lunedì 20 novembre 2017

Anticomunismo e Guerra Fredda culturale: inediti e poesie varie di Brodskij


Quand'era al confine spaccava legna. Da uomo libero incideva versi. Come quelli di "E così via", in russo e in inglese
Davide Brullo Giornale - Sab, 09/12/2017

In un’altra vita forse mi vedrete cantare 
Grandi poeti. Scritti tra l’86 e il ’96, i testi di «E così via» (Adelphi) evocano la esclusiva ispirazione poetica di Brodskij in russo, mentre i versi inglesi sono un minuzioso autocommento, un gioco 
Mario Caramitti Alias Domenica 17.12.2017, 6:00 
Il verme si è stancato di torcersi nel becco: così Iosif Brodskij illustra la sua idea di vecchiaia. Ma tre strofe dopo sarà il verme a cantare al posto dell’uccello: in questa metonimia di trascinante intensità sta tutta l’essenza di So Forth, il libro del quale Brodskij aveva già le bozze nel gennaio 1996 il giorno della sua morte e che esce a vent’anni di distanza in versione italiana per Adelphi con il titolo E così via (pp. 254, euro 22.00). Sulla soglia della morte per un’inesorabile malattia cardiaca, il poeta è profondamente cosciente del proprio talento, che tuttavia avverte oltre il suo climax, e gode della radiosa quotidianità inaugurata dal matrimonio e dalla paternità. Ecco allora il canto del verme, il verme-verbo che si allarga a inglobare l’universo stesso. 
Sarà quindi un ben singolare libro d’addio quello che sin dal titolo evoca piuttosto la transizione, la continuità. Come a dire: la vecchiaia in sé interessa poco, ma c’è ancora da fare. Un primo esplicito obiettivo è completare la sovrapposizione del prosatore di lingua inglese Joseph Brodsky, autore di raffinati saggi che raccolgono plauso unanime in tutto il mondo, con il poeta russo Iosif Brodskij, altrettanto famoso – sebbene trenta anni prima – grazie alla difesa della sua autonomia creativa davanti allo stato sovietico. 
Critiche feroci 
Scritti tra il 1986 e il 1996, questi testi completano un processo già avviato con le due precedenti raccolte poetiche: 22 poesie su 64 sono scritte direttamente in inglese, le altre – tranne una – sono tradotte dal russo dall’autore, che intende proporsi al lettore con un libro di poesia americana a tutto tondo. L’operazione gli è valsa critiche postume anche feroci che, sommando fraintendimenti fonetici, anacoluti e improprietà di registro, lo dipingono come corpo estraneo nella tradizione della poesia di lingua inglese. 
Brodskij, del resto, non si attendeva altro: «Ogni cosa mi hanno rinfacciato, eccetto le intemperie»; ma intanto, con sobrietà e raziocinio, conquista, anche in poesia, una salda posizione nella lingua ormai unica dell’universo globale e sancisce un suo compiuto e autorizzato corpus poetico in inglese, che sarà difficile modificare in futuro con nuove traduzioni. Se però nello stesso gennaio 1996 era sul punto di licenziare anche la raccolta russa Pejzaž s navodneniem (Paesaggio con inondazione), che include diverse poesie presenti in So Forth e altre di maggiore lunghezza o complessità, si è legittimati a prestare fede alle ripetute dichiarazioni di Brodskij sulla natura esclusiva della sua ispirazione poetica in russo e a considerarne i versi inglesi un minuzioso autocommento, una guida alla lettura della sua opera nella propria lingua materna, e in larga misura un gioco. 
Il progetto di anglicizzazione riguarda però solo marginalmente E così via, che resta un libro a tutti gli effetti distinto da So Forth, perché in italiano le poesie originariamente in russo sono tradotte da quella lingua da Anna Raffetto, mentre solo un terzo sono versioni dall’inglese di Matteo Campagnoli, dando luogo a una inconsueta disomogeneità, che invece di risolversi in stridore ci consegna una più chiara percezione delle gerarchie e del tessuto linguistico del testo. 
Le poesie inglesi sono più semplici, immediate, lineari, ma tutto sommato sia il generale polistilismo – con colloquialismi persino brutali e vistose vibrazioni del significante – sia l’impianto ritmico e metrico si piegano nelle due lingue ad analoghe tipologie testuali: l’affabulazione di una coscienza visionaria in sintassi poetica di ampio respiro, con rime ricercatissime e estrema articolazione del tessuto allitterativo; il discorso fluido, incessante, ma vistosamente prosaizzato, spesso senza rima, spesso legato alla memoria e al privato; il componimento in versi brevi e incalzanti, pieno di calembour, virtuosismi metrici e sferzanti note satiriche.
La distinzione tra i due domini linguistici è, piuttosto, pragmatica: in inglese l’intento essenziale è applicare in estrema sintesi, quasi dimostrativa, lo straordinario repertorio di reinvenzione dei generi poetici tradizionali già sperimentato dal Brodskij russo; abbiamo così tre canzoni, un’ode, un’elegia, un racconto, un inno, un epitaffio, un blues. 
Il macrotema della morte 
In russo invece c’è un’estrema volontà di di ricapitolazione, che, pagato il tributo alla memoria dei morti, dei luoghi, al dialogo intimo con gli amici, si condensa nell’unificante macrotema della morte. In una lingua come nell’altra le immagini, una volta generate, si moltiplicano spandendosi per l’intero componimento; a volte le stesse figurazioni – l’albero come gamba priva della compagna, i rami della palma come caratteri cinesi – sono ostentatamente ripetute nelle due lingue; immagini aforisma staccano un singolo verso dal continuum ritmico; gli enti essenziali della percezione dell’universo, spazio e tempo in primis, si animano e si dinamizzano, il presente e il passato interagiscono, in contrappunto, ma anche sovrapponendosi nel «continuum presente». 
L’esasperazione del metaforismo non è però più così fondante come in passato, i grovigli di nessi analogici tendono a essere più episodi – «La veletta si è espansa in ragnatele di voci/ sfociate poi in un reticolo di rughe» – che sistema, e quasi del tutto assenti sono le inconfondibili sterminate enumerazioni. 
Nuovo è lo sguardo sul mondo come alla finestra, da semplice spettatore, che capta con lo stesso disincanto le inaccessibili novità tecnologiche, le fanciulle dark e la maleodorante virilità dei marinai rumeni. Quasi inosservato, solo per allusioni, passa anche il tramonto davvero epocale dell’Unione Sovietica, e dalle mitologie che si dissolvono con la caduta dell’impero nasce il ciclo sui centauri, ibridati per effetto di un cataclisma planetario, non tanto con i cavalli quanto con i mezzi di trasporto e con altri luoghi orizzontali del nostro mondo. Nel ricco, ma non sovrabbondante, tessuto di citazioni spicca una inquietante parodia delle atmosfere cechoviane, dove la magia dell’inespresso è trasposta in lubriche fantasie sessuali. 
Su tutto però, con frequenza impressionante, regna l’idea del termine della propria esistenza. «Il secolo presto finirà, ma non prima di me». La morte invade con fisica evidenza letterale le poesie inglesi, mentre in quelle russe è costantemente aggirata con allusioni e perifrasi, dalle quali si ingenera una moltiplicazione prospettica che conduce a alcuni tra i grandi temi di Brodskij quali il tempo assente, la lingua come oceano e magma dell’esistenza, il poeta come intermediario tra la vita e la morte, ben riassunti da «il crepitio della penna sul foglio è, nel silenzio, coraggio in miniatura». 
Domina, quindi, uno stoicismo vestito di understatement, il che non esclude una intensa drammaticità, come nella poesia dedicata alla tragedia, che proietta in chiave intima tutta l’energia della convenzione teatrale, o il gioco intertestuale di «Paesaggio con inondazione», forse la poesia più bella della raccolta, dove con figurativismo surrealista il poeta gigante è trasferito in un quadro fiammingo, con solo sopracciglia e calvizie (cupole e cime frondose) fuori dell’acqua. 
Sulle resa delle lingue 
La morte è intesa come dolore solo nel testo più lungo, «Vertumno», dedicato al suo storico traduttore, Giovanni Buttafava, scomparso nel 1990, dio per gioco, specchio di una concezione epica del linguaggio, il cui calore umano è inseguito a quattro zampe tra le assi del parquet riscaldato. In E così via l’eredità di Buttafava è raccolta con sapienza e professionalità da Anna Raffetto e Matteo Campagnoli. Le diverse lingue di partenza giustificano una leggera differenza nell’affrontarle: Campagnoli si appoggia in maniera quasi speculare sulla più consequenziale sintassi dell’inglese, Raffetto per il russo ricorre a una resa largamente integrativa ed esplicativa, ma anche coraggiosamente interpretativa, motivata ed efficace. 
Il primo mantiene quasi per intero l’impianto delle rime (con maestria e inevitabili travisamenti), la seconda restituisce la tensione ritmica per lo più con rime interne e assonanze. Altro si vedrà, siamo infatti appena arrivati a un quarto dell’opera di Brodskij.

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