giovedì 9 marzo 2017

"Economia buddista" e comicità involontaria: una silloge dei luoghi comuni liberal e dirittumanisti della sinistra radical chic

L’economia del Buddha “I suoi insegnamenti ci salveranno dalla crisi”

Rispetto dell’ambiente, uguaglianza, valori etici. Intervista a Clair Brown che in un libro coniuga la “scienza triste” con il pensiero orientale

FEDERICO RAMPINI Rep
Il nostro colloquio comincia per forza da un evento recente. Violenti scontri tra gruppi di manifestanti pro e contro Donald Trump hanno turbato la vita di questo campus universitario, le immagini hanno fatto il giro del mondo. Avendo vissuto per anni in quest’angolo di California, avendo pure insegnato saltuariamente in questo campus, io ero rimasto all’idea di una roccaforte liberal, perfino troppo “politically correct”, culla del Free Speech Movement (1964) e della protesta contro la guerra del Vietnam, poi di imponenti mobilitazioni pacifiste contro l’invasione dell’Iraq nel 2003. Ma in questi giorni le proteste violente hanno rivelato la presenza dell’estrema destra. Altrettanto sorpresa è l’economista Clair Brown che qui insegna da anni: «Non so che dire, non riusciamo a capire se l’estrema destra si sia infiltrata da fuori, o se fossero degli studenti di qui, che solo ora diventano così visibili. Siamo disorientati ».
Il clima d’intolleranza che si respira nell’America trumpiana è quanto di più lontano dal mondo della Brown: la prima economista americana ad avere introdotto il buddismo nell’insegnamento universitario della “scienza triste”. Il suo saggio Buddhist Economics è appena uscito in America e sarà tradotto in italiano da Vallardi. Dotata di un vero talento per la divulgazione, lei lo ha riassunto anche in un video-trailer, con sottotitoli in varie lingue italiano incluso, che è una divertente sintesi del suo insegnamento. Debitrice di pensatori come Amartya Sen e Jeffrey Sachs, lei rende omaggio ai suoi ispiratori e a coloro (da Joseph Stiglitz a Tony Atkinson) che si cimentano da anni con la costruzione di un’economia diversa. Sostenibile, rispettosa dell’ambiente. Più equa e solidale verso gli sconfitti. Alla ricerca di una qualità della vita basata su valori etici, non sui consumi materiali. La sua originalità sta nel legame esplicito con il buddismo.
Lei viene da una carriera accademica prestigiosa e direi da economista “tradizionale”, si è distinta per gli studi sul mercato del lavoro e sull’impatto delle tecnologie. Da quando ha cominciato a insegnare un corso così inedito come l’economia buddista? Con quali reazioni?
«Sono ormai al sesto anno di questo insegnamento. È molto popolare. Avendo il formato di un seminario, ogni anno scelgo una quindicina di studenti e cerco i più motivati, sono dei gruppi davvero fantastici».
Fra gli economisti che l’hanno ispirata e incoraggiata, quali contributi considera decisivi?
«Da Amartya Sen ho preso soprattutto l’idea che il benessere è una vita ben vissuta, non lo si può trattare usando solo indicatori materiali. Da Tony Atkinson ho capito questa verità profonda: ogni società si sceglie le sue diseguaglianze, nel senso che le disparità e ingiustizie non hanno nulla di ineluttabile né tantomeno di naturale. Sappiamo quali politiche funzionano per curare le diseguaglianze, e non hanno quasi nulla a che vedere con la crescita economica. Con Jeffrey Sachs e il suo Earth Institute ho lavorato molto sui temi della sostenibilità e i Millennium Goal dell’Onu per la lotta alla povertà. Ho messo tutte queste cose insieme, con un approccio integrato. Rispetto a una certa tendenza dell’economia a focalizzarsi su iper-specializzazioni, ho fatto un passo indietro per vedere lo scenario d’insieme».
Perché proprio il buddismo?
Alcuni valori che la ispirano si possono anche definire cristiani: solidarietà e amore del prossisimo; San Francesco forse fu il primo ambientalista.
«Io sono una buddista praticante. Ho scelto il buddismo perché insegna che tutte le cose sono collegate fra loro: gli esseri umani e la natura; ciò che accade a uno solo di noi ci influenza tutti. Certo potrei chiamare il mio corso “economia spirituale”; considero papa Francesco un leader morale, per esempio sull’ambiente. La religione cristiana ed anche altre religioni hanno qualche versione della Regola d’oro: non fare ad altri quello che non vorresti fosse fatto a te, tratta il tuo prossimo come te stesso. Ma quel che amo del buddismo è che non ci chiede di credere in un Dio, solo nell’interdipendenza fra tutte le creature. L’economia buddista ci costringe ad assumerci le nostre responsabilità. Come dice il Dalai Lama: siamo noi esseri umani ad avere provocato il cambiamento climatico, quindi non cerchiamo di cavarcela pregando Dio».
Come ci si sente a insegnare queste cose oggi, nell’America di Trump?
«Trump è uno shock improvviso che può anche servire a risvegliarci. Se le diseguaglianze, le guerre e la distruzione dell’ambiente sono i nostri problemi maggiori, lui non può che peggiorarli. Dobbiamo ricordarci che non ha vinto in assoluto, ha raccolto milioni di voti in meno di Hillary Clinton, e da qui dobbiamo ripartire come popolo. Non possiamo stare a guardare. Ed è proprio quello che sta accadendo. La stampa è diventata più vigilante. Anche tra i miei colleghi economisti vedo più attivismo. Stiamo ritrovando la nostra voce».
Dopo l’America, la seconda economia mondiale è anche la nazione col più alto numero di buddisti. Ma la Cina ha seguito un modello economico agli antipodi rispetto a quel che lei sta insegnando.
«La Cina ha un governo comunista, che prima ha represso il buddismo poi lo ha manipolato. Nel caso del buddismo tibetano la persecuzione è oscena. In molte situazioni il buddismo dei cinesi è sotto il controllo dello Stato».
Cosa pensa del Butan, il primo paese ad avere adottato l’Indice della Felicità in sostituzione del Pil?
«Quella sì è un’idea buddista. Pur essendo un paese molto povero ha cercato di orientare lo sviluppo per alleviare le sofferenze dei più poveri, in particolare le popolazioni contadine dei villaggi isolati. E curiosamente, nelle indagini sulla felicità della popolazione urbana, anche nel Butan emergono aspirazioni molto simili alle nostre: quello che veramente abbiamo bisogno di fare è passare più tempo coi nostri familiari, con gli amici, ridurre lo stress, fare cose che hanno un valore intrinseco, vivere una buona vita».
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