venerdì 24 marzo 2017

Sobillare la rivoluzione colorata in Cina in nome della "libertà" e dei "diritti umani": l'ostinato caso Repubblica



















La sfida di Joshua “Per Hong Kong libera torneremo in piazza”
Wong è l’attivista simbolo della Rivoluzione degli ombrelli, contro la Cina. “Noi giovani cambieremo il mondo”ANGELO AQUARO Rep 24 3 2017
HONG KONG. Il volto della protesta è ancora lui e neppure la galera, i processi di Hong Kong e l’ombra lunga del Dragone spegneranno mai la carica del capopopolo ragazzino che lotta con tutto il cuore per la democrazia: e aspetta con ansia, confessa, «l’uscita del terzo film degli Avengers, e naturalmente del nuovo Spiderman ». La rivoluzione non sarà un pranzo di gala, ma chi l’ha detto che bisogna farla tenendo il muso? «Noi ragazzi possiamo davvero cambiare il mondo», dice Joshua Wong. «È venuto il momento di riprenderci il futuro». I giornali pro-Cina lo accusano di essere addestrato dalla Cia. «E siccome per la gente di Hong Kong dire Cia vuol dire Tom Cruise la mia ragazza mi fa: e quand’è che mettiamo su un po’ di muscoli?».
Joshua Wong Chi-fung è nato il 13 ottobre 1996, otto mesi prima del passaggio di Hong Kong dalla Gran Bretagna alla Cina, e il 26 settembre di tre anni fa, non ancora 18enne, diede il via alla rivolta per il suffragio universale che la polizia asfissiò con i gas: per difendersi i ragazzi usarono gli ombrelli, e Joshua finì sulla copertina di
Time
come “il volto della protesta”: «Pensavo», dice ora «a un fotomontaggio dei miei». Da allora, anche se non aveva l’età per candidarsi, ha fondato un partito, Demosisto, ha spedito al Legislative Council - il Parlamento dove
Repubblica
l’ha incontrato - un giovane deputato, che per la verità rischia pure la squalifica perché il suo giuramento non sarebbe stato abbastanza “solenne”, e la sua storia è diventata perfino un film: “Joshua: Teenager vs Superpower”.
Sembra un titolo da super eroi: non di un documentario su un attivista.
«Hollywood Style: è il prezzo che negli Usa devi pagare se vuoi andare ai festival, e infatti è andato al Sundance. Ma io spero che quando uscirà, e l’ha voluto Netflix, farà capire cosa sta succedendo qui a Hong Kong».
Ecco: che succede?
«L’idea che il mondo aveva degli abitanti di Hong Kong era semplice: animali economici. Il business, la Borsa. La globalizzazione. Come se qui non importasse altro. Poi è arrivato il movimento degli ombrelli e pensa un po’: i giovani volevano anche democrazia. Giustizia sociale».
Domenica si vota per il nuovo leader.
«Ma non è un’elezione: io la chiamo selezione. Si vota per tre personaggi già prescelti da Pechino: e neppure eletti con il suffragio universale. Per questo torneremo a protestare».
Il presidente Xi Jinping verrà il primo luglio per celebrare i vent’anni del passaggio alla Cina. Hong Kong blindata da decine di migliaia di poliziotti.
«E noi lo accoglieremo con una grandissima manifestazione di disobbedienza civile: vedrà che cosa non si fa per la democrazia».
Se potesse incontrarlo cosa gli direbbe?
«Che anch’io ho 20 anni: e sono vent’anni che aspetto di vedere attuati i miei diritti. Gli chiederei: ci spiegate cosa non va? Non vogliamo l’indipendenza: vogliamo l’autodeterminazione. Vogliamo il rispetto della dichiarazione sino-britannica che nel 1984 garantì a Hong Kong il principio One country, Two systems.
Un solo paese, due sistemi. Invece Pechino erode le nostre libertà: vuole un paese, un sistema solo. Perché non rispettate i patti che voi stessi avete sottoscritto? ».
Lei si sente cinese o cittadino di Hong Kong?
«Sono nato a Hong Kong e sono un cittadino di questa regione autonoma della Cina. Peccato che in Cina non ci posso entrare perché sono sulla lista nera: un po’ difficile sentirsi cinesi così. Poi certo, etnicamente sono cinese. Festeggio il capodanno cinese, mangio i nostri mooncakes, la mia cultura è cinese: ma che c’entra con il comunismo?».
Lei ha detto di sperare nell’aiuto di Trump: un businessman capirà come deve funzionare Hong Kong. Ma il presidente Usa pare più impegnato a dialogare col Dragone.
«È un’incognita. Una volta parla con Taiwan, poi rassicura Pechino. Ho molto più speranza nel Congresso. C’è una spinta bipartisan per reintrodurre la legge che chiede il rispetto dei diritti umani per Hong Kong: tornerò a Washington tra maggio e giugno, sarebbe un bel segnale per il resto del mondo. Alla vigilia del ventennale di luglio».
Al Congresso si è fatto fotografare con Marco Rubio: mica un progressista.
«Uh, lo so. No ai diritti Lgbt, no all’aborto. Certo che mi piacerebbe vedermi con Bernie Sanders: ma non mi sembra che abbia a cuore la questione di Hong Kong. Magari».
Dalle barricate di Occupy Central, il cuore di Hong Kong, fino a Washington.
«Arrivo e mi viene incontro questo tizio di un think tank. Giacca e cravatta, mi stringe la mano serio serio: benvenuto nel mondo libero. Che ci vuoi fare? Poi invece guarda come trattano le minoranze».
La sua campagna la sta portando in tutto il mondo.
«Abbiamo fondato Noyda, Network of Young Democratic Asians. Guardate i Girasoli a Taiwan. E ora in Corea del Sud: quanti ragazzi per la cacciata di Park Geun-hye? Ma non c’è solo l’Asia: non sono stati i giovani a spingere per le riforme appoggiando Bernie Sanders negli Usa?».
Che cosa vi accomuna?
«Ci dicevano: dovete prima studiare, trovare un buon lavoro, la politica viene dopo. Ma questa visione non ci rappresenta più. Il movimento degli ombrelli ha dimostrato che è possibile fare miracoli. Lo dico anche agli italiani: è tempo di darsi da fare. Siamo noi che cambieremo il mondo».
Gli arresti, le minacce. Non ha paura?
«Avrei più paura a non fare niente: perché altrimenti tra 20, 30 anni non solo la mia sicurezza ma quella di ogni cittadino di Hong Kong, cresciuto finora nella libertà, potrà essere a rischio».
Sta parlando del passaggio definitivo alla Cina, tra trent’anni: è il 2047, lei ne avrà 51. Come si vede? Una moglie, i figli.
«Non mi vedo: troppo lontano. Vivo ancora con i genitori perché non posso permettermi un appartamento nella città con le case più care del mondo. Non ho ancora un lavoro fisso, resto un attivista e non so neppure se potrò continuare a fare politica. Se squalificano il nostro deputato perdo anche l’ufficio e pure il badge per farla entrare qui: e dove vuole che mi veda fra trent’anni?».
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