giovedì 9 marzo 2017

La Guerra Fredda del Vaticano in asse con gli Stati Uniti nel blocco socialista

Copertina di 'Testimoni della fede'
Jan Mikrut (a cura di): Testimoni della fede. Esperienze personali e collettive dei cattolici in Europa centro-orientale sotto il regime comunista, Gabrielli Editore

Risvolto
Nell'ultimo dopoguerra, nei paesi della zona sovietica, la Chiesa cattolica fu sottoposta a diverse forme di persecuzione religiosa da parte dei governi comunisti, talvolta molto raffinate, altre assai brutali. L'obiettivo del potere comunista era quello di annientare qualsiasi forma di religiosità, tanto più se organizzata e strutturata, che si opponesse alla visione atea della società che si pretendeva di costruire. Lo scopo di questo volume è ricordare e rendere presenti quelle persecuzioni, attraverso le esperienze personali o collettive dei protagonisti, raccontate sapientemente da storici provenienti dai paesi che le subirono. Il lettore si renderà subito conto di come il regime comunista in qualche modo si "inculturasse" nei diversi paesi che dominava, usando strumenti e metodi diversi per pervenire comunque allo stesso fine: non era la stessa cosa, per un cattolico, vivere in Polonia o in Albania...

Nonostante tutto, dai racconti emerge con chiarezza che, pur in un clima sociale e politico ostile, i credenti hanno continuato a professare la loro fede in Cristo e nella Chiesa, spesso a costo della loro stessa vita.




Osservatore romano 06 marzo 2017


Morire per la croce nell’Europa comunista
Un monumentale saggio racconta le vite dei cristiani perseguitati al di là della Cortina di ferro fino al 1989

Domenico Agasso Jr Stampa 8 3 2017
Avrebbe potuto celebrare lui il funerale di sua madre, nel 1986. Solo che nessuno, neanche sua mamma, sapeva che Tomáš Halík era prete. È stato sacerdote «clandestino» pure in casa propria. In Cecoslovacchia neanche ai genitori infatti bisognava rivelare di essere un religioso ordinato in segreto: era una «regola» da rispettare scrupolosamente in un paese comunista, perché il rischio che la voce circolasse era troppo alto. E chi veniva scoperto, rischiava due anni di carcere, in base alla legge sul «reato di sabotaggio del controllo statale sulle Chiese e le associazioni religiose».
Dunque Tomáš Halík, ceco, nato nel 1948, è sacerdote dell’arcidiocesi di Praga, oltre che professore di Filosofia dell’Università della capitale; dopo il 1989 è stato visiting professor nelle Università di Oxford, Cambridge e Harvard. La sua vicenda è una di quelle raccontate in Testimoni della fede. Esperienze personali e collettive dei cattolici in Europa centro-orientale sotto il regime comunista, a cura di Jan Mikrut (Gabrielli Editore). Quest’opera – monumentale, 1248 pagine – racconta l’eroicità di molti credenti, ma non è una raccolta di biografie, bensì dei vari «metodi e forme di persecuzione», puntualizza il curatore, in quei paesi dove l’obiettivo era distruggere la religiosità. 
Dalla penna dei cinquanta autori emerge un quadro in gran parte inedito, in cui si sommano e intrecciano le storie di vescovi, sacerdoti, religiosi, ma anche laici «del blocco sovietico impegnati nella difesa della loro fede e delle strutture della Chiesa». Molte delle persone di cui si parla dovettero pagare un prezzo altissimo per le loro convinzioni religiose: furono arrestati, incarcerati, torturati, internati in campi di lavoro, costretti a vivere in condizioni disumane. 
Ecco dunque Halík, diventato prete nel 1978, non nella sua patria ma a Erfurt, in Germania Est: «Era il sabato 21 ottobre del 1978. Poco dopo le 5 del pomeriggio, fui ordinato dal vescovo Hugo Aufderbeck, nella cappella privata della sua abitazione, all’ombra del duomo». 
Lo condussero a casa del Presule «sul sedile posteriore di un’auto, ricoperto da un cappotto», perché, «anche se la Chiesa nella Ddr aveva più libertà, non avevamo la sicurezza che l’ingresso della residenza vescovile non fosse controllato da una telecamera della polizia segreta». Halík si rese conto «di essere verosimilmente il primo sacerdote dell’Est ordinato sotto il pontificato del primo Papa dell’Est, Wojtyla», eletto cinque giorni prima.
Presto per Halík arrivano gli interrogatori, in particolare sui suoi rapporti con i «dissidenti dell’ambiente culturale, dei circoli filosofici e del samizdat (la diffusione di opere letterarie al di fuori dell’editoria ufficiale, ndr) cattolico». I poliziotti «mi minacciavano duramente – racconta - e l’istante dopo mi lusingavano, promettendomi che avrei potuto insegnare all’università e viaggiare all’estero, se solo avessi firmato un patto di collaborazione». Il «modello classico» era la concomitante presenza «dell’agente “cattivo” e di quello “buono”: quello cattivo urlava e minacciava, poi se ne andava per un’oretta lasciandomi da solo con quello “buono”, che mi blandiva con promesse: era in questo frangente che molti avevano scelto la via della collaborazione». 
Ma lui è un osso duro, dice sempre fermamente «no» a tutte le minacce e le offerte, a tal punto che «gli agenti mi dissero che stavano già lavorando alla stesura di documenti contraffatti, con cui compromettermi moralmente». 
Halík si è salvato, e racconta la sua storia nel volume. Non è finita bene invece per moltissimi altri, come il vescovo bulgaro di Nicopoli, Eugenio Bossilkov, condannato a morte nel 1952. In Croazia, nel biennio 44/45, 243 preti furono uccisi, 169 arrestati, 89 scomparvero. In Polonia tra il ’49 e il ’53 ci furono presuli e mille sacerdoti arrestati, 41 giustiziati, 260 spariti. Atrocità simili sono state compiute in Slovenia, Germania Est, Bosnia Erzegovina, Romania, Ungheria, Albania, Slovacchia. Attenzione però: in questi Paesi, malgrado tutto, «un gran numero di cristiani rimase fedele alla Chiesa – scrive il cardinale Christoph Schönborn nella prefazione - a costo della loro stessa vita; la tenacia di questi uomini è una toccante testimonianza della loro fede». 
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