sabato 4 marzo 2017

Democrazia Proletaria si prepara a sfruttare le sventure di Renzi per tornare a fare le politiche di prima





Ora nel Pd si smarcano gli uomini di Franceschini: Matteo, rinvia le primarie 

Per il gruppo del ministro sarebbe “autolesionistica” una guerra intestina in una fase di difficoltà per il leader 

Fabio Martini  Stampa
Nelle ultime ore il vento è sensibilmente girato e si capisce anzitutto dalle piccole cose. Ieri mattina Matteo Renzi, senza dirlo a nessuno, ha fatto un’improvvisata a Taranto per incontrare i lavoratori dell’Ilva e il reggente del Pd in città, Costanzo Carrieri, ha scritto su Twitter: «Vergognati di non avvisare il partito». Certo, lo sgarbo di un singolo non può far testo, ma il venir meno di un self control lessicale di solito precede fenomeni politici più corposi. Nel Pd non siamo al «25 luglio», alla rivolta di una intera classe dirigente nei confronti del capo, ma il doppio terremoto - le tessere taroccate in Campania e la vicenda di papà Renzi - sta scuotendo il nucleo più vicino al segretario. 
In particolare gli ex Popolari raccolti attorno a Dario Franceschini si sono riuniti e stanno ragionando se non sia il caso di chiedere un gesto di responsabilità ai tre sfidanti: rinviare le Primarie. Facendo leva su un ragionamento elementare: con un Pd impelagato sulla questione delle possibili infiltrazioni camorristiche sulle tessere in Campania e costretto alla difensiva dalla vicenda Consip, affrontare una dura battaglia intestina, «sarebbe profondamente autolesionistico», come confida uno dei big della corrente. Certo, in quest’area del partito la convinzione è che dal punto di vista giudiziario, la vicenda Consip non sia destinata a sviluppi clamorosi, meno che mai ai danni del leader del Pd. 
Ma i principali alleati del segretario sono preoccupatissimi dall’idea di «sposare» Renzi e ritrovarsi poi ad appoggiare un candidato «azzoppato» e perciò nelle prossime ore eserciteranno una offensiva, in vista di un passaggio dirimente: lunedì 6 marzo saranno presentate le mozioni dai candidati alla guida del Pd, che dovranno essere successivamente sottoscritte dai parlamentari. Anche su questo fronte la raccolta» dei renziani fa segnare qualche difficoltà: da indiscrezioni non confermate pare che i deputati pronti a sottoscrivere la mozione-Renzi siano circa 190, ma considerando che quelli di Area-Dem (Franceschini-Fassino) sono una novantina, i «renziani» doc sarebbero un centinaio, non molti di più di quelli che si preparano ad appoggiare il ministro Andrea Orlando.
Una contabilità relativamente interessante, soprattutto rispetto a quella che preoccupa il governo Gentiloni. Dopo la durissima condanna di Denis Verdini, capofila del gruppo di Ala, al Senato spesso decisivo per le sorti del precedente esecutivo, i numeri della maggioranza tornano a «ballare», in particolare in vista della votazione della mozione di sfiducia dei Cinque Stelle nei confronti del ministro Luca Lotti: cosa faranno gli scissionisti del Pd? «Vedremo», dice Alfredo D’Attorre e significa che non hanno ancora deciso. Hanno invece deciso come votare alle Primarie gli amici di Enrico Letta. L’ex presidente del Consiglio che confida di essere «preoccupatissimo» dal quadro interno e internazionale e pensa sarebbe utile una «ricucitura», intende restare fuori dalla contesa congressuale ma i parlamentari a lui vicini (Marco Meloni, Carlo Dell’Aringa, l’ex ministro Maria Chiara Carrozza, l’eurodeputata Alessia Mosca) e diversi consiglieri regionali e amministratori locali hanno deciso di schierarsi con Andrea Orlando, in quanto candidato col profilo più unitario. 
Ieri Matteo Renzi ha proseguito il suo giro d’Italia senza fare dichiarazioni ai Tg, ostentando tranquillità e digitando messaggi a metà tra il descrittivo (A #Matera sui cantieri della Capitale della cultura 2019 #incammino”) e i consueti superlativi: «In terra di Puglia, confrontandosi con gli abitanti della meravigliosa Castellaneta #incammino». Oggi a Roma sarà interrogato suo padre Tiziano, al termine di 78 ore, durante le quali sono stati fatti girare verbali, sono trapelate indiscrezioni, con una «cottura» tipica in queste circostanze. Il segretario del Pd fa sapere di essere tranquillo, di confidare nella giustizia, ma in queste ore è diventata chiara anche a lui, la «gabbia» nella quale rischia di trovarsi: con il clima di sospetto che circola in Italia, Renzi farebbe fatica ad essere creduto là dove dichiarasse di essere del tutto inconsapevole delle trame organizzate da amici e parenti toscani; al tempo stesso sa che, per la psicologia collettiva degli italiani, prendere le distanze dal proprio padre, potrebbe essere ancora più dannoso.
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Renzi si sente sotto assedio “Non mi tirerò mai indietro” La paura del Pd: “Crolla tutto” 
L’ex premier continua la campagna congressuale Nel partito fiato sospeso per l’interrogatorio di oggi del padre

GOFFREDO DE MARCHIS Rep
UN PARTITO aggrappato all’interrogatorio del padre dell’ex segretario. Questo è oggi il Pd, in attesa che Tiziano Renzi varchi nel pomeriggio il portone della Procura di Roma. Si parla solo di questo passaggio del procedimento penale tra i parlamentari e i big di Largo del Nazareno.
NON solo per immaginare quale potrà essere il futuro di Matteo Renzi, al quale tantissimi hanno legato, mani e piedi, la loro vita politica. Ma l’orizzonte e la stessa sopravvivenza dell’intero Partito democratico.
È preoccupato Dario Franceschini che vede una sola via d’uscita: che già dall’interrogatorio di oggi emerga una posizione defilata di Tiziano Renzi nell’inchiesta Consip per ricominciare a occuparsi del congresso e dispiegare il sostegno alla corsa di “Matteo”. Sono agitati gli uomini di Graziano Delrio che parlano di «tempesta perfetta», di un’offensiva mediatico-giudiziaria difficile da arginare. Tace Andrea Orlando, lo sfidante ministro della Giustizia. Non può fare altrimenti. Ma i suoi fedelissimi osservano che la candidatura del Guardasigilli non ha niente da guadagnare dal clima di assedio: «Se ne avvantaggerà solo Michele Emiliano ». Che a sua volta è testimone nello stesso procedimento.
Ecco la tempesta perfetta, in cui sono in gioco non solo i destini di uno, ma quelli di tutti. I 5 stelle fiutano il sangue e affondano il colpo depositando la mozione di sfiducia a Luca Lotti, il ministro dello Sport indagato nella stessa inchiesta. Il «fratello minore » di Renzi. A lungo Renzi e Lotti attendono una reazione compatta dei loro alleati nel Pd. Ma i tweet latitano, le agenzie sono mute, le reazioni sporadiche. Madonna che silenzio c’è stasera, pensano i due citando il primo film da solista di un toscano come loro, Francesco Nuti. Bruttisimo segno. Eppure basterebbe ricordare ai grillini il caso di Virginia Raggi, due volte indagata. Ma pochi, rispetto agli standard, colgono la palla al balzo. Pessimo viatico per oggi pomeriggio. Quando non si sa cosa aspettarsi: un’uscita onorevole di Tiziano Renzi oppure un addebito peggiore del traffico d’influenze?
L’ipotesi del ritiro di Renzi dalle primarie non è in campo. «Nessuno mi farà rinunciare», dice l’ex premier ai collaboratori. È il senso del post di Lotti su Facebook. In serata, di fronte al silenzio social dei renziani, il ministro usa il coraggio, che non gli fa difetto, per dire che il renzismo non molla. Renzi condide alla virgola il testo dell’amico e ritwitta. È la sua unica uscita pubblica sul caso del giorno. Comprensibilmente, visto che oggi il padre viene interrogato dai magistrati. Proseguire la campagna congressuale, è la parola d’ordine. L’ex premier ieri lo ha fatto visitando ancora il Sud, fermandosi a Matera, mettendo su Instagram le foto del tour. Lo ha fatto anche Andrea Marcucci, renzianissimo senatore, che ha organizzato una riunione con il responsabile del programma Nannicini e ha raccolto le firme dei colleghi in appoggio all’ex segretario. «La volta scorsa erano 50, stavolta 56», dice Marcucci. Ma forse ci si aspettava un bottino più corposo considerando l’uscita degli scissionisti. Dietro la garanzia dell’anonimato, gli ex popolari vicini a Renzi disegnano un quadro fosco: «Vengo dalla Margherita che aveva il 15 per cento. Se questi mi portano sotto quella soglia li cito per danni. Io ho paura che alla fine della storia non troviamo più il Pd, altro che Renzi». Il danno d’immagine, a prescindere dagli esiti dell’indagine, è grandissimo. Per questo, come ripete Franceschini, l’unica possibilità è che la storia si chiuda in fretta, nel giro di pochi giorni.
Nella giornata nera del renzismo s’infila anche la notizia della condanna di Denis Verdini. Sui siti campeggia il faccione del leader di Ala e sotto la foto di Tiziano Renzi. La débacle del Partito della Nazione, sogno renziano di qualche tempo fa. La plastica fine di un progetto che ha tenuto in piedi il governo dei mille giorni. Cos’altro può capitare in queste drammatiche 24 ore? Gira voce che i grillini si preparino a sferrare l’attacco anche in Antimafia. Alcuni membri della commissione spingono per chiedere l’acquisizione degli elenchi degli iscritti del Pd nelle regioni dove si registrano inquinamenti. Altri frenano. La questione rimane in sospeso. Se si muove una procura, procederanno con la richiesta a Rosy Bindi. Ormai si cerca il marchio d’infamia.
Echeggiano definizioni antiche in Transatlantico. Mani pulite, Tangentopoli. Serpeggia il timore sui numeri al Senato dove verrà votata la mozione di sfiducia personale contro Lotti. Numeri in bilico, sebbene il centrodestra abbia fatto sapere di non voler votare la mozione. Peggio di ieri può esserci solo oggi. Ma la speranza è che l’interrogatorio di Tiziano Renzi allontani le nubi.
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