’è solo l’attesa di una svolta. Preferisco guardare a De Magistris e ai movimenti». Clima teso, al punto che il gruppo di Scotto e del vice presidente della Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio hanno anche pensato di non partecipare al congresso di Rimini. Problemi anche di equilibrio nel tesseramento: dai 4 mila tesserati della fine del 2016 si è passati a 22 mila.
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