venerdì 24 febbraio 2017

La NASA ha scoperto dove si era nascosta la sinistra italiana



I nuovi sette pianeti in zona abitabile 
Andrea Capocci Manifesto 23.2.2017, 19:41 
Un gruppo di ricerca internazionale diretto dal belga Michael Gillon ha individuato un sistema planetario simile al nostro a «soli» 39 anni luce da noi. La straordinaria scoperta è stata annunciata ieri in una conferenza stampa mondiale dal quartier generale della Nasa. Il sistema è composto da sette pianeti che orbitano intorno alla stella denominata Trappist-1 (dal nome del telescopio che ha permesso l’avvistamento). 
Non si tratta del primo sistema planetario extra-solare mai individuato, per la verità. Ma quello che ruota intorno a Trappist-1 colpisce per le somiglianze con il nostro. I sette pianeti, infatti, hanno masse analoghe a quelle della Terra e dei pianeti più vicini come Marte e Venere. In più, si trovano nella cosiddetta «zona abitabile». Sono, cioè, alla distanza giusta dalla stella perché la temperatura sulla loro superficie sia compresa tra zero e cento gradi centigradi. Sui pianeti potrebbe dunque trovarsi acqua allo stato liquido, come avviene sui tre quarti della superficie terrestre. Secondo gli scienziati, l’acqua liquida è un ingrediente fondamentale, se non indispensabile, per lo sviluppo di forme di vita su un pianeta. 
La stella Trappist, invece, è parecchio diversa dal nostro Sole. Si tratta di una «nana rossa», con una massa pari a meno di un decimo di quella solare. Ha una temperatura interna appena sufficiente per le reazioni nucleari che «bruciano» l’idrogeno, e ciò le garantisce carburante per altri mille miliardi di anni. Inoltre, la rende molto meno luminosa del Sole. Proprio questo ha permesso agli astronomi di individuare i pianeti. La loro presenza, infatti, è rivelata dalla loro «ombra», cioè dalla diminuzione della luminosità della stella oscurata dal passaggio del pianeta. Quando si tratta di stelle poco luminose come le «nane», l’effetto è visibile anche dai telescopi terrestri. 
Come avviene per la Luna rispetto alla Terra, i pianeti di TrappistT mostrano sempre la stessa faccia. Questo fenomeno è dovuto alle maree, che provocano attriti molto energetici all’interno dei pianeti e causano anche il vulcanismo. Si tratta di un’altra informazione rilevante, perché è uno dei meccanismi responsabili della formazione e della composizione chimica della atmosfera terrestre. Un lungo futuro, la giusta massa, acqua e atmosfera almeno come possibilità: Trappist-1 ha tutta la vita davanti.

Il sistema delle sette Terre che può ospitare gli alieni 

L’annuncio della Nasa: probabile la presenza di oceani di acqua liquida 
Gabriele Beccaria Stampa
Siamo soli o non siamo soli nell’Universo? Chi ama il tormentone ha da ieri sera un motivo in più per estenuarsi: a Washington il professor Thomas Zurbichen ha dichiarato, con gravità e convinzione, che adesso «rispondere alla domanda è una priorità della scienza».
Il motivo di tanta eccitazione c’è e l’ha spiegato Michael Gillon, l’astronomo dell’Università di Liegi che ha coordinato lo studio internazionale: «Siamo di fronte a un sistema planetario stupefacente». Sette pianeti, più o meno delle dimensioni della Terra. Tutti in orbita intorno a una stella nana, battezzata «Trappist-1», e tutti potrebbero ospitare oceani di acqua liquida. Tre sembrano ideali per la vita. Aliena.
Gli altri cloni della Terra finora individuati - e sono tanti, all’incirca 5 mila - erano come enigmatiche palle di roccia sparse qua e là nella galassia. Stavolta, invece, la scoperta riguarda «sette fratelli», compressi in orbite ravvicinate. Formano un sistema solare in miniatura, simile per dimensioni a quello di Giove con le proprie lune, ma con la Terra condividono la massa e alcune caratteristiche. Si trovano infatti - tre in particolare - nella «zona di abitabilità», vale a dire non troppo lontani né troppo vicini al loro sole. Così laggiù non si dovrebbe finire istantaneamente bolliti o prematuramente congelati.
E in più - e questo aspetto ha ulteriormente emozionato gli studiosi - i «Sette» sono vicini a noi, almeno secondo le controintuitive logiche astronomiche: 40 anni-luce, 40 volte la distanza percorsa dalla luce in un anno. Che per i patiti di cifre e viaggi interstellari - ha calcolato la Nasa - significano 235 trilioni di miglia. Scrutando il cielo, sono prossimi alla costellazione dell’Acquario e li si può immaginare come un variegato condominio alieno, esuberante nelle possibilità di declinare forme viventi diverse.
Qualche esempio: «Trappist-1» è più piccola e decisamente meno luminosa del nostro Sole e le simil-Terre compiono un’orbita completa in pochi giorni. Un anno può equivalere, laggiù, a 12 giorni. Non solo. È possibile che i pianeti siano «legati» in modo particolare alla stella, esponendo sempre la stessa metà alla loro fonte energetica. Così una parte sarebbe accarezzata da un giorno perenne e l’altra schiacciata da una notte senza fine, con venti impetuosi a collegare le due zone.
Simil-Terre sì, ma con potenziali aspetti tutti loro, tanto che Zurbuchen ha commentato che possono essere «un pezzo del grande puzzle rappresentato dalla ricerca di habitat favorevoli alla vita». Le osservazioni quindi proseguiranno, affinando il lavoro del «Very Large Telescope» nel deserto cileno di Atacama e quello, nello spazio, di un altro telescopio, lo «Spitzer» della Nasa: astronomi ed esobiologi promettono che la scoperta è soltanto l’inizio di un lungo percorso di raccolta dati. Prossimo passo? Capire se i «Sette» possiedono un’atmosfera e che tipo di aria si respira a 40 anni luce da noi. Qui sulla Terra, intanto, l’atmosfera è euforica. Il prof Gillon è riuscito a battezzare la stella che è il motore di tutto con il nome della birra-simbolo del Belgio - Trappist, appunto - e alle future tecniche di studio ha dato il nome di «Speculoos», lo stesso dei biscotti di cui vanno golosi i suoi connazionali. Cerchiamo gli alieni con impegno e qualche fragorosa risata.
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Un futuro di esplorazioni con robot e super-telescopi 

Al centro c’è l’enigma delle intelligenze extraterrestri 
Vittorio Sabadin Stampa
La scoperta della Nasa di un sistema solare a soli 40 anni luce dalla Terra, composto da almeno tre pianeti che possono ospitare la vita, conferma che forse Barack Obama ha avuto ragione nel tagliare i fondi destinati all’esplorazione umana dello spazio per concentrarli sulle sonde e sui telescopi che potevano dirci qualcosa di più sull’Universo. Continuare ad andare su è giù dalla Stazione spaziale orbitante è stato utile per gli esperimenti che vi vengono condotti, ma non può portarci molto lontano. 
L’annuncio della Nasa è stato paragonato alla vincita di una lotteria. Dopo avere guardato quasi a caso per decenni nella Via Lattea, ora abbiamo trovato il posto giusto e sappiamo dove concentrare meglio le nostre attenzioni, a partire dal prossimo anno quando verrà lanciato il «James Webb Space Telescope», il più grande mai costruito, che sarà in grado letteralmente di vedere se del vapore acqueo si sprigiona dai pianeti appena scoperti. L’acqua allo stato liquido è il primo componente della vita che noi conosciamo e che stiamo cercando. Gli altri sono idrogeno, carbonio e ossigeno, elementi così comuni in tutto l’Universo da fare pensare che sia impossibile che la vita non si sia sviluppata anche altrove.
Mancate risposte
Ma dove? E in che forme? I messaggi finora lanciati nello spazio alla ricerca di vita intelligente non hanno ricevuto risposta e l’ultimo segnale promettente captato dalla Terra nel programma «Seti» (Search for Extraterrestrial Intelligence) risale al 1977. Viste le grandi distanze in gioco, le comunicazioni nell’Universo sono molto lente e, se lanciassimo oggi un segnale alla velocità della luce verso i nuovi pianeti appena scoperti, riceveremmo una risposta fra 78 anni, quando forse nessuno degli scienziati che lo ha inviato sarà ancora in vita.
Cercare la vita nella nostra galassia non è facile. L’Universo non è un luogo stabile, è un immenso mondo caotico che risponde alla seconda legge della termodinamica, secondo la quale il disordine aumenta sempre. Quando da qualche parte si crea un po’ d’ordine, ad esempio una forma di vita, da un’altra parte il disordine deve crescere in ugual misura, anzi un po’ di più. «La vita – ha detto il grande astrofisico Stephen Hawking – è un sistema ordinato che sostiene se stesso contro la tendenza al disordine e che può replicarsi attraverso un sistema di istruzioni composto da geni e metabolismo». La vita lotta dunque contro l’ambiente ostile che l’ha generata e per trovarla nella nostra galassia non bisognava guardare verso il suo centro, dove si accumulano troppe stelle che esplodono in supernovae, inondando di radiazioni cosmiche mortali tutto ciò che le circonda. Bisognava cercare, invece, come è stato fatto, nei bracci a spirale della galassia, dove il clima è meno infernale e le distanze fra le stelle sono più ampie.
I film di Hollywood
Ma quando avremo trovato la vita che aspetto avrà? Da più di mezzo secolo i film di Hollywood hanno immaginato alieni più intelligenti di noi, simili agli esseri umani nella forma bipede simmetrica, con un cervello quasi sempre più grande e lineamenti del viso per noi raccapriccianti. In realtà non abbiamo la minima idea di che cosa potremmo trovare. Non sappiamo nemmeno come si sono formate le prime cellule sulla Terra, ma quelle cellule apparentemente insignificanti hanno prodotto una diversità delle forme di vita così grande che ancora non siamo riusciti a catalogarle tutte.
La vita evolve in continuazione e molto dipende anche dal momento nel quale la si osserva. Se una civiltà aliena avesse puntato i suoi telescopi sulla Terra per scoprire se aveva forme di vita simili alla sua, un miliardo di anni fa avrebbe dedotto che non ne esistevano, 60 milioni di anni fa avrebbe visto che il pianeta era dominato dai dinosauri e dagli ovipari, e solo oggi scoprirebbe esseri evoluti con i quali può comunicare a grandi distanze grazie a tecnologie realizzate solo qualche decina di anni fa. 
La scoperta della Nasa può ora mettere fine a tutte le congetture e a tutte le ipotesi, perché ha individuato un target relativamente vicino a noi per la ricerca della vita nella nostra galassia. Non si discuterà più sull’idea che mondi simili alla Terra possano o meno esistere: ne abbiamo scoperti alcuni che possiamo finalmente osservare.
Nuova fase di studio
Si discuterà invece su come sono fatti e su quali forme di vita possono ospitare. Si apre una nuova fase di studio dell’esplorazione spaziale completamente nuova, che forse non ci consentirà ancora di trovare un ET dotato di astronavi intergalattiche, ma ci permetterà di capire qualcosa di più sul nostro pianeta, su noi stessi e sul nostro posto nell’Universo. 
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È l’inizio di una rivoluzione Là fuori si nascondono centinaia di miliardi di altri mondi 

Dobbiamo scoprire se noi siamo l’eccezione o la regola 
Amedeo Balbi Stampa
Anche alle cose più straordinarie si finisce per fare l’abitudine, dopo un po’: e così si potrebbe essere tentati di guardare con un po’ di sufficienza alla nuova scoperta, annunciata dalla Nasa, di un sistema di ben sette pianeti di dimensioni simili a quelle della Terra, in orbita attorno a una piccola stella rossa, non molto lontana da qui. Ma sarebbe un errore.
Intanto, perché significherebbe perdere di vista che viviamo davvero in un’epoca eccezionale, senza precedenti nella lunga storia dell’umanità. Poco più di quattro secoli fa, proprio di questi tempi, Giordano Bruno veniva arso vivo in una piazza romana per avere, tra le altre cose, ostinatamente sostenuto la possibilità che esistessero altri mondi oltre al nostro, magari a loro volta abitati. Ma non serve andare così indietro nel tempo: fino a qualche decennio fa, immaginare nuovi mondi non si pagava certo con la vita, ma restava pur sempre materia da autori di fantascienza. Noi siamo i primi essere umani ad avere le prove scientifiche che ci sono davvero pianeti intorno ad altre stelle. È una consapevolezza per nulla banale, e fa bene tenerlo presente ogni volta che sentiamo la tentazione di dare per scontate certe conquiste. 
C’è poi il fatto che, oggettivamente, ogni nuovo annuncio del genere contiene in sé qualche elemento di novità, magari non immediatamente apprezzabile da tutti, ma importante una volta che lo si comprenda pienamente. Nel caso del sistema di «Trappist-1» ci troviamo di fronte a un piccolo gioiello: una piccola stella e sette pianeti racchiusi in uno spazio molto ridotto, paragonabile a quello di Giove e dei suoi satelliti, più che al sistema solare. Alcuni dei sette nuovi pianeti (o addirittura tutti, con molto ottimismo) potrebbero avere le caratteristiche fisiche necessarie alla presenza di acqua liquida. È ancora presto per dirlo, ma è questo che rende la scoperta così interessante.
È bello provare a immaginare come sarebbe vivere su uno di quei mondi, se fosse davvero abitabile: un’ipotetica civiltà tecnologica apparsa da quelle parti avrebbe molta più facilità a muoversi da un pianeta all’altro, rispetto alla nostra, e magari il sogno di diventare una specie multi-planetaria non sarebbe l’esclusiva di qualche miliardario alla Elon Musk.
Ma queste, naturalmente, sono solo fantasie. Quello che è certo è che, data la relativa vicinanza di «Trappist-1» alla Terra (40 anni-luce sono pochi, su scala cosmica), nei prossimi anni gli astronomi ne faranno un bersaglio privilegiato per osservazioni sempre più approfondite. Dopo la scoperta, avvenuta lo scorso anno, di un pianeta nella regione orbitale temperata della stella più vicina a noi, Proxima Centauri, possiamo dire che il nostro angolo di universo si sta rivelando parecchio interessante.
Questo ci porta a mettere le cose in una prospettiva più ampia. Se appena dietro l’angolo c’è così tanta abbondanza, è plausibile che il resto della nostra galassia sia altrettanto ricco di varietà. In poco più di 20 anni, da quando abbiamo scoperto il primo pianeta attorno a un’altra stella, abbiamo già messo insieme una collezione di quasi 5 mila candidati e ormai gli astronomi sono convinti che, in media, ogni stella abbia almeno un pianeta. Significa che, solo nella nostra galassia, esistono centinaia di miliardi di altri mondi. Una frazione non trascurabile di questi mondi potrebbe avere i requisiti indispensabili per consentire la presenza di organismi viventi. Ed è proprio da questo dato che parte la corsa verso la nuova frontiera della ricerca: ovvero studiare i pianeti già noti, e quelli che verranno alla luce in futuro, per capire se hanno ciò che serve a sostenere la vita. E magari, un giorno, trovarne persino le tracce.
Si tratta di un’impresa entusiasmante, che mette insieme scienziati di diverse discipline, dalla biologia all’astrofisica, dalla geologia alla climatologia, in uno sforzo congiunto che ha come obiettivo finale quello di capire se ciò che è avvenuto sul nostro pianeta è l’eccezione oppure la regola. 
Ma c’è da scommettere che, come immaginava Flaiano col suo marziano, se mai scopriremo che c’è altra vita nell’universo, ci sarà chi farà l’abitudine anche a quello, dopo un po’. 
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Un’altra vita è possibile la Terra ha sette sorelle C’è un nuovo sistema solare a 40 anni luce da noi, attorno alla stella Trappist-1 Tre dei pianeti nella zona abitabile, potrebbero avere acqua allo stato liquido
GIOVANNI BIGNAMI Rep
Poco meno di un anno fa commentavamo la notizia che la stella Trappist-1 aveva intorno a sé tre pianeti molto interessanti. È una stellina a 40 anni luce da noi, molto “cool”, nel senso che è piccola (grande come Giove) e fredda, tre volte più fredda del Sole. Niente di speciale: come lei ce ne sono decine di miliardi nella nostra Galassia. Di originale ha solo il nome, Trappist, ispirato alla umiltà da fraticello del piccolo telescopio belga da 60 cm (quasi amatoriale), col quale era cominciata la ricerca.
Un anno dopo, usando i grandi telescopi europei e poi il telescopio spaziale Spitzer della Nasa, la stellina trappista rivela di avere intorno un totale di sette (almeno) pianeti, che girano su orbite ben allineate nello stesso piano, proprio come fanno gli otto pianeti del nostro Sistema solare. È un sistema planetario piccolo ma molto armonico: i periodi delle orbite (gli “anni” dei pianeti trappisti, che durano in realtà solo pochi dei nostri giorni) sono multipli interi tra di loro. Molto elegante.
Ma almeno tre dei trappisti hanno raggi e masse simili alla Terra e sono abbastanza vicini al loro pallido solicello da ricevere la stessa energia che la Terra riceve dal Sole. Su di loro, quindi, l’acqua potrebbe essere liquida. È la prima condizione che si richiede per dichiarare un pianeta abitabile, dove cioè la vita potrebbe svilupparsi. Anche sulla Terra la vita è nata negli oceani.
Abitabile però non vuol dire abitato: non abbiamo nessuna evidenza che ci sia vita sui tre nuovi pianeti. Se scoprissimo che hanno anche una atmosfera, avremmo un indizio in più, molto importante. Per adesso non possiamo saperlo: i nuovi pianeti sono stati scoperti solo perché visti passare davanti al disco di Trappist-1, oscurandone periodicamente la luce, anche se di molto poco. Bisogna fare ancora meglio.
Per questo, stiamo già costruendo la prossima generazione di telescopi, da terra e dallo spazio. Sulle Ande cilene l’Europa avrà lo Extremely Large Telescope (specchio di 40 metri, con forte partecipazione italiana, guidata dall’ Istituto nazionale di astrofisica) e tra un paio d’anni Nasa ed Esa metteranno in orbita il James Webb Space Telescope, il prossimo grande telescopio spaziale. Con entrambi, sarà possibile, speriamo, capire se ci sono atmosfere e, se sì, analizzarne la composizione chimica.
Se per esempio in una atmosfera trovassimo tracce di metano, vapor d’acqua, anidride carbonica o, perché no, di ossigeno libero, saremmo quasi sicuri della presenza di processi biologici sul pianeta. Realisticamente, tra una decina d’anni questo potrebbe succedere.
Sarebbe forse il miglior regalo della astronomia all’umanità: far sapere a tutti che c’è vita la fuori. Attenzione però: non ET o piccoli omini verdi, non vita intelligente insomma: si troveranno prima forme di vita elementari, come quelle che hanno dominato (e ancora dominano) la Terra per quasi quattro miliardi di anni.
La vita intelligente sulla Terra è infatti un episodio recentissimo, che occupa una frazione minuscola della vita del pianeta. Se è così anche per gli altri, difficile trovare ET. Ma ci stiamo attrezzando anche per questo: i grandi radiotelescopi della rete mondiale SKA (anche qui con importante partecipazione Inaf) vedranno benissimo i segnali elettromagnetici delle trasmissioni tv o dei radar degli aeroporti trappisti, se ci sono.
Nell’attesa, ringraziamo la grande collaborazione internazionale di astronomi, da Liegi a Marrakesh, e poi la Nasa, che adesso si presenta come la madrina della scoperta, per la tenacia nel capire questa specie di balletto di pianeti intorno ad una stellina, piccola, qualunque, ma di colpo importante.
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Oltre la narcististica solitudine dei terrestri 
Astronomia. Non basta l'acqua per rendere abitabile un pianeta, ma la scoperta di un sistema simile al nostro scatena l'immaginario ed è anche un emozionante sentiero scientifico da percorrere. Parlano l'astrofisico Giuseppe lodato, l'esperto di formazione della vita Antonio Lazcano e il filosofo della scienza Telmo Pievani
Luca Tancredi Barone Manifesto Alias 26.2.2017, 18:49 
Ancora una volta, l’astronomia ha conquistato le prime pagine di tutti i giornali. Non sono mancati editoriali, commenti e persino un graziosissimo doodle di Google per celebrare la scoperta: un sistema planetario con ben sette pianeti (almeno) simili alla terra attorno una stellina relativamente «vicina» (in termini astronomici) a noi: a 39 anni luce (la luce, a 300mila km al secondo ci impiega 39 anni ad arrivare: a voi i calcoli).
La stella si chiama Trappist-1A (la nazionalità del suo principale scopritore tradisce un probabile gioco di parole con la nota birra belga, ma si tratta della sigla in inglese del nome del telescopio, «piccolo telescopio per il transito dei pianeti e dei pianetesimi»). Non ha nulla a che vedere con la nostra: è una nana rossa, un tipo di stelle frequentissime nella nostra galassia, molto più piccole e molto meno luminose del nostro sole, ma che vive molto più a lungo. 
LA QUESTIONE è che dei circa 3500 pianeti extrasolari scoperti e confermati sinora, il caso del sistema Trappist è unico: è la prima volta che si scoprono tanti pianeti così simili alla terra per dimensioni e massa che orbitano attorno a un tipo di stella come questo e per giunta molti di loro in una zona detta «abitabile», un vago concetto che significa più o meno che potrebbe essere presente acqua liquida. Ma sono anche pianeti molto bizzarri: innanzitutto sono vicinissimi alla loro (piccola) stella. Il più lontano dei sette è a un decimo della distanza dal sole del pianeta Mercurio, il più vicino al sole. L’anno (cioè il tempo di rivoluzione attorno alla stella) del più lento dei sette dura circa 12 giorni, e il più rapido dura un solo giorno.
Sembra pure che possano mostrare sempre la stessa faccia verso la loro stella (un po’ come la luna rispetto alla terra) e che siano così vicini l’uno all’altro che, se ci fossimo sopra, potremmo vedere a occhio nudo i fenomeni atmosferici degli altri pianeti. Materiale ricchissimo per la fantascienza, ma in quanto a vita aliena per ora solo congetture. Già è abbastanza straordinario essere riusciti, con l’aiuto di telescopi a terra e nello spazio, a osservare il «transito» dei pianeti sulla loro stella, cosa che ha permesso di calcolare tutte le altre caratteristiche fisiche del sistema. Riuscire a «vedere» direttamente i pianeti è per ora impensabile, come arrivare a visitarli. 
LA NASA HA TUTTO l’interesse a pompare la sua scoperta, per di più in un momento in cui i finanziamenti potrebbero essere sempre più incerti con la nuova amministrazione. Ma è anche vero che il campo della ricerca di pianeti extrasolari sta vivendo un boom travolgente. Se pensiamo che il primo pianeta extrasolare fu scoperto nel 1995 da Michel Mayor e Didier Queloz (quest’ultimo anche tra i firmatari dell’articolo di Nature su Trappist-1), e che la questione della presenza di altri sistemi planetari nella nostra galassia era stata fino ad allora una mera elucubrazione teorica, ci accorgiamo che gli scienziati oggi osservano l’universo con occhi completamente nuovi. 
Per Giuseppe Lodato, professore di astrofisica alla Statale di Milano, ed esperto di simulazioni numeriche sulla dinamica della formazione dei pianeti, la scoperta di questo sistema è «la conferma che in stelle così piccole possono formarsi pianeti di tipo terrestre», come molti astronomi sospettavano da tempo. E fa notare che, data la grande vicinanza fra di loro, e con la loro stella, «gli effetti dell’interazione gravitazionale potrebbero creare dinamiche interessanti». «Oggi sappiamo – continua – che la formazione planetaria è un processo frequente e che la struttura dei sistemi planetari può essere molto variegata». La sfida per il futuro, dice Lodato, è nella caratterizzazione delle atmosfere e dello studio della formazione planetaria all’opera.
Antonio Lazcano, professore dell’Universidad Nacional Autónoma de México e uno dei maggiori esperti di formazione della vita, ritiene sì «affascinante l’inventario sempre più grande di pianeti extrasolari», ma il suo legame con le scienze che studiano l’origine della vita è molto «tenue». 
«C’È UNA DIFFERENZA riguardo il punto di vista degli astronomi e dei biologi su questi temi – spiega – Per un astronomo un pianeta di tipo terrestre dove ci potrebbe essere acqua, anche se non è dimostrato, è un posto dove potrebbe esserci vita. Per un biologo evolutivo (sempre che non sia finanziato dalla Nasa), queste sono condizioni minime. Ci vuole almeno un pianeta con idrosfera, sintesi abiotica di composti organici, abbastanza tempo (ma non sappiamo quanto) perché appaiano polimeri capaci di replicarsi e adattarsi, e un lungo eccetera. La ricerca della vita oltre la terra è una questione scientifica legittima e stimolante. Anche se bisogna evitare sia gli scenari fantascientifici, sia quelli teleologici: basta trovare un pianeta terrestre che subito qualcuno pensa che debba esserci vita intelligente! Né la formazione dei pianeti, né l’origine della vita sono oggi considerati il risultato di eventi imperscrutabili: sono solo il risultato naturale di processi evolutivi».
Indubbiamente però, la possibilità per quanto remota di poter rivelare la presenza di vita al di fuori della terra, magari osservando nelle atmosfere di questi pianeti la presenza di qualche molecola solo spiegabile con la presenza di vita, o addirittura, come sperano i più ottimisti, con l’invio di un segnale (nel caso dei sistemi planetari delle stelle più vicine ci vorrebbe soltanto qualche anno perché il segnale ci raggiungesse), potrebbe cambiare per sempre la nostra prospettiva sul mondo. 
Il filosofo della scienza dell’Università di Padova Telmo Pievani nota che «nel nostro immaginario, gli alieni irrompono quasi sempre all’improvviso. Stiamo invece facendo esperienza di una graduale acclimatazione all’idea che non siamo soli nell’universo, alla consapevolezza che il cosmo brulica di altre forme di vita. Se ciò è vero, significa che nei prossimi decenni quel cambiamento filosofico e scientifico radicale s’impadronirà di noi lentamente ma irreversibilmente, e ci abitueremo all’idea di avere altri compagni nell’universo». 
E QUESTO, dice Pievani, «ci farà sentire meno soli e meno eccezionali, meno ossessionati dalla nostra narcisistica solitudine terrestre. Impareremo a dare meno importanza a ciò che ci divide come esseri umani e più a ciò che ci unisce. Molti comportamenti ci appariranno finalmente nella loro immensa e inutile stupidità. Le religioni non moriranno, credo, ma si trasformeranno: nella chiesa cattolica si stanno già preparando a riadattare la dottrina per includere gli alieni!». 
Quanto alle scienze, «si tratterà del più grande esperimento evoluzionistico mai realizzato: cioè capire se la vita su due pianeti diversi si evolve in modo completamente diverso a causa di parametri planetari differenti, oppure se l’evoluzione porta sempre a forme via via più complesse e intelligenti a modo loro. Io ne dubito, ma qualcuno ne è convinto». 

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