giovedì 2 febbraio 2017

L'idolo dei Comunisti per Trump scongela il Dottor Stranamore e si mette alla testa dei teutofobi

Corriere della Sera


Il ritorno di Kissinger per favorire la distensione con il Cremlino 
Pronti a un compromesso sull’Ucraina e sul futuro della Siria Ma nell’amministrazione Usa in molti non si fidano di Putin 

Paolo Mastrolilli Busiarda 1 2 2017

Anche Henry Kissinger sta aiutando Donald Trump a mediare con Vladimir Putin, per riaprire il dialogo con il Cremlino, ma nella cerchia dei collaboratori più stretti del capo della Casa Bianca resta molto scetticismo sulle vere intenzioni di Mosca. Lo rivelano fonti vicine all’amministrazione, che hanno lavorato nel Transition team e continuano a consigliare il governo. Gli ostacoli infatti restano evidenti, come ad esempio ha confermato l’arresto di quattro membri dei servizi segreti russi accusati di spiare per la Cia. 
Durante la campagna elettorale Trump aveva detto di favorire un riavvicinamento a Putin, perché tornare alla Guerra fredda non conveniva a nessuno. Queste intenzioni si erano poi scontrare con i rapporti dell’intelligence, che avevano denunciato l’ingerenza degli hacker russi nelle presidenziali, confermando il sospetto che il Cremlino aveva interesse a favorire la vittoria del candidato repubblicano perché lo considerava più vicino e malleabile di Hillary Clinton. Durante la conferenza stampa tenuta con la premier britannica May, il nuovo capo della Casa Bianca ha confermato di voler tentare il dialogo con Putin, senza però scommettere sui risultati.
Un consigliere che lo sta aiutando a trovare l’intesa è Kissinger, che dopo aver costruito l’apertura alla Cina durante l’amministrazione Nixon, sarebbe felice di passare alla storia come la persona che ha anche evitato la nuova guerra fredda. Il punto di partenza è che l’ex segretario di Stato e il nuovo presidente sono uniti da una vecchia amicizia. Chi li conosce li ha visti frequentarsi anche fuori dal lavoro, in situazioni sociali, dove hanno un rapporto molto confidenziale. Dopo le elezioni Kissinger ha visitato in varie occasioni la Trump Tower, proponendosi come mediatore, e poi ha viaggiato anche in Europa. La sua idea è che il capo della Casa Bianca dovrebbe accettare la sovranità russa sulla Crimea, in cambio di un accordo complessivo per favorire la stabilità globale. La linea rossa invalicabile da parte di Mosca sarebbero i confini dei Paesi baltici e la Polonia. Russia e Usa potrebbero collaborare anche per fermare la guerra in Siria, con un compromesso che divida il Paese in sfere di influenza, e consenta di eliminare l’Isis. Mosca vuole conservare le basi navali nel Paese, cosa che otterrebbe, e, in un primo momento, anche la permanenza di Assad, ma sarebbe disposta a sacrificare il dittatore sull’altare di un’intesa di più ampio respiro. Anche in Libia si potrebbe garantire un ruolo ad Haftar, sostenuto dai russi, senza però lasciarlo marciare su Tripoli, in cambio della lotta comune al terrorismo nel sud del Paese. 
Il segretario di Stato Tillerson viene percepito come una persona vicina a Kissinger, e quindi potrebbe aiutare questo processo, ma il consigliere per la sicurezza nazionale Flynn è ancora scettico. È vero che aveva visitato in varie occasioni Mosca, e aveva dato rassicurazioni all’ambasciatore russo a Washington quando Obama aveva espulso i 35 diplomatici, ma nel libro «Field of Fight» scritto con Michael Ledeen aveva detto di considerare il Cremlino un membro dell’alleanza globale determinata ad abbattere gli Stati Uniti, insieme all’Iran e al jihadismo che Teheran controlla. Nei giorni scorsi le autorità russe hanno confermato le difficoltà arrestando quattro persone, tra cui i membri del servizio segreto Fsb Sergei Mikhailov e Dmitry Dokuchaev, accusandole di tradimento perché passavano informazioni alla Cia. Flynn non è certo che si possa ristabilire il rapporto con Mosca, e togliere le sanzioni per l’Ucraina, ma Trump e Kissinger vogliono almeno andare a vedere le carte di Putin. 
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Trump all’attacco della Germania “Sfrutta l’euro contro Ue e Usa” 

Navarro: “Merkel usa a suo vantaggio una moneta sottovalutata. Il Ttip è morto” Licenziato il segretario alla Giustizia che si è opposto al decreto sugli immigrati 

Alessandro Alviani Francesco Semprini  Busiarda 1 2 2017
L’amministrazione Trump colpisce diritto al cuore dell’Europa con un attacco alla Germania di Angela Merkel e alle sue strategie commerciali «egemoniche». 
L’affondo arriva per voce di Peter Navarro, numero uno del Consiglio nazionale per il commercio, la nuova cabina di regia sulla politica degli scambi voluta da Donald Trump. 
La Germania sta usando un euro «esageratamente sottovalutato» per «approfittarsi» degli Stati Uniti e dei suoi partner europei, dice il «trader-in-chief» in un’intervista al «Financial Times». Lo zar del commercio Usa va oltre definendo Berlino «tra i maggiori ostacoli a considerare il Ttip un accordo bilaterale, perché la Germania sfrutta gli altri Paesi Ue e gli Usa con un implicito Deutsche Mark» sottostimato. La conclusione è lapidaria: «Il Ttip è morto». La cancelliera Merkel liquida da parte sua le accuse di Navarro in appena tre frasi. La Germania ha sempre chiesto che la Banca centrale europea seguisse una politica indipendente, «così come ha fatto la Bundesbank quando non c’era ancora l’euro», ha chiarito la cancelliera da Stoccolma. «Pertanto non eserciteremo nessuna influenza sul comportamento della Bce e per questo non posso, né voglio cambiare nulla della situazione così com’è». Per il resto ci impegniamo per stare sul mercato mondiale «con prodotti competitivi e nell’ambito di una concorrenza equa».
Gli attacchi di Navarro arrivano però neanche 24 ore dopo la diffusione, da parte dell’istituto economico Ifo, di nuovi dati secondo cui nel 2016 la Germania è tornata ad essere il Paese col più alto avanzo delle partite correnti al mondo, scavalcando la Cina. Il surplus di Berlino ammonta a 297 miliardi di dollari, quello di Pechino a 245. Gli Stati Uniti mostrano invece il più alto deficit delle partite correnti al mondo, con 478 miliardi di dollari. Il governo tedesco, aveva spiegato lunedì una portavoce del ministero federale dell’Economia, condivide la posizione della Commissione europea secondo cui l’avanzo delle partite correnti è da considerarsi «elevato», tuttavia ritiene che ciò «non rappresenti uno squilibrio eccessivo». Elementi questi che tuttavia sembrano suffragare le accuse di Navarro e conferiscono forza agli attacchi da Ovest nei confronti della Germania. 
Trump nel frattempo è impegnato sul fronte interno a contrastare l’azione di protesta contro i suoi decreti in materia di migranti e rifugiati. Proteste che sono costate la poltrona al segretario alla Giustizia Sally Yates dopo il suo rifiuto di attuare le disposizioni contenute nei decreti esecutivi su rifugiati e immigrati. Yates, ministro superstite di Obama designata a guidare il dicastero sino alla conferma da parte del Senato del designato Jeff Session, aveva annunciato lunedì sera il boicottaggio: «Fino a quando sarò alla guida di questo dipartimento, il decreto non sarà difeso», avverte Yates. I legali del dipartimento così non avrebbero difeso nelle aule di tribunale il decreto di Trump.
Per il Presidente si è trattato di un tradimento in piena regola, meritevole di licenziamento. «Yates ha tradito il dipartimento di Giustizia rifiutando di attuare un ordine messo a punto per difendere i cittadini americani», ha replicato la Casa Bianca. E dopo il licenziamento (in stile «The Apprentice» afferma qualcuno), Trump ha nominato ministro ad interim Dana Boente, procuratore della Virginia, che ha subito affermato di essere pronto a «fare il proprio dovere» e a difendere l’ordine esecutivo del presidente. Il quale sembra godere di un sostegno interno (almeno sulla questione dei decreti) maggiore di quello che lo ha trascinato alla Casa Bianca. A suggerirlo è un sondaggio Rasmussen Reports secondo cui il 57% degli aventi diritto al voto sostiene le misure adottate da Trump in materia di rifugiati e migranti, a fronte di un 33% di contrari e il 10% di indecisi.
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E ora l’Europa prepara la contromossa “Casa Bianca minaccia per l’Unione” 
Tusk dopo le dichiarazioni del tycoon: “Situazione pericolosa” Al vertice dei 28 in agenda entrano anche i rapporti transatlantici 

Marco Bresolin Busiarda 1 2 2017
L’Europa ha capito che non può più far finta di niente. Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, lo ha scritto nella lettera inviata ai leader Ue in vista del summit di venerdì a Malta (ma non a Theresa May): «Le preoccupanti dichiarazioni della nuova amministrazione americana» sono una «minaccia esterna» per l’Europa. Esattamente come la «prepotenza della Cina», «l’aggressività della Russia», «il terrore» e «l’anarchia in Medio Oriente». 
E così il ciclone Trump ha ribaltato anche l’agenda del vertice de La Valletta. All’ultimo momento è stato deciso di inserire una sessione dedicata al futuro delle relazioni transatlantiche: i capi di Stato e di governo ne discuteranno all’ora di pranzo e al tavolo ci sarà anche Theresa May. Poi la leader britannica lascerà l’isola del Mediterraneo e farà ritorno a casa, mentre i colleghi proseguiranno la discussione sul futuro dell’Ue a 27. «Anche in questa sede - assicurano dai piani alti del Consiglio - ci sarà ampio spazio per parlare delle relazioni con Trump». Doveva essere il summit dedicato ai flussi migratori dalla Libia, ma probabilmente le relazioni transatlantiche diventeranno il tema principale. 
Una spinta decisiva in questa direzione è arrivata dopo i fatti del week-end, con le restrizioni agli ingressi negli Usa per i cittadini di sette Paesi a maggioranza musulmana («Se non altro perché c’è il rischio che nuovi flussi si riversino su di noi» dice in modo molto pragmatico un diplomatico). Ma ieri, proprio mentre a Bruxelles si discuteva ancora se inserire una dichiarazione su Trump nelle conclusioni del vertice oppure se scegliere la via della prudenza, è arrivato l’affondo diretto contro la Germania. Con l’inevitabile risposta della Merkel, che a questo punto potrebbe chiedere una presa di posizione forte da parte dei partner europei. Questa mattina gli sherpa saranno nuovamente al lavoro sulla bozza di conclusioni, che per ora prevede soltanto la parte relativa all’immigrazione.
Già la scorsa settimana avevano suscitato parecchia irritazione le parole del futuro ambasciatore americano presso la Ue. Anche lui se l’era presa con la moneta unica. Prima ancora di insediarsi ufficialmente, Ted Malloch ha detto alla Bbc di prevedere «il crollo dell’euro entro un anno-un anno e mezzo». Poi ha fatto un paragone tra l’Ue e l’Unione Sovietica e ha bollato il suo presidente Jean-Claude Juncker come «uno che sarebbe un buon sindaco in una città del Lussemburgo». Tra i diplomatici europei in questi giorni è evidente l’imbarazzo per le future relazioni che dovranno tenere con il loro collega americano. L’ex premier italiano Mario Monti ha invitato l’Ue a non accettare l’accreditamento di Malloch come ambasciatore a Bruxelles. 
Da un lato c’è la consapevolezza che non si possono rompere le relazioni transatlantiche, dall’altro c’è la necessità di fare un passo deciso in avanti per evitare di restare schiacciati. E infatti anche il Parlamento Ue ha inserito un dibattito ad hoc nella sua seduta odierna. Rivolgendosi ai leader europei, Tusk fa un appello all’unità, perché «la disintegrazione dell’Ue non porterà alla piena sovranità dei suoi Stati membri, ma alla loro dipendenza dalle grandi superpotenze come Usa, Russia e Cina. Solo uniti possiamo essere davvero indipendenti». È l’ennesima sfida per l’Unione Europea, chissà se si dimostrerà all’altezza.
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