sabato 4 marzo 2017

Quando l'orrore avanza, l'architetto è spesso in prima fila





Quando il Muro ha la firma dell’architetto 
Così i progetti contro le migrazioni danno vita a una nuova disciplina

MANUEL JABOIS Rep 3 3 2017
Il luogo dove è più semplice entrare illegalmente negli Stati Uniti dal Messico è anche quello dove si registrano più morti. Si tratta del confine con l’Arizona. Se uno sfugge alla vigilanza dell’American Border Patrol, non deve fare altro che camminare per entrare negli Stati Uniti. Lo aspetta il deserto: temperature estreme, rettili velenosi, scorpioni, coyote e montagne che disorientano i migranti, che devono vedersela non solo con la natura, ma anche con bande organizzate. Si stima che muoiano, in media, almeno 170 migranti l’anno; 223 in un anno particolarmente sinistro, il 2010. Senza contare quelli che non vengono dichiarati. È una costante nel movimento migratorio: quando gli Stati moltiplicano il proprio zelo nel
controllo della frontiera costringono i migranti clandestini a cercare luoghi più pericolosi da cui entrare. L’amministrazione Clinton costruì un muro tra Tijuana e San Ysidro nel 1994; nel 2002, Bush rafforzò le misure di sicurezza. Questo ha costretto i migranti a rischiare di più: nel deserto non c’è bisogno di costruire qualcosa.
Tutto ciò ha un nome: architettura di estenuazione, volta a reindirizzare altrove l’azione dell’uomo, come avviene anche in Europa, dove l’ostilità alla frontiera di Ceuta e Melilla, punto di ingresso in Europa, porta migliaia di migranti ad affrontare un altro deserto: il mare. A questa architettura degli Stati, i migranti rispondono con l’architettura della trasgressione. In Arizona, la polizia di frontiera appiana la striscia di terra contigua alla barriera con pneumatici usati per poi seguire le orme di coloro che entrano. Ma nelle città messicane di frontiera si vende tessuto per tappeti da incollare alla suola delle scarpe. E le taniche bianche per l’acqua vengono dipinte di nero per evitare i riflessi del sole. La Spagna non è diversa. È un tema approfondito dall’architetta Lucía Gutiérrez, collaboratrice della fondazione porCausa, che studia i modi in cui l’architettura si mette al servizio del controllo migratorio. Nel suo volume Arquitectónica de la Exclusión ripercorre la storia degli Stati, delle frontiere e dei muri moderni che le società hanno costruito nel corso dell’ultimo mezzo secolo fino a giungere a «una nuova tipologia architettonica, che prevale e ordina le relazioni tra gli esseri umani: l’architettura dell’esclusione ». Ha cominciato a interessarsene nel 2015, quando si trovava negli accampamenti dei migranti di Calais. Da allora, Gutiérrez analizza i diversi settori di questa nuova architettura, un’architettura non solo fisica. «C’è il razzismo», dice, ma anche «l’anti-razzismo», afferma il professore di antropologia Manuel Delgado: è l’atteggiamento che chiede tolleranza per coloro che non sono come la maggioranza «e per i quali si applica ogni genere di denominazioni d’origine che conferma la situazione di eccezionalità in cui si trovano intrappolati». Delgado sostiene che questa posizione anti- razzista è un altro modo di designarli come “altri”. La tolleranza, spiega in Sociedades movedizas, «è di per sé un concetto che presuppone il discredito dell’altro ».
L’espressione più brutale di “altri” rispetto a “noi” è un muro. Da quando si cominciarono a costruire le recinzioni di Ceuta e Melilla, i migranti si sono adattati alle difficoltà via via poste dallo Stato. Ci sono tre recinzioni a Melilla, due delle quali alte sei metri. In mezzo c’è un ulteriore ostacolo, la cosiddetta ragnatela tridimensionale, fatta di cavi d’acciaio: dieci chilometri di cavo intrecciato che impedisce di proseguire se si è superata la prima recinzione, inclinata verso il lato del Marocco per rendere più difficile la possibilità di saltarla. Tutte le modifiche architettoniche spagnole (74 milioni di euro spesi dal 2005) per impedire l’ingresso di migranti hanno funzionato in un primo momento e sono poi state gradualmente superate.
Ad esempio, quando il cavo sempre più spesso è stato sostituito da una maglia metallica che impedisce di arrampicarsi perché non si riesce a farvi presa, si sono fabbricati ganci e scarpe chiodate per riuscire ad aggrapparsi e scalarla. L’architettura modifica il rapporto dell’uomo con il suo ambiente: lo migliora anche se l’architettura gli è ostile. La notizia dell’installazione della ragnatela a Melilla ebbe un impatto tecnologico; si riteneva che avrebbe messo fine ai salti della recinzione. Ne fu testata la sicurezza con degli alpinisti, che ci misero circa quindici minuti per completare il superamento delle tre recinzioni. Oggi, dopo un decennio di tentativi ed errori, spinti dalla disperazione, i migranti possono arrivare a completare il salto in pochi minuti. La ragnatela di cavi intrecciati, cui gli Stati Uniti si sarebbero interessati quando l’installarono in Spagna, viene usata dai migranti per darsi una spinta verso il recinto successivo. In mezzo, le lame delle concertine [bobine di filo spinato con lame affilate, ndt] so- no l’elemento architettonicamente più aggressivo dell’esclusione, installato per ferire o uccidere chi cerca di superarlo (nel 2009, Sambo Sadiako, senegalese di 30 anni, morì dissanguato). Furono installate nel 2005 con grande scandalo sociale e tolte nel 2007 — non tutte — per essere rimesse nel 2013.
Lucila Rodríguez-Alarcón, direttrice di porCausa, ritiene che «le attuali politiche migratorie, basate sul tentativo di frenare questi movimenti, stanno più che altro incrementando i flussi attraverso il mercato nero». Secondo porCausa, i movimenti migratori più prevedibili e abbondanti devono essere difesi. «Bisogna che si parli della migrazione con chiarezza e in modo documentato, evitando approcci caritatevoli e lottando contro i discorsi demagogici anti-immigrazione », dice Rodríguez-Alarcón. Un’iniziativa significativa è quella dell’architetto Lucía Gutiérrez nel concorso What Design Can Do, promosso dall’UNHCR con Ikea per trasformare il design in qualcosa di utile in rapporto ai rifugiati. Gutiérrez ha presentato un opuscolo uguale a quello distribuito da Ikea per montare i suoi mobili, ma in cui è disegnato, con l’indicazione degli attrezzi necessari, come smontare le recinzioni di Ceuta e Melilla. Delle 631 proposte ricevute, questa si è piazzata al 614 esimo posto. © El País / LENA, Leading European Newspaper Alliance. Traduzione di Luis E. Moriones ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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