martedì 13 febbraio 2018

Giuseppe Galasso 1929-2018


Ci lascia soli con Pino Aprile [SGA].

Addio a Galasso, lo storico che cambiò l'idea di paesaggioAmava Napoli ma guardava all'Europa e di andare oltre le specializzazioni accademiche per privilegiare una visione d'insieme. Il suo nome è legato alla legge del 1985 sulla tutela paesaggistica  Avvenire Franco Cardini martedì 13 febbraio 2018


Uno dei più rilevanti storiografi italiani e grande meridionalista 

Matteo Sacchi Giornale - Mar, 13/02/2018

Giuseppe Galasso, la storia non si dissocia dalla vita civile 
ADDII. Scomparso all’età di 89 anni il grande meridionalista e fine studioso di Benedetto Croce

Gianpasquale Santomassimo Manifesto 13.2.2018, 0:02 
Una delle grandi lezioni che lascia Giuseppe Galasso è far capire, con l’esempio della sua lunga e operosa attività, che la fedeltà a una grande tradizione può realizzarsi solo attraverso il suo svecchiamento, la capacità di dilatare i suoi confini, di affrontare liberamente campi nuovi, di innovare in profondità senza snaturare l’ispirazione di fondo.
Di umili origini («mi impiegai come sguattero, facchino, magazziniere» – diceva in un’intervista del 2017 ad Antonio Gnoli su Repubblica) costruì da autodidatta la sua cultura presso una biblioteca circolante negli anni della guerra a Napoli. Nel 1953 vinse una borsa di studio presso l’Istituto Croce e di lì iniziò il suo apprendistato e la sua carriera. 
EUGENIO GARIN ironizzava spesso nelle sue lezioni sui «bidelli della scuola crociana» che avrebbero meritato come epigrafe la frase «Quando nacqui udii una voce: non farai che ripetere Croce». Galasso era lontanissimo da questo atteggiamento, e non solo aveva fin dall’inizio affrontato da storico del Mezzogiorno le dimensioni economiche e sociali spesso trascurate dal crocianesimo più tradizionale, ma nel tempo aveva sottoposto la stessa personalità di Croce a una analisi sempre più approfondita e spregiudicata, fino a far emergere nel Croce e lo spirito del suo tempo del 1990 un pensatore lontanissimo dall’immagine stereotipata che si era depositata attorno alla sua figura. Dietro la parvenza della «calma olimpica» che la tradizione gli aveva attribuito, Croce viveva in realtà un «senso drammatico e tormentato della vita» che gli veniva dagli anni giovanili, destinato a riaffiorare quando fu partecipe di una crisi della civiltà europea che diverrà angosciosa negli anni tra le due guerre. La fortunata riedizione di molte opere di Croce presso Adelphi, con impegnative postfazioni di Galasso, aveva contribuito alla nuova e inattesa fortuna, anche letteraria, di un autore a lungo dimenticato e ridotto a caricatura sommaria nelle mode culturali del lungo dopoguerra italiano. 
Il confronto col marxismo, iniziato in termini polemici sul terreno del meridionalismo che vide a Napoli contrapposte l’esperienza di «Nord e Sud» e quella di «Cronache meridionali», si delineò col tempo in termini di curiosità, comprensione e approfondimento, testimoniate dal ricorrente tornare su Gramsci. Ma non solo Gramsci: i ritratti di storici marxisti contenuti nella raccolta fondamentale Croce Gramsci e altri storici, inaugurata nel 1969 e via via ristampata e arricchita con nuovi capitoli sono tra le cose migliori della storiografia italiana. Ricordiamo in particolare i suoi profili di Ernesto De Martino (nel 1979 scrisse anche una Introduzione alla riedizione della Terra del rimorso): l’approfondimento sulle origini crociane del pensiero di De Martino, nato nell’ambito della storia delle religioni, rappresentò un contributo stimolante per la comprensione del percorso complicato e originale dell’antropologia culturale nel nostro paese e del suo faticoso costituirsi in disciplina autonoma. 
PROPRIO LA STORIA della storiografia fu nell’ultima fase della sua attività l’impegno principale, regalando opere come Storici italiani del Novecento (2008) e una recentissima Storia della storiografia italiana. Un profilo (2017). Ma per l’Editrice Salerno era uscita anche nel 2016 Storiografia e storici europei del Novecento, dove troviamo ritratti e interventi su Hobsbawm, Namier, Berlin, Mosse, Furet. E soprattutto un capitolo ampio sulla Scuola delle Annales, che si può intendere anche come bilancio conclusivo di un interesse che era stato inizialmente polemico, di reazione a una moda che rischiava di sommergere non gli eccessi ma i fondamenti imprescindibili della dimensione politica della storia, intesa in senso alto e nobile, e che poi era divenuto dialogo e valutazione obiettiva di caratteristiche e meriti di una grande tradizione, ormai non più «egemonica». 
Da rileggere con attenzione è anche un contributo più lontano su L’Italia come problema storiografico (1979), che era il denso volume introduttivo della Storia d’Italia diretta da Galasso e edita dalla Utet (24 voll., 1976-95); opera nata in trasparente polemica con la Storia d’Italia Einaudi e alcune vaghezze, cedimenti a mode effimere che Galasso attribuiva all’opera di Ruggero Romano e Corrado Vivanti: di là della polemica consegnata al tempo è un’opera imponente a cui si può ancora ricorrere utilmente.
Più in generale, possiamo dire che la dimensione storiografica era stata implicita in tutto il suo lavoro, si trattasse del Mezzogiorno medievale e moderno (1965), della Napoli spagnola dopo Masaniello (1972), del Mezzogiorno angioino e aragonese 1266-1492 (1992), secondo la migliore tradizione degli storici italiani, che si è sempre mossa in rapporto e in dialogo anche discorde con le interpretazioni precedenti. 
IMPEGNATO POLITICAMENTE nel Partito repubblicano, fu brevemente sindaco incaricato di Napoli nel 1975 e poi deputato dal 1983 al 1994, ma sul piano politico è giusto ricordare soprattutto la sua azione come Sottosegretario al ministero per i Beni culturali e ambientali (1983-87): la cosiddetta Legge Galasso del 1985 interveniva su una gran parte del territorio nazionale che veniva sottoposto a «vincolo paesistico».
Nell’intervista che abbiamo citato, vanno rilette e meditate le conclusioni: «Quelle che ho provato a raccontarle sono le vicende di un gruppo di persone che ha immaginato che la storia non potesse dissociarsi dalla vita civile… Lei si figura un comunista, un liberale, un cattolico che non avessero un’idea della storia d’Italia? Proprio questo è venuto meno. La storia sta oggi in un angolo e altri sono i protagonisti. Non dico che sia un male, dico che siamo solo dei sopravvissuti».


Nessun commento: