domenica 23 aprile 2017

Continua la traduzione dell'epistolario di Stendhal

immagine scheda libroStendhal: Il laboratorio di sé Corrispondenza 1800-1831, a cura di Vito Sorbello, Aragno

Risvolto
Dall’adolescente che invia le sue lettere a Grenoble come tante dichiarazioni di guerra contro il padre, fino al console disilluso di Civitavecchia che gioca un’ultima partita d’esprit, passando per l’intellettuale dell’anno X che redige il suo breviario di Ideologo in erba, o ancora per l’amante respinto da Métilde che mormora le sue malinconiche monodie, lunga è la lista di questa opera plurale che è la Corrispondenza di Stendhal. Questa maieutica epistolare è soprattutto attiva negli anni giovanili, ma è attraverso lo scambio epistolare che Beyle si apre la via che lo condurrà fino a Stendhal. 

Monsieur Henri Beyle, uno spaccone innamorato di se stesso
Aveva ottenuto qualche incarico nella burocrazia militare e si dava alla bella vita tra la Francia e l’Italia, finché non lo prese il dèmone della scrittura. Un irrefrenato appetito di donne. E per la carriera nutriva segrete ambizioni che non sarebbero state mai soddisfatte. Ritratto dell’autore de “Il rosso e il nero” da giovane: le sue lettere ora anche in italiano.

Stendhal, anni di azione militare e amorosa 
Da Aragno i primi tre volumi dell’epistolario. Il 1800 è l’anno del battesimo del fuoco, l’apertura «beylista» ai viaggi e alla vita 
Raffaele Manica Alias Manifesto domenica 23.4.2017, 19:12 
Quegli scrittori per i quali tutto pare naturale, che sembrano essere toccati in ogni momento dal favore dell’iddia nascosta della poesia – che si mostra mentre si cela e che per capriccio si concede non a chi la cerca ma solo a chi non sa di cercarla – hanno ben poche differenze tra il lato pubblico dei loro libri e quello almeno in parte privato delle loro lettere. Stendhal il grande è negli scranni alti di tale circoscritta categoria; ed è colui che ha fondato tale categoria per ciò che chiamiamo modernità. 
Il mistero Stendhal, come lo ha ridefinito ancora di recente Massimo Colesanti in un volume del quale si parlò tempo addietro su queste stesse pagine, risiede in tale naturalezza: in una scrittura tutta fatti che si fa pensiero e giudizio nell’oscillazione tra limpidezza e contraddizione. Il mistero Stendhal fu formula escogitata da Leonardo Sciascia, stendhaliano senza soluzione di continuità perché, osservava Colesanti, «affascinato e coinvolto dai grandi e piccoli ‘misteri’, veri o ironici, dei quali Stendhal si circonda»; misteri di varia umanità, se Trompeo, uno dei padri dei francesisti italiani, nel 1937 scriveva, con ironia e verità: «la storia dello stendhalismo è tutta piena di mancati interrogatori a vecchie signore che in gioventù avevano conosciuto o avevano potuto conoscere Stendhal». 
Allora: l’uscita in italiano dell’epistolario di Stendhal (Il laboratorio di sé Corrispondenza 1800-1831, a cura di Vito Sorbello, Aragno) è senz’altro un avvenimento. I tre volumi che avviano l’impresa coprono l’arco temporale che va dal 1800 al 1821 (I, 1800-1806, pp. 675; II, 1807-1812, pp. 827; III, 1813-1821, pp. 787; ciascuno € 35,00) e consentono di procedere a qualche interrogatorio di quelle vecchie signore, giusto dopo essersi chiesti a chi sia diretta questa traduzione, che alla fine si mostrerà perfino fisicamente assai imponente. 

Gli specialisti di Stendhal hanno a disposizione varie edizioni (sull’ultima, presso Champion in sei volumi usciti terminando nel 1999, si basa la presente versione) e si fatica a immaginare lettori in lingua italiana capaci di sobbarcarsi una lettura avvincente sì ma costosa in tempo non soltanto; e poi, come tutti gli epistolari, perfino in quello di Stendhal la discontinuità regna sovrana. L’impresa è tuttavia ammirevole, anche se l’integralità è forse un mito dei tempi nostri, che preferiscono non leggere anziché leggere in antologie – che già sarebbe qualcosa (quante volte, di fronte ai vecchi volumi Ricciardi in occasione a prezzi stracciati, si è visto l’acquirente esitare «perché è un’antologia» e si vorrebbe adesso chiedergli se ha letto tutto Algarotti: le antologie, si passi l’ovvietà, dipende da che antologie sono). Comunque, riserve a parte, l’integralità, oltre che un mito o una mania, è una possibilità di verifica capillare. E ora, per Stendhal, è quasi fatta. 

Il curatore ha avuto un’idea aggiunta e salvifica, che dà nelle intenzioni il senso a tutta l’operazione. Il commento essenziale è soprattutto informativo: fornisce la prima data di pubblicazione delle lettere e l’identità dei personaggi nominati; in più dichiara di dedicare particolare considerazione ai contributi degli stendhalisti italiani: Trompeo, Bruno Pincherle, Carlo Cordié, Luigi Foscolo Benedetto e Leonardo Sciascia. Probabilmente ciò si vedrà congruamente nei volumi che seguiranno a coprire l’ultimo ventennio della vita dalla quale Stendhal prese congedo nel 1842. Ma anche il solo indicare tale intenzione è un contributo alla storia della ricezione. «La “fortuna” di Stendhal scrittore e personaggio – ha scritto Colesanti – non viene affatto rimessa in discussione o smentita dalla sua “sfortuna” editoriale, anzi ne viene come rafforzata e rilanciata. Il discorso così ampio e ramificato su di lui è sempre un continuo punto e a capo, pieno di riprese, di svolte, di ritorni per altre vie e in altre direzioni. Se si è avverato ed anche “allargato” il motto da lui fatto suo, To the happy few, continua a perpetuarsi anche l’esclamazione augurale e “vaticinante” che ripetevano i primi stendhaliani entusiasti, e poi Valéry e Sciascia con essi: Stendhal for ever!». Sia ciò biglietto di ingresso ai chissà quanti lettori che adesso lo incontreranno. 

Stendhal nasce nel 1783. Le presenti lettere vanno dunque dalla giovinezza alla piena maturità. Il 1800 è l’anno d’inizio della «grande avventura “beylista”» come l’ha chiamata da ultimo Michel Crouzet, ovvero l’anno di apertura ai viaggi e alla vita che faranno, di Henry Beyle, Stendhal: una storia insieme intellettuale e mondana, di cinica sincerità e di spudorato amore per la vita. Nello stesso 1800 – scrive ancora Crouzet – Stendhal «riceve il battesimo del fuoco e il battesimo dell’amore (ma non riuscirà mai a ricordare con quale ragazza e in quale bordello)». Sono anni di azione militare e amorosa, di progetti di ogni tipo (vari matrimoni inclusi), dello scrivere sulla storia della pittura in Italia e su Haydn, su Roma Napoli e Firenze, su Napoleone, sul Romanticismo, trattando soprattutto De l’Amour, fino alla richiesta a Métilde Dembowski del 3 gennaio 1821: «Madame, trovereste sconveniente se osassi chiedervi il permesso di vedervi un quarto d’ora, una di queste sere? Mi sento oppresso dalla malinconia. La mia amicizia sentirà tutto il pregio di un segno di bontà di cui certamente il pubblico non si occuperà. Voi potrete abbandonarvi senza pericolo alla generosità della vostra bella anima. Io non sarò indiscreto; non pretendo dirvi niente, sarò amabile» (ma se Stendhal chiede questo, «un quarto d’ora, una di queste sere», come mai, nella Cronologia per il «Meridiano», Crouzet scrive: «chiede a Métilde di riceverlo un quarto d’ora ogni sera»? Quanti quarti d’ora le chiese?). 

Nell’introduzione, Sorbello rammenta come il riconoscere l’anima di Stendhal nelle sue lettere non fu dato sùbito acquisito; si parte anzi da veri e propri detrattori: né Barbey d’Aurevilly (che scrisse di un «eccentrico premeditato») né Sainte-Beuve vi scorsero quel sentire che fu invece immediato per Paul Léautaud quando, alla fine del 1893, acquistò per poco esborso i due volumetti della Correspondance inédite: una «franchezza spinta fino al cinismo». Dal «fanfarone del vizio» e dal «tartufo intellettuale» la nuova definizione, posta in ben diversa profondità di campo, sarà dovuta a Valéry: «un brillante attore intimo». L’introduzione, giusto il titolo L’invenzione di sé, ruota intorno alla costruzione dell’io di uno scrittore e di un uomo nevroticamente ostinato a «voler essere se stesso» costantemente rischiando di volerlo essere troppo. Ci si chiede se qualcosa di meno c’era da aspettarsi dall’autore dei Ricordi di egotismo. 

Per il versante letterario, durante gli anni di formazione intellettuale e mondana, le lettere sono anche un «laboratorio di stile» alla ricerca di un «naturale amabile» sempre, compresi i momenti in cui si fa preminente il dato di asprezza che porterà alla verità inseguita e raggiunta nei romanzi. Ma, in più, il tono epistolare non è presente soltanto nelle opere giovanili; e non soltanto De l’Amour può considerarsi il sostituto della lettera destinata a Métilde e mai scritta; infatti (Sorbello), «sebbene Stendhal non si sia mai cimentato nel romanzo epistolare, i suoi eroi, Octave, Julien, Fabrizio, Lucien, sono tutti campioni della comunicazione a distanza» e «la lettera è un elemento essenziale nella dinamica narrativa del racconto stendhaliano». 

Ha scritto Sciascia in una pagina della Corda pazza del tempo in cui l’autore della Chartreuse fu considerato «in sostanza patetico, se non addirittura pietoso»: il solito teatro dell’invidia, che tenta di arginare la fama che arriva per un’immagine multipla non soltanto nella varietà delle cose scritte ma nella varietà stessa di ogni singola cosa. Di questa immagine le lettere sono il complemento e il dislocamento.

Nessun commento: