venerdì 15 settembre 2017

Uno studio su Giacomo Serpotta

Bianco tenebra. Giacomo Serpotta, il giorno e la notteLuca Scarlini: Bianco tenebra. Giacomo Serpotta, il giorno e la notte, Sellerio

Risvolto
Tra letteratura e storia e storia dell’arte Luca Scarlini costruisce un percorso tra gli stucchi di Giacomo Serpotta, da molti considerato il maggiore scultore del Settecento che operò in Sicilia. Putti, statue e decori dell’artista che adornano chiese e oratori sono lo spettacolo più conturbante della Palermo barocca.
«Di bianco e oro sono le trame dei sogni di stucco, custoditi nei luoghi oscuri e riparati dalla pioggia e dal sole, perché le intemperie sono nemiche della materia. Bisogna salire scale e scenderne, entrare in vicoli stretti, in cui i panni schioccano al vento, per essere ricompensati dalla visione di creature ridenti e acrobatiche, che incorniciano fatti seri e drammatici, opere di fede e misericordia, battaglie di cristiani, turchi e pirati di Barberia, che alla marina si presentavano anche troppo spesso, nel Settecento, sulle coste di Sicilia, a predare persone, destinate alla schiavitù o alle complicate pratiche del riscatto».
I putti di Giacomo Serpotta sono più una celebrazione dei bambini di Palermo che una visione di santi. I suoi stucchi sacri e profani, mesti e carnali, macabri e allegri, che trasformano in una bianca festa del vedere i bui oratori, sono lo spettacolo più conturbante della Palermo barocca. Questo libro di Luca Scarlini disegna di un artista di cui restano poche tracce un ritratto da più prospettive. Il racconto della sua arte viva, nella città del tardo Seicento immersa in culti oscuri e suadenti finezze, si mescola all’esplorazione del mito, delle influenze, della fortuna in epoche e mode diverse, delle tracce nella lingua e nel costume, della sua tecnica degli stucchi rimasta segreta. Sullo sfondo, un’antropologia cittadina che ha il suo cuore nel culto dei morti.



La morte sconfitta dagli stucchi 

Arte. «Bianco tenebra. Giacomo Serpotta, il giorno e la notte», di Luca Scarlini, pubblicato da Sellerio. Ascesa, caduta e di nuovo ascesa dello scultore palermitano 
Arianna Di Genova Manifesto 14.9.2017, 0:04 
I suoi putti paffuti e candidi come la panna se ne stanno sul limitare di scale ombrose, che precipitano giù verso gli inferi. Non luoghi della letteratura e la leggenda, ma quelli veri, i sinistri sotterranei cui si accedeva dopo tortuosi percorsi nel buio, stanze di spurgo dei cadaveri, dove la carne si mondava della sua vita terrestre, facendosi scheletro. Accadeva sotto molte chiese e lo scultore Giacomo Serpotta, con la sua militanza piena nelle confraternite palermitane, era allenato alla frequentazione di quegli antri, resi scivolosi dai liquami. Contrapponeva, al piano di sopra, nella luce contrastata, i suoi amorini sorridenti e grassottelli, esorcizzando la fine umana in vaporose scene realizzate con lo stucco, materiale a cui cambiò destinazione d’uso. Lo trasformò da rifinitura povera e popolare a decorazione acrobatica, in grado di tessere storie rimanendo abbagliante, senza piegarsi alle tonalità febbricitanti di certi marmi. E ci riuscì grazie alla sua grande perizia, retaggio di una antica famiglia d’arte – il padre Gaspare, il fratello Giuseppe, la madre discendente da marmorari e poi sarà la volta del figlio Procopio. 
LÌ, NEGLI ORATORI SICILIANI della devozione, delle assemble pubbliche e del pentimento per condannati senza appello, Serpotta creava un fervore tutto suo, animando in modo dionisiaco moltissime figure e sconfiggendo così il rigor mortis. La sua arte rivela una Palermo segreta, quasi misterica, che rimuove l’infanzia violenta delle strade a favore di un brulicare danzante di stupori, mani e gambe tornite, abbracci sensuali con matrone, sguardi intrecciati. 
A fine Seicento, quando il caldo palermitano non offriva requie, dentro le chiese si spandeva il refrigerio visivo degli stucchi serpottiani. Luca Scarlini, autore del libro-scrigno Bianco tenebra. Giacomo Serpotta, il giorno e la notte (Sellerio, pp. 168, euro 12) parte da qui, da quella polarità di presenza / assenza di luce, che viene affrontata come fosse una lotta eterna, profondamente personale, in ogni opera dello scultore. D’altronde anche il suo ritratto (attribuito a Gaspare Serenario) racconterebbe questa sfiancante battaglia quotidiana: profilo affilato e immersione – con i suoi strumenti di lavoro – in un ambiente esploso, abitato da brandelli di corpi. Scarlini, con scrittura felice, insegue la seduzione di statue del colore dell’alba e offre loro una nuova esistenza, questa volta anche letteraria. 
A LUNGO DIMENTICATO, rimasto a mangiare polvere, Serpotta fu riabilitato da un altro squisito conterraneo, l’architetto del Liberty Ernesto Basile, che rivendicò l’eleganza dello scultore additandolo come primo tra i moderni. Il Settecento tornò a parlare una lingua amata: le eccentriche statue serpottiane, dal canto loro, avevano resistito (con qualche malanno) a terremoti, incendi e guerre. Avevano conservato tutta la forza necessaria per colonizzare l’immaginario dei visitatori stranieri. E non solo: cominciarono a far gola anche ai ladri che si diedero a una sciagurata opera di sottrazione di putti da quei teatrini svolazzanti.

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