lunedì 27 marzo 2017

Le Roi


Jean-Philippe Leclaire: Le Roi. Gloria e onta di Michel Platini,  66thand2nd pp. 451, € 25

Risvolto
Il 12 novembre 1987, al sorteggio per le qualificazioni di Italia 90, salgono sul palco due nuovi attori, in apparenza mal assortiti: un trentaduenne con i «riccioli romantici di un eroe di Visconti» e un signore che sembra il «notaio di provincia di un film tedesco». Sono Michel Platini e Sepp Blatter, la strana coppia che di lì a poco regnerà sul calcio mondiale. Fino al giorno in cui sarà tradita dalle rivalità e travolta dagli scandali, che impediranno al delfino di succedere al vecchio monarca sul trono della Fifa. Prima il Qatargate, che regala al piccolo emirato del Golfo i mondiali del 2022, poi la scoperta di una fattura sospetta di 1,8 milioni di euro pagata da Blatter a Platini. «Come Icaro, ogni volta che mi avvicino al sole, tutto brucia» dirà Michel, abituato a vedere la propria gloria offuscata da amarezze inattese, come nella notte mondiale di Siviglia o in quella tragica dell’Heysel. Con un lavoro investigativo degno di un Maigret, incrociando tra loro fatti accertati, ipotesi e interviste scomode, Leclaire ricostruisce tutta la storia di Michel «le Roi», l’artista dei calci piazzati convertito alla realpolitik e agli intrighi di palazzo, provando a districarne l’intreccio di genialità, ambizioni e reticenze, dagli esordi con la maglia dei bleus alle stagioni in bianconero, fino all’ultimo caso dei Panama Papers. Sarà stata la sua brama di vincere a bruciargli ancora una volta le ali? Una sola certezza rimane: un gol di Platini, parola di Zoff, «è sempre l’essenza del gol».              
Piccolo despota della Uefa o figlio di italiani brava gente: chi è davvero l’ex fuoriclasse francese della Juve? L’ultima biografia divide i lettori         
Avvenire Massimiliano Castellani venerdì 17 marzo 2017


Roi Platini la maledizione di Icaro 
Eleganza, leggerezza, ironia: l’emblema di un calcio diverso in una monumentale biografia. Tra la gloria in campo e la (temporanea?) caduta da dirigente 

Maurizio Assalto Stampa 27 3 2017
Ci sono due fotogrammi che riassumono e definiscono che cosa è stato Michel Platini calciatore. Uno è quello celeberrimo che lo coglie sdraiato su un fianco sul manto erboso di Tokyo, la mano sinistra a reggere il capo, nessun isterismo, un’aria tra l’incredulo e il divertito, dopo un gol da favola, uno dei suoi più belli, inspiegabilmente annullato dall’arbitro nella finalissima della Coppa Intercontinentale, anno 1985 (poi vinta ugualmente ai rigori dalla sua Juventus sull’Argentinos Juniors). Un campione sempre capace di collocarsi un gradino sopra gli eventi, e di guardarsi dal di fuori.
L’altro, meno noto, ma forse anche più emblematico, risale a due anni prima, al match di ritorno della finale di Coppa Italia con il Verona dei miracoli. La Juve, sconfitta all’andata per 2 a 0, nel ritorno a Torino a una manciata di minuti dal termine è ancora sull’1 a 0, l’esito sembra segnato, quand’ecco, a 9’ dallo scadere, un traversone profondo dalla destra, Platini che irrompe smarcato a pochi passi dal portiere, il pallone che gonfia la rete, l’esultanza un po’ burlesca ma garbata. La foto pubblicata sulla Stampa lo cattura qualche frazione di secondo prima dell’impatto con la sfera: sul suo volto non c’è nulla della tensione e della furia agonistica tipica degli attaccanti nel momento decisivo, no, vi si legge il sorriso e tutta la levità di chi se lo aspettava già da prima, e sa già come finirà quell’azione (e come finirà la partita: 3 a 0 e coppa alla Juve, con un altro gol suo, a un minuto dallo scadere).
Eleganza, leggerezza, ironia, battuta pronta. Un’aria d’altro mese e d’altra vita. Quando i calciatori non erano superprofessionisti costruiti in laboratorio, il calcio era ancora un gioco e Roi Michel il sommo giocoliere che poteva permettersi i colpi più beffardi, gli allenamenti un po’ svogliati, le sigarette, anche, e sul campo quella divina sprezzatura che ne faceva un fenomeno unico e irripetibile, venuto da cielo in campo a miracol mostrare. 
Da Torino a Parigi
Se Maradona vantava la propria mano de Dios, Platini avrebbe potuto dire (ma non lo diceva: per buon gusto, non per modestia) di essere un dio tout-court: non il Signore solenne dalla barba bianca della tradizione figurativa cristiana, bensì una di quelle divinità briccone degli antichi che amano mescolarsi agli umani, profondamente umano egli stesso nei suoi momenti di debolezza.
Grandi luci e qualche ombra. C’è tutto questo, la grandezza e la (provvisoria?) caduta nella monumentale biografia che gli dedica Jean-Philippe Leclaire, uno dei più apprezzati giornalisti sportivi transalpini, intitolata nell’originale Platoche (con il suffisso confidenziale molto amato dai francesi), e nella traduzione della raffinata casa editrice romana dall’improbabile nome di 66thand2nd semplicemente Le Roi (sottotitolo Gloria e onta di Michel Platini, pp. 451, € 25), con una intrigante prefazione dell’amico-nemico (per ragioni di tifo granata) Gian Paolo Ormezzano. Un libro senza sconti, in cui l’autore si è impegnato a restituire al personaggio «tutta la sua complessità e ambiguità».
Dalla nascita a Joeuf, Lorena, nel ’55 - da un padre di orgogliose origini piemontesi, ex calciatore, allenatore e insegnante di matematica, e da una madre di radici bellunesi -, ai primi calci in Francia, a Nancy e a St. Etienne, fino alla consacrazione nella Juventus dei sei campioni del mondo (più Bettega), arruolato nell’82 con un blitz dell’Avvocato Agnelli per vincere tutto. E vinse tutto, in cinque stagioni, compresi tre Palloni d’oro consecutivi (mai nessuno, prima, come lui) e tre titoli consecutivi di capocannoniere (lui regista di centrocampo), oltre a quello conquistato alla testa della Francia campione d’Europa per la prima volta nel 1984.
Nell’87 l’addio al calcio e a Torino, «bella ma troppo grande» per il lorenese che sceglie di tornare nella sua piccola Nancy, ma che pochi mesi dopo si acquartiera regalmente nella ben più grande Ville Lumière e da qui dà l’avvio a una nuova scalata. L’estemporanea esperienza di ct della Nazionale francese, quella più proficua di uomo d’affari, la carriera di dirigente sportivo che lo porterà, vero uomo di potere, ai vertici dell’Uefa e alle soglie della presidenza Fifa, il massimo organo mondiale di governo del calcio, ricercato come un testimonial - e qualcosa di più - dai politici del suo Paese. «Non male per un lavativo che ha avuto bisogno di due tentativi per strappare il suo unico diploma, la licenza media…», commenta Leclaire. 
Fine dei giochi
Ma due anni fa anche Platoche deve fermarsi, travolto dalla vicenda poco chiara di una fattura da due milioni di franchi svizzeri pagatagli nel 2011 da Blatter (ormai diventato, dal monarca che era, l’anima nera del sistema calcio) per presunte consulenze prestate tra il 1999 e il 2002. Comunque stiano davvero le cose, è la vecchia storia dell’altare e della polvere. Lui, Le Roi spodestato, in un’intervista del 2015 con Le Monde, preferisce rifarsi a un mito greco: «Come Icaro, ogni volta che mi avvicino al sole, tutto brucia».
È quel che accadde il 25 maggio ’83 a Atene, nella finale di Coppa Campioni inopinatamente persa contro il modesto Amburgo, dove lui giocò male. E poi due anni dopo, il 29 maggio ’85, una data indimenticabile. Bruxelles, un’altra finale di Coppa Campioni, allo stadio Heysel tra la Juventus e il Liverpool detentore del trofeo. Con tutto quello che tutti sanno, prima che la partita abbia inizio. In quella notte allucinata di 39 morti e 600 feriti, in quella partita senza senso giocata per imposizione delle autorità belghe, nel timore di altri incidenti, Platini segna l’inesistente rigore decisivo, esulta sconsideratamente e alla fine si esibisce pure sotto la curva con la coppa alzata. Ne proverà l’imbarazzo per tutta la vita. In un’intervista con Marguerite Duras, su Libération del 14 dicembre 1987, confesserà che in quella partita maledetta era diventato, nel modo più drammatico, un uomo: «Fino a un certo punto, abbiamo i nostri giochi da bambini. E poi, tutt’a un tratto, quei giochi non ci sono più. Ecco, per me è finito tutto quel giorno lì, ho perso i miei giochi da bambino».
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1 commento:

Anonimo ha detto...

Eroe Ma De Che? Piuttosto un poveretto alla corte di Blatter.