martedì 20 giugno 2017

La gratitudine del Mondo Libero per Solzenycin non finirà mai e sarà sempre sproporzionata alle sue qualità di scrittore

Un lessico per il terrore, e nel Gulag tutto scorre 
Letteratura russa . Finalmente nella redazione definitiva, «Una giornata di Ivan Denisovic» torna, per Einaudi, accompagnato da ottimi apparati e due importanti racconti, «La casa di Matrëna» e «Accadde alla stazione di Kocetovka» 
Stefano Garzonio ALias Domenica 9.7.2017, 18:38 
Nell’agosto del 1933 una brigata di scrittori sovietici fu inviata nei luoghi dove era stato appena realizzato il Belomorkanal, il nuovo canale che collegava il Mar Bianco al lago Onega e da lì al Baltico. Erano richiesti di raccogliere materiale documentario sul lavoro dei forzati, la «nuova forgiatura» (perekovka), ovvero la riabilitazione attraverso il contributo all’edificazione della patria socialista. L’opera, che doveva combinare «un rigido approccio documentario alla chiarezza e alla concretezza espositiva», era pensata per la collana di libri della serie «La storia delle fabbriche e degli stabilimenti». Vi parteciparono, tra gli altri, Michail Zošcenko, Viktor Šklovkij, Vsevolod Ivanov e Bruno Jasenski, sotto la supervisione di Maksim Gor’kij, mettendo insieme un esemplare di quella letteratura di produzione, che prevedeva testi in prosa o in versi legati ai viaggi di scrittori e poeti nei luoghi dell’industrializzazione, per descrivere e celebrare l’eroismo della classe operaia sovietica.
Di certo, però, il libro sul Belomorkanal aveva un carattere peculiare, perché in quanto concentrato sul lavoro coatto dei prigionieri del Gulag, riconosceva un ruolo di primo piano al sistema concentrazionario gestito dell’Ogpu, la direzione politica dello Stato. Proprio per questo motivo, con la caduta in disgrazia di Genrich Grigor’evic Jagoda si arrivò alla fucilazione o alla detenzione di molti degli autori e degli organizzatori di quell’edizione, nonché alla confisca e alla distruzione delle varie tirature del volume. 
Un trentennio più tardi, quando già il XX congresso del Pcus aveva condannato il culto della personalità e si era inaugurata l’epoca del disgelo, la rivista «Novyj Mir», diretta da Aleksandr Tvardovskij, pubblicò il racconto lungo di Aleksandr Solženicyn Una giornata di Ivan Denisovic, originariamente intitolato, semplicemente, Šc-854, vale a dire il numero di matricola del protagonista Ivan Šuchov, che non aveva nulla da invidiare alla letteratura della produzione per intento documentario, chiarezza e concretezza espositiva. Dedicata anch’essa al lavoro dei forzati, questa opera non era tuttavia mirata a sottolinearne il processo di forgiatura sociale e di redenzione. L’autore, infatti, non faceva parte di un collettivo di scrittori inviati dalle associazioni letterarie a descrivere le conquiste del lavoro socialista: era egli stesso un forzato e il suo racconto, che aveva un esplicito orientamento memorialistico, costituiva un evidente atto di accusa nei confronti del mondo concentrazionario sovietico, espresso nei toni pacati di quella ordinaria quotidianità, che lo rendeva ancora più sconvolgente. In una intervista del 1976 a Nikita Struve, lo stesso Solženicyn dichiarò: «Basta descrivere una sola giornata di una persona qualunque da mattina a sera e sarà tutto chiaro». 
L’anno precedente lo scrittore era stato insegnante nella regione di Vladimir, nel villaggio di Mezinovskij, poi, nel 1957 si era trasferito a Rjazan per essere assunto come insegnante di fisica e astronomia, e fu lì che scrisse il racconto. Dopo aver partecipato, nel corso della Grande Guerra Patriottica, a importanti combattimenti tra i quali la battaglia di Orël ed essere giunto fino alla Prussia orientale con il grado di capitano, nel febbraio del 1945 Solženicyn era stato arrestato per aver espresso opinioni negative su Stalin in una lettera a un amico d’infanzia. 
ll suo calvario – otto anni di lager e tre di confino – era cominciato qui, e lo aveva portato tra l’altro alla šaraška (laboratorio scientifico segreto all’interno del sistema concentrazionario sovietico) di Marfino e al lager di Ekibastuz in Kazachstan, dove Solženicyn lavorò come minatore, muratore e operaio in fonderia. A quell’esperienza sono legati, nel ricordo, i tanti personaggi che il protagonista di Una giornata di Ivan Denisovic incontra nella sua giornata di prigionia: il capitano di marina, il fervente battista Alëška, l’intelligent Cezar’, il dochodjaga Fetjukov, detto lo sciacallo, il brutale sottotenente Volkovoj, e così via, nella puntuale ricostruzione di luoghi e circostanze con l’orecchio sempre attento al lessico, alle inflessioni, ai linguaggi del mondo concentrazionario e della sua variegata composizione sociale. Proprio nella ricchezza stilistica del parlato, nel recupero dello skaz, ovvero della tensione legata al tentativo di rendere il discorso orale, si evidenziano gli aspetti innovativi del testo di Solženicyn rispetto ai dettami del realismo socialista, ricollegandolo piuttosto ai migliori esempi della nascente linea degli scrittori contadini, i derevenšciki. 
La pubblicazione dell’opera fu decisa direttamente da Nikita Chrušcev, evidentemente ancora memore del caso Živago. Giunto in redazione grazie alla critica letteraria Anna Berzer, il testo era stato trasmesso a Chrušcev da un entusiasta Tvardovskij, che lo aveva corredato con una serie di pareri di scrittori particolarmente influenti nel mondo letterario degli anni del disgelo. Anna Achmatova lesse il racconto prima della sua pubblicazione e dichiarò: «Questo testo lo deve leggere e imparare a memoria ognuno di tutti i duecento milioni di cittadini dell’Unione Sovietica». Di certo pensava al proprio Requiemi, diffuso allora solo oralmente in una strettissima cerchia di persone. 
Anche Varlam Šalamov, l’altra grande voce letteraria del mondo concentrazionario sovietico, il cantore della Kolyma, rimase profondamente colpito dall’opera di Aleksandr Solženicyn, e dopo averla letta, nel novembre del 1962 notò come il lager venisse presentato attraverso gli occhi del protagonista Šuchov: «un contadino che aveva vissuto sulle sue spalle la grande prova, l’aveva sopportata e ora la raccontava».
Sebbene La Giornata di Ivan Denisovic appartenga al genere memorialistico, è tuttavia lontano da qualsiasi confessione, né indulge in processi introspettivi: presenta, invece, la realtà quotidiana in tutta la sua terribile e banale normalità, offrendo uno spaccato di tipi e comportamenti appartenuti a un mondo strappato alla vita e agli affetti. Ciò che più colpisce è la naturalezza con la quale tutto si compie e viene recepito dai vari personaggi, che si tratti di angherie o incessanti attese, di pesanti fatiche quotidiane o di privazioni. La normalità della sopraffazione e della violenza nel lager, al di fuori del quale, gelida e sterminata, si estendeva la «grande zona», l’intero paese dei Soviet. 
Finalmente nella redazione definitiva, Una giornata di Ivan Denisovic torna ora in libreria magistralmente curato da Ornella Discacciati per Einaudi (pp. 296, € 20,00) e arricchito da un acuto scritto introduttivo e da una nota alla storia del testo, offrendo al lettore italiano anche due altri importanti racconti che Solženicyn compose prima di dedicarsi, negli anni che precedettero l’esilio, alla stesura di Arcipelago Gulag, per il quale cadde nuovamente in disgrazia e che pur essendo stato proposto nel 1964 per il premio Lenin fu dichiarato illegale nell’Unione Sovietica e ripubblicato solo negli ultimi anni della perestrojka. I due racconti che accompagnano la nuova edizione del testo più famoso di Solženicyn sono «La casa di Matrëna» e «Accadde alla stazione di Kocetovka», e anch’essi attingono all’esperienza di vita e alle memorie dello scrittore di cui evidenziano la profonda cifra stilistica e narrativa.
Tassello d’obbligo nella tradizione della grande letteratura russa, e legato al lavoro dello scrittore come insegnante a Mezinovskoe, nella regione di Vladimir, il primo racconto costituisce un magnifico esempio di descrizione della vita e della mentalità del contadino russo il cui mondo l’industrializzazione forzata ha distrutto per sempre. Allo stesso tempo, oltre lo schermo della vita quotidiana e dello storicismo, si svelano i tratti assoluti, universali dei personaggi, delle loro passioni e delle loro sofferenze.
Il secondo testo, invece, si ricollega al genere assai diffuso nella letteratura sovietica del racconto di propaganda dedicato allo smascheramento di spie, sabotatori e nemici del popolo. Ma in Solženicyn il racconto ha ben altro spirito, e il tenente Zotov, pur ritrovandosi costretto a denunciare il misterioso viaggiatore che compare nella trama, è personaggio onesto e di grande spessore morale, vittima lui stesso di un ingranaggio che non risparmia niente e nessuno. 
Come sottolinea Ornella Discacciati, l’insieme dei tre testi offre una testimonianza inconfutabile di quella grande stagione che attraversò la letteratura russa del dopoguerra, dai romanzi di Grossman ai racconti di Šalamov fino, appunto, alla Giornata di Aleksandr Solženicyn, una fioritura nel gelo dell’inverno.

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