martedì 21 marzo 2017

Giovanni Arrighi in Calabria: tradotto 30 anni dopo "Il capitalismo in un contesto ostile"

Giovanni Arrighi: Il capitalismo in un contesto ostile. Faide, lotta di classe, migrazioni nella Calabria tra Otto e Novecento, Donzelli, pp. 162, euro 19

Risvolto
«Il conflitto sociale non rappresenta l’unica arma a disposizione di contadini e proletari nelle loro lotte contro lo sfruttamento e la periferizzazione. L’esperienza storica della Calabria dimostra l’importanza dell’emigrazione come fenomeno che può sostituire e completare il conflitto sociale nella definizione dei processi di sviluppo».
Come nasce il capitalismo in un contesto nel quale le relazioni economiche prevalenti sono orientate in tutt’altra direzione? E come è accaduto che aree periferiche dello sviluppo siano entrate nella sfera di influenza del capitalismo mantenendo tuttavia, almeno per una lunga fase, caratteristiche profondamente diverse da quelle che il «modello originario» avrebbe prescritto? Gli interrogativi sottesi a questo saggio – scritto negli anni ottanta a quattro mani e direttamente in lingua inglese da due tra i più significativi studiosi della sociologia storica contemporanea, e pubblicato ora per la prima volta in traduzione italiana – sono davvero di grande respiro storico, al punto da avere rappresentato, nella letteratura sul capitalismo, uno degli apporti più originali. Per affrontare storicamente la questione, Arrighi e Piselli sceglievano come terreno della loro ricerca sul campo la crisi del modello economico produttivo del latifondo calabrese dell’Ottocento. Quella dissoluzione diede in effetti origine – è l’argomento sviluppato con grande forza e suggestione dagli autori – non a un univoco modello, ma a ben tre diversi esiti distinti, che hanno poi caratterizzato la società calabrese nei decenni successivi: quello del Crotonese, più vicino all’esito dell’impresa capitalistica e del lavoro salariato; quello del Cosentino, sviluppatosi nella direzione della piccola proprietà contadina, a metà tra autoconsumo e mercato; e quello della Piana di Gioia Tauro, caratterizzato dalla crescita di aziende capitalistiche medio-piccole, in grado di difendersi dalla concorrenza esterna anche attraverso l’esercizio di poteri criminali. Lo studio del caso calabrese diviene, in questo magistrale saggio di sociologia storica, un esempio di analisi dei contesti che consente di leggere le differenze dello sviluppo, senza presentarle come inspiegabili «anomalie».


Cronache appassionate dalla periferia del capitalismo 

SCAFFALE. Finalmente tradotto il libro sulla Calabria di Giovanni Arrighi e Fortunata Piselli 
Michele Nani Manifesto 14.3.2017, 17:04 
Nel cuore degli anni Settanta Giovanni Arrighi, noto a livello mondiale per il suo Il lungo XX secolo (tradotto dal Saggiatore nel 1996), approdò alla nuova Università della Calabria. Aveva alle spalle studi di economia alla Bocconi ed esperienze di ricerca e insegnamento in Africa e a Trento, mai disgiunte dalla partecipazione appassionata ai conflitti sociali e politici del suo tempo. Installatosi nel visionario campus di Arcavacata di Rende, Arrighi raccolse in un seminario informale un gruppo di ricercatori, per proseguire nello scenario calabrese le sue indagini storiche e sociologiche su capitalismo e forza-lavoro. 
IL LABORATORIO-CALABRIA, «metafora della periferia», confermò e precisò alcuni assunti che andavano emergendo nell’approccio al sistema mondiale dell’economia lanciato da Immanuel Wallerstein ed altri studiosi.
Da poche settimane Donzelli ha tradotto Il capitalismo in un contesto ostile (pp. 162, euro 19), un lungo saggio pubblicato nel 1987 da Arrighi e da Fortunata Piselli, un’antropologa che aveva partecipato al seminario calabrese e che firma una postfazione sulla Calabria di oggi. Originariamente apparso sulla «Review» del Fernand Braudel Center di Binghamton, fondato dallo stesso Wallerstein nel 1976, ove il sociologo milanese si era trasferito nel 1979, si tratta di uno dei preziosi frutti di quell’esperienza calabrese e rappresenta tuttora un modello per ulteriori studi e approfondimenti. Come riassume efficacemente nella Prefazione un’altra partecipante al seminario, la storica Marta Petrusewicz, si spezzava la relazione necessaria fra l’avvento di rapporti capitalistici di produzione, la proletarizzazione della manodopera e l’ascesa a posizioni «centrali» nel sistema globale: queste tre caratteristiche potevano andare anche disgiunte, così come non vi era un nesso meccanico fra condizione proletaria e mobilità migratoria. 
NEL PRIMO OTTOCENTO la Calabria era caratterizzata dal latifondo contadino, ma a metà secolo le formazioni sociali cominciavano a differenziarsi, facendo della regione un agglomerato di modalità produttive, pur accomunate dalla perifericità rispetto ai centri dell’economia globale. Il Crotonese diventò un grande latifondo capitalistico, con alternanza di cereali e allevamento, l’esproprio dei contadini semi-indipendenti e la loro riduzione a braccianti salariati. Il Cosentino vide invece l’ascesa contadina alla piccola proprietà tesa all’autosussistenza, che innescava forma diverse di emigrazione. Nella piana di Gioia Tauro infine il mondo contadino si articolava attorno alla produzione mercantile di agrumi, olio e vino. 
PERCHÉ DIVERGEVANO? Congiunture economiche e unificazione nazionale non possono spiegarlo, occorre ricostruire la storia dei contesti ambientali locali («ostili»: malaria, scarsità di comunicazioni, brigantaggio), la loro interazione (ad esempio tramite flussi migratori interni) e l’esito del conflitto sociale che opponeva l’interesse dei proprietari per i nuovi mercati esterni a quello dei coltivatori.
Dopo il 1945, per diverse vie le diverse formazioni del capitalismo periferico ripresero a convergere: attraverso la lotta di classe e la riforma agraria (nel Crotonese), la crisi della piccola produzione (nel Reggino) e l’emigrazione di massa (il Cosentino) si disgregava la centralità agricola. Allo stesso tempo si affermava la mediazione statale e partitica, si diffondevano i consumi e si dilatavano i movimenti verso le fabbriche del Nord, per la peculiare posizione della Calabria, regione di un Paese sospeso fra centro e semiperiferia dell’economia globale. 
NON DEVE INGANNARE la natura di «articolo» dello scritto, perché per densità e acutezza vale almeno un voluminoso trattato e non basta una recensione a renderne pienamente conto. Con modestia, Arrighi e Piselli definivano il lavoro uno studio della «formazione di una forza lavoro salariata in un contesto periferico», ma in realtà realizzarono una lezione di metodo per le scienze storico-sociali, delineando un ricchissimo affresco storico del mutamento sociale in un’intera regione, nelle sue relazioni con il contesto nazionale e globale e nel suo prodursi attraverso sempre nuovi conflitti.

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