lunedì 19 giugno 2017

Una nuova edizione del De brevitate vitae di Seneca

Seneca: La brevità della vita, a cura di Daniele Pellacani, Bononia University Press, pp. 126, € 12,00)


Seneca, una strategia stilistica per qualificare l’esistenza 
Classici commentati. Siamo tutti «occupati» e vittime del tempo: il «De brevitate vitae», «dialogo» del filosofo stoico, nella fortunata interpretazione di Alfonso Traina, senecano 

Maria Jennifer Falcone Alias Domenica18.6.2017, 20:32 
«Seneca è un moralista doppiato da uno psicologo. Le morali passano, ma l’uomo resta». Non è raro trovare tra le pagine dei saggi di Alfonso Traina sentenze ‘senecane’ come questa, che illuminano il discorso e si incidono nella memoria. La citazione è tratta dal suo fortunato commento al De brevitate vitae di Seneca, uscito originariamente nel 1970, edito più volte dalla Bur (l’ultima nel 2015) e ora pubblicato dalla Bononia University Press in una nuova edizione aggiornata da Daniele Pellacani (Seneca, La brevità della vita, pp. 126, € 12,00). Se il trattato – una serrata e vivace disquisizione sul tempo e sulla saggezza umana – non può mancare «in un’ideale biblioteca di ‘classici per il terzo millennio’» (così nella quarta di copertina), leggerlo con gli occhi di Traina è un privilegio soprattutto per chi conosce il latino.
Della lingua e dello stile, infatti, egli è stato ed è finissimo studioso, capace di mettere in luce il senso profondo del messaggio filosofico attraverso un’attenta analisi delle scelte lessicali e delle caratteristiche formali del testo: il suo fortunato saggio Lo stile ‘drammatico’ del filosofo Seneca (Pàtron 1984), a cui spesso il commento rinvia, ne è un esempio magistrale. Traina individua nella sententia la «cellula stilistica» del suo linguaggio filosofico, la strategia retorica «con cui Seneca combatte la sua battaglia per la salvezza laica dell’uomo» (p. 21). Nulla lascia al caso questo «scrittore di razza»: anafore, antitesi, figure etimologiche, sintassi e lessico, sistemi metaforici danno efficacia nuova ai contenuti di un’antica saggezza stoica.
Come un sommozzatore esperto, Traina accompagna il lettore nell’esplorazione dei fondali linguistici del trattato. Quando Seneca dice che è davvero poco il tempo in cui viviamo veramente, e che «tutto lo spazio rimanente non è vita, ma tempo» (ceterum quidem omne spatium non vita sed tempus est), non gli sfugge il dettaglio, pregnante, della scelta semantica di ceterum, ‘rimanente’, che sottolinea la «forte opposizione qualitativa (reliquum sarebbe stato solo quantitativo)» (pp. 43 s.). Che la qualità della vita non sia in alcun modo legata alla sua durata è tema ricorrente, rappresentato ad esempio dall’immagine di un vecchio canuto e rugoso, di cui si potrebbe pensare che abbia vissuto a lungo, ma – così Seneca in una delle sue folgoranti chiuse sentenziose – non ille diu vixit, sed diu fuit («non è vissuto a lungo, ma è stato al mondo a lungo»). Se questa frase si imprime nella memoria, ciò è dovuto alla sapiente strategia stilistica evidenziata nel commento: lo schema avversativo è sottolineato dalla ripresa di diu (‘a lungo’) e dalla struttura a membri decrescenti (la seconda proposizione è più breve della prima).
L’attenzione scrupolosa verso il lessico permette a Traina di scandagliare a fondo anche il tessuto metaforico con cui Seneca rappresenta i concetti del tempo fugace e della precarietà delle cose terrene (pp. 11-14). E così nel De brevitate, come anche nell’antologia di passi tratti da diverse opere, in fondo al volume, il tempo è descritto come un fiume, un’immagine che Seneca libera dalla polvere della tradizione isolandone gli effetti devastanti sull’uomo e la natura: un fiume, sì, e dunque un corso inarrestabile, ma di questo fiume la piena, la corrosione, la violenza travolgente. C’è, poi, la metafora del punto, quella contrazione totale di spazio e tempo che è il presente, e, conseguente a essa, l’immagine degli abissi del passato e del futuro che insidiano il saggio mentre cerca di tenersi in equilibrio su quel punto.
Tutti siamo vittime del tempo, tutti siamo occupati (parola chiave del trattato): la carrellata di figure umane (palestrati, gente distesa al sole ad abbronzarsi, effeminati che passano le ore dal barbiere, ma anche politici, uomini importanti, filologi puntigliosi) ha, come il mimo, «il sapore della vita». Seneca, che da ‘psicologo’ conosce l’animo umano e da artista lo descrive, da stoico lo spinge verso la saggezza, che Traina definisce come il polo dialettico positivo rispetto al tempo che scorre. Non avendo alcun controllo sulla durata della vita, l’uomo saggio presta attenzione all’uso che ne fa. L’opposizione tra qualità e quantità è vista così da un’angolatura propositiva: cogita semper qualis vita, non quanta sit («pensa sempre alla qualità della vita, non alla sua quantità»), scrive Seneca in un’epistola (70, 5). Chi si concentra sul presente, libero dall’angoscia degli abissi del tempo, può recuperare il passato e il futuro «come dimensioni psichiche» per mezzo del ricordo e della previsione. Fuori dal tempo, il saggio abbraccia ogni tempo, e così, come Dio, trionfa su ogni cosa.
Liberarsi delle occupazioni e iniziare a vivere. È il privilegio o, meglio, la conquista del saggio, che può annettere alla sua l’esperienza dei grandi del passato, quindi «disputare con Socrate, dubitare con Carneade, con Epicuro starsene in pace, vincere con gli Stoici la natura umana, con i Cinici oltrepassarla» (De brev. 14, 2). E, magari, con Seneca imparare a riempire di qualità il proprio tempo, lasciandosi accompagnare dalla sapiente guida di Traina.

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