domenica 14 gennaio 2018

Cento e una notte: una raccolta di novelle medievali dalla Spagna musulmana


Cento e una notte, Einaudi , pp. XLIV – 314, euro 32,00

Risvolto
Il manoscritto delle Cento e una notte conservato presso l'Aga Khan Museum in Canada, datato 1234, è il piú antico fra quelli che ci hanno trasmesso questa raccolta di novellistica araba di area andalusa, autonoma rispetto alle Mille e una notte ma con molti punti di contatto, a partire dal personaggio di Shahrazād. Questo manoscritto è stato tradotto per la prima volta in una lingua europea nel 2012 dall'arabista tedesca Claudia Ott. L'edizione italiana segue quella della Ott con un ulteriore confronto con il testo arabo. Rispetto alle Mille e una notte, il repertorio di storie è in larga parte diverso e la struttura narrativa, per quanto organizzata in una cornice molto simile, è meno legata a un disegno unitario e programmatico. Le storie che si succedono qui sono di genere e contenuto molto vario, sono brevi e compatte, tematicamente accorpate, con un ritmo serrato e una tensione drammatica concentrata. È la forma racconto che si svilupperà anche nelle letterature romanze di poco successive (il Novellino è piú recente di circa mezzo secolo). E le Cento e una notte hanno sicuramente circolato fuori dell'Andalusia e del mondo arabo se alcuni nomi, situazioni ed episodi di questo libro sono finiti addirittura nell'Orlando innamorato del Boiardo e nel Furioso dell'Ariosto.


Come si approda, prendendo le mosse da India e Iran e passando per la Terra dei Boccioli e il Uadi dei Barbari, in Nordafrica e Andalusia? Dov'è che sorprendiamo astute mogli amoreggiare con i loro appassionati amanti, imbattendoci un attimo dopo in draghi che sputano fuoco e in bellicose amazzoni in lotta con cavalieri ed eroi? Che cos'hanno in comune i mercanti di Qayrawan e i cannibali dell'Isola della Canfora? E chi è a descriverci - secoli prima di Leonardo da Vinci - un velivolo di legno dotato di vite per l'ascesa e la discesa e i rilevatori di movimento senza dubbio piú antichi della storia della letteratura mondiale? La raccolta di racconti araba delle Cento e una notte, di epoca medievale, riunisce generi, protagonisti e scenari diversissimi tra loro in una suggestiva e variopinta composizione di temi e soggetti. Ogni singola storia, già avvincente di per sé, costituisce insieme alle altre un patrimonio narrativo di inestimabile valore, sia tenuto conto dei suoi luoghi e canali di trasmissione, che ricomprendono quasi l'intero mondo al tempo conosciuto, sia per la sua immediatezza e freschezza poetica, conservatasi fino al giorno d'oggi.
Dalla prefazione di Claudia Ott

Fra macchine volanti e venefiche gocce di miele 
Novellistica. Manoscritto anonimo del 1234-1235, proveniente dalla Spagna musulmana, «Cento e una notte» esce nella NUE, messo a punto dalla arabista tedesca Claudia Ott: in scena ancora l’infaticabile Shahrazad 
Vermondo Brugnatelli Alias Domenica 31.12.2017, 6:00 
«Chissà se Dio ha creato una fanciulla di radiosa beltà, con un corpo candido al pari di questo marmo, i capelli neri come codesti corvi e le guance rosse quanto il loro sangue…». Nonostante le apparenze, questa frase non introduce una delle tante versioni europee di Biancaneve, bensì la «Storia di Sulayman ibn Abd al-Malik ibn Marwân», uno dei trentasette racconti della raccolta medievale delle Cento e una notte, che Einaudi pubblica ora nella NUE, nella redazione stabilita e curata da Claudia Ott (tradotta in italiano da Isabella Amico di Meane e a cura di Elisabetta Benigni (pp. XLIV – 314, euro 32,00). Non è, peraltro, la sola sorpresa che questo testo riserva a chi vi cerchi null’altro che un’antologia delle esotiche e sterminate Mille e una notte. 

Le due raccolte condividono una posizione ostentatamente ambigua tra lo scrivere e il narrare. Si sa quanto sia spesso sottile il discrimine che separa il mondo dell’oralità da quello della scrittura. Ancora prima della rivoluzione digitale, un tipico territorio di frontiera tra i due mondi era proprio quello della messa per iscritto di racconti tradizionali. Fin dalla più antica resa letteraria di una fiaba, Amore e Psiche di Apuleio, il testo, riportato nel romanzo delle Metamorfosi, è esplicitamente inserito in una cornice di narrazione (una vecchina che deve intrattenere e tranquillizzare una povera fanciulla rapita). 

Allo stesso modo, è tipica anche di molte raccolte di racconti medievali una «cornice» che, mettendo in scena narratore, uditorio, circostanze e scopi della performance, ricrea nello scritto quel contesto di oralità al cui interno per secoli si erano tramandati i testi destinati ormai ad essere «letti» e non più «narrati». 

Non sfugge alla sorte questa «sorella minore» delle più note Mille e una notte, il cui contesto vede sempre come narratrice Shahrazad, che, per tener desto l’interesse di un collerico sovrano e rimandare la propria uccisione, si produce in un «serial» di centouno puntate per un totale di trentasette racconti completi. Per quanto il termine «serial» possa apparire fuori luogo, occorre pensare tuttavia che nella cultura in cui quest’opera è stata elaborata, i racconti – narrati da professionisti della memoria o letti su un manoscritto – costituivano uno dei pochi mezzi di svago, soprattutto serale, quando il buio impediva qualunque attività all’aperto, e adempivano di fatto a quella funzione di intrattenimento che oggi viene svolta dalla televisione. Il mondo dell’oralità è così compenetrato nell’opera che, a sua volta, lo stesso testo-cornice richiede un «narratore», e infatti il libro si apre con le parole «Colui che tramanda questa storia narra…». 

Un narratore anonimo il cui nome viene svelato a partire dalla seconda notte: «Così parla Faharâyis, il filosofo…». In questo gioco di rappresentazione nella rappresentazione rimane incerto se Faharâyis sia il nome di colui che ha costituito la raccolta o, a sua volta, un personaggio del racconto. Se non bastasse, l’effetto di mise en abyme è ulteriormente amplificato dalla serie di racconti annidati all’interno della storia «dei sette visir», ciascuno dei quali assume il ruolo di narratore. 

Il fatto di ritrovare elementi a noi familiari non dipende solo dal caso o dall’universalità di certi temi, ma è anche legato all’origine geografica delle Cento e una notte. Il manoscritto principale, che contiene anche un trattato di geografia, prodigo di descrizioni di prodotti esotici e curiosità adatte al diletto di committenti desiderosi di distrarsi con narrazioni favolose, è del 1234-1235 e proviene dalla Spagna musulmana (al-Andalus). Oltre alla localizzazione nordafricana degli altri manoscritti conosciuti, diversi elementi interni al testo lasciano capire che, probabilmente, anche la composizione è avvenuta in Nordafrica o al-Andalus, in quell’occidente islamico a noi più familiare rispetto alla Persia o al lontano oriente da cui provengono le Mille e una notte. 

La curatrice tedesca richiama, e non per sfoggio di erudizione, episodi dell’Orlando furioso, che proprio a questo testo sembrano rimandare, confermando il ruolo di ponte tra la cultura islamica e quella europea svolto dalla penisola iberica nei molti secoli che precedettero la Reconquista. Ma al di là degli episodi letterari, anche diversi elementi culturali presenti nel testo rimandano al mondo nordafricano, ad esempio i granai sotterranei tipici del sud tunisino, o la frequente apparizione di uomini che si velano il volto (i mulatthamûn, antenati degli odierni tuareg). 

Perfino gli automi e le macchine volanti, che costituiscono un elemento fantastico all’interno dei racconti, forse non apparivano così irrealizzabili là dove l’inventore berbero-andaluso Ibn Firnas, già nel nono secolo, aveva realizzato molteplici macchinari e si era spinto a effettuare il primo tentativo di volo planato. Data questa origine geograficamente prossima, per il lettore europeo contemporaneo, è interessante scoprire, man mano che ci si inoltra nella lettura, spunti e immagini che si riallacciano a esperienze a lui non del tutto estranee. Le stesse allusioni all’Oriente mitico e misterioso, ovviamente frequenti nel racconto fiabesco, sembrano prodotte da un ambiente che a tale oriente si sentiva estraneo, al punto di idealizzarlo come poi fece in Europa la cultura «orientalista». 

Come vuole la tradizione del racconto orale, accanto ai fini di intrattenimento c’è spesso un intento pedagogico. Un dato abbastanza caratteristico degli ammaestramenti che costellano le narrazioni (peraltro comune a tanti testi europei dell’epoca) è la misoginia che non lesina esempi di vizi e difetti, a cominciare dalla serie di tradimenti che originano la storia-cornice principale. Luoghi comuni peraltro controbilanciati dall’inusitato numero di eroine dei racconti, non di rado rappresentate come valorose al pari se non più degli uomini. La«morale» viene a volte espressa in modo esplicito e sintetico tramite brevi massime come: «l’uomo peggiore è colui che meno ha appreso» o «solo se la scienza raggiunge il cuore, il suo effetto si ripercuote sull’intera persona», talvolta invece è implicita ma evidente, per esempio quando un saggio visir dimostra come una sola goccia di miele, in un ambiente troppo suscettibile e impulsivo, possa dare il via a una serie di eventi a catena,che sfociano nella guerra e nell’annientamento reciproco di due villaggi. Ancora attuale, questo racconto meriterebbe di essere letto e rimeditato dai vivaci e litigiosi abitanti dell’odierna al-Andalus.

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