sabato 11 marzo 2017

Nussbaum perdona, noi no


Martha Nussbaum: Anger and Forgiveness: Resentment, Generosity, Justice, Oxford University Press

Risvolto
We live in a culture of apology and forgiveness. But while there are a few thinkers who are critical of forgiveness as being too supine, and extol the virtues of retribution and 'getting even,' philosopher and intellectual Martha C. Nussbaum criticizes forgiveness from the other side: that in the realm of personal relations, forgiveness is at its heart inquisitorial and disciplinary. 

In this volume based on her 2014 Locke Lectures, Nussbaum paints a startling new portrait that strips the notion of forgiveness down to its Judeo-Christian roots, where it was structured by the moral relationship between a score-keeping God and penitent, self-abasing, and erring mortals. The relationship between a wronged human and another is, she says, based on this primary God-human relationship. Nussbaum agrees with Nietzsche in seeing in forgiveness a displaced vindictiveness and a concealed resentment that are ungenerous and unhelpful in human relations. She says forgiveness can give aid and comfort to a certain narcissism of resentment that a loving and generous person should eschew-in favor of a generosity that gets ahead of forgiveness and prevents its procedural thoughts from taking place. 
With a wide range of literary and classical references as background, Nussbaum pursues her penetrating and wide-ranging exploration of anger and forgiveness from the personal realm into the political, as well as into a so-called middle realm where we interact with people and groups who are not our close friends or family. A great deal of resentment toward others is in this middle realm, and she argues that the Stoics were right-we should try and understand how petty most slights are, and avoid anger to begin with.


Elogio filosofico del perdono nell’era della grande rabbia 

MASSIMO AMMANITI Rep 10 3 2017
Se si dovesse ricostruire una storia delle emozioni umane nel mondo occidentale si scoprirebbe che nella Grecia del Quinto secolo avanti Cristo è avvenuta una grande trasformazione antropologica. In un libro di qualche anno fa, Restraining Rage (“Reprimere la rabbia”) lo storico William Harris della Columbia University di New York ha sostenuto in modo estremamente documentato come si fosse verificato un grande cambiamento dal mondo arcaico di Omero al mondo della “polis” ateniese: “L’ira funesta” di Achille non rappresentava più l’unico modo di affrontare il conflitto ma potevano esistere altre forme più civili di confronto e di soluzione dei contrasti.
Nonostante i venticinque secoli che ci separano dalla “polis”, la rabbia sembra oggi aver di nuovo preso il sopravvento, il terrorismo internazionale ne è una drammatica conferma, come anche gli scontri politici che si trasformano spesso in insulti e risse. E la violenza e il risentimento non risparmiano più nessuno, basta leggere i commenti sui social network, in un contagio che avvelena la vita quotidiana.
Sempre attenta alle emozioni politiche e sociali, la famosa filosofa americana Martha Nussbaum dedica il suo ultimo libro, Anger and Forgiveness: Resentment, Generosity, Justice (“Rabbia e Perdono: Risentimento, Generosità, Giustizia”, Oxford University Press) a questo nuovo fenomeno. Come scrive l’autrice, la rabbia è «velenosa e popolare», ma anche quanti ne riconoscono il pericolo distruttivo per la convivenza civile non ci rinunciano perché spesso questa forte emozione si lega all’affermazione del rispetto personale e alla virilità, e nelle donne alla rivendicazione dell’uguaglianza. E poi con la rabbia ci si può illudere di strappare un indennizzo da parte di coloro che si sono comportati male, anche se non si riuscirà mai a recuperare ciò che si è perso. Chi ha subito un torto ed è veramente arrabbiato vuole ottenere una riparazione. E tre strade diverse si aprono. In primo luogo ci si sente umiliati e si vuole risalire la china sociale, presi solo dal bisogno personale di ottenere un indennizzo. Oppure ci si può focalizzare sull’offesa ricevuta sperando che con la vendetta il reo possa patire anche lui le stesse sofferenze. È evidente che queste strade non costituiscono una soluzione anche perché si entra in una sindrome rivendicativa da cui è difficile staccarsi e che rischia di aggravare ulteriormente la situazione. Ma esiste un’ulteriore strada, indicata dalla Nussbaum: guardare piuttosto al futuro e non rimanere ancorati al passato e a quello che si è subito, per scoraggiare quanti vorranno ancora comportarsi nello stesso modo. Anche in termini di efficacia quest’ultima strada è la migliore: ne è una prova Nelson Mandela, che dopo ventisette anni di dura prigionia sicuramente provava rabbia per i suoi carcerieri bianchi e avrebbe voluto un indennizzo personale. Eppure Mandela riuscì a sfuggire alla trappola della rabbia e al suo potere corrosivo, non perse mai di vista il bene del suo paese preoccupandosi di trovare un compromesso con i suoi oppressori.
Il libro della Nussbaum non si riferisce solo al contesto sociale più ampio, vale in famiglia, nei rapporti di coppia o fra genitori e figli. Se la rabbia prende il sopravvento, si perde la lucidità e si rimane ancorati a quanti ci hanno maltrattato perché continueremo a pensare alla vendetta e alle ritorsioni peggiori e non riusciremo più a liberarci, inquinando il nostro mondo psichico. Il solo futuro possibile è quello del perdono relazionale che si lega alla grande tradizione cattolica e giudaica: chi ha subito dei torti può cercare di capire le debolezze umane e non opporsi a una riconciliazione. A patto però che ci sia un riconoscimento delle colpe da parte di coloro che ne sono stati responsabili. ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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