domenica 11 febbraio 2018

Kim Yo Jong una di noi. "Cinica e spietata"


E' "cinica e spietata", oltre ad essere resuscitata dopo che un colpo di cannone l'ha polverizzata e i cani ne hanno mangiato i resti (Corriere). Del resto ha studiato in Svizzera [SGA].



Giochi di ruolo intorno a Pyongyang 

L'Asia che verrà. Un’intervista con Loretta Napoleoni, autrice di «Corea del Nord 2018», edito per Rizzoli 

Simone Pieranni Manifesto 7.2.2018, 0:03 
Loretta Napoleoni, economista e scrittrice, si è occupata nel tempo di Cina e di terrorismo internazionale. Per Rizzoli è uscito in questi giorni Corea del Nord 2018 – Kim Jong-un il nemico necessario (pp. 256, euro 19,50) nel quale analizza la genesi del potere dei Kim, inserendola nella storia asiatica, fino ad arrivare ai nostri giorni, ovvero l’appena trascorso 2017 vissuto pericolosamente tra test missilistici, nucleari e tweet provocatori del presidente americano Donald Trump. Un libro che espone quanto ormai a livello internazionale è riconosciuto, ossia una «razionalità» nell’agire da parte di Kim Jong-un e che abbandona visioni semplicistiche sulla Corea del Nord. 
La Corea del Nord è una società «mercatizzata». Così è ormai definita da analisti, economisti e anche media internazionali. Secondo lei, per quale motivo in Italia la si continua a descrivere per lo più come un «regno eremita», come se non avesse alcun contatto con l’esterno?
Il nemico, come scrivo, è necessario. Dal 1989 c’è stata un’euforia legata alla cosiddetta vittoria della guerra fredda, all’espansione del libero mercato. Tutto questo non ha certo prodotto, però, un mondo migliore. Basta prendere l’esempio dell’Iraq o dell’Afghanistan. Succede che l’idea che ci sia un paese come la Corea del Nord, considerato erroneamente una replica dell’Urss, un paese comunista, diventa quasi un conforto. Naturalmente tutto ciò è falso, però rinforza l’autoconvinzione da parte di tutti che questa globalizzazione, che la vittoria del capitalismo abbiano prodotto un mondo migliore. Ci sono giornalisti che sono entrati in Corea e hanno raccontato storie diverse, eppure ci conforta pensare alla Corea come un paese eremita. Lo stesso è valso per la Cina: dieci anni fa se ne parlava solo in termini negativi, oggi Xi Jinping è considerato il paladino della globalizzazione. 
Kim Jong-un ha spostato l’attenzione dall’esercito all’economia. In cosa consiste la sua novità dal punto di vista economico?
Non si tratta di riforme vere e proprie, quanto a un «lasciar fare». In Corea non hanno avuto una pianificazione in stile sovietico o cinese; la juche, non a caso, è una filosofia, una religione fortemente contraddittoria e non c’entra niente con il comunismo. Più che di cambiamenti strutturali si parla di concessioni e di tolleranza verso i mercati informali. È chiaro che è un’arma a doppio taglio perché nel momento in cui questo non andasse più bene, possono chiudere tutto quanto. A loro al momento gli sta bene. Siamo di fronte a un regime dinastico e nazionalistico che tollera l’economia informale in grado di soddisfare i bisogni primari dei suoi cittadini. Per comprendere la Corea del Nord è necessario spogliarsi della visione eurocentrica che impedisce di comprendere alcune dinamiche proprie delle società asiatiche in generale e in particolare della Corea del Nord. 
Per quanto riguarda l’attualità: nel suo libro spiega come le sanzioni, alla fine, vengano arginate in modo molto semplice dalla Corea del Nord. Continuare a sanzionare Pyongyang quindi che senso ha oggi? È solo un modo per prendere tempo nell’attesa di assumere il fatto che la Corea del Nord sia una potenza nucleare?
Le sanzioni non servono a niente. Da parte degli Stati uniti si tratta di una mera propaganda interna da parte di Trump; a livello storico le sanzioni non hanno mai funzionato. Rimane il fatto che la Corea del Nord è un paese nucleare e ogni ipotesi di guerra è totalmente fantastica. È chiaro che in ballo c’è altro: le sanzioni sono scaramucce di un conflitto ben più ampio tra Cina e Stati uniti. E i cinesi mi pare che lo sappiano molto bene. Pensiamo solo alla questione del Thaad (il sistema anti missilistico che gli Usa hanno installato in Corea del Sud ndr): i cinesi che sono veri strateghi stanno manovrando tutta la tensione coreana nel modo giusto, ma il sistema anti missilistico così vicino alla Cina indica chiaramente quale sia la vera posta in palio. 
Le recenti decisioni di Trump di porre dazi contro la Cina e contro la Corea del Sud, che effetti avranno?
Con le elezioni del mid term Trump prova a giocarsi le sue carte, puntando sul nazionalismo americano, attraverso una forma di protezionismo che alla fine negli Usa pare sempre funzionare. Ma credo che questo gioco con Kim Jong-un, alla fine, non abbia funzionato granché: questo riavvicinarsi ad esempio tra Nord e Sud per le Olimpiadi credo abbia spiazzato Trump. 
Che dire invece, a questo proposito, della forte presenza russa nella vicenda, che forse ha perfino indispettito, un poco, Pechino?
Putin è un furbone e se la gioca benissimo con Xi Jinping. Sa bene come muoversi, anche se chiaramente sulla questione nord coreana è ancora Pechino, secondo me, a tenere tutto sotto controllo. 
Secondo i suoi contatti e le fonti del suo libro, Pechino ha mai davvero pensato a un «regime change» a Pyongyang? E inoltre: a questo punto come potrebbe evolversi la questione coreana?
Ritengo ci sia ovviamente molto che non sappiamo, tanto per quanto riguarda la Cina, quanto per la Corea del Nord. Non credo che vedremo mai l’unificazione, nonostante sia il Nord sia il Sud la vogliano. Ma a Pechino questa ipotesi non interessa. La cosa più realistica è probabilmente un trattato di pace tra i due paesi, che non c’è mai stato dopo la fine della guerra. A quel punto, gli equilibri cambierebbero e non poco.

L’oro a Seul, l’argento a Pechino. Sconfitto Trump Coree. La Corea del Nord e il presidente Usa, anziché dividere, hanno paradossalmente messo sulla stessa barca Cina e Corea del Sud. Complice il nuovo presidente sud coreano Moon Jae-in, i due paesi hanno lavorato a lungo per riaprire un canale di comunicazione con Kim Simone Pieranni Manifesto 9.2.2018
Dopo un anno di tensione nella penisola coreana, a seguito dei test missilistici e nucleari di Kim Jong-un e della reazione muscolare di Donald Trump, sono iniziati i giochi invernali in Corea del Sud, già soprannominati «le Olimpiadi della pace».
Dopo l’incontro del 9 gennaio scorso a Panmujom, le due Coree hanno raggiunto un accordo sportivo, basato sulla partecipazione del Nord ai giochi e sull’invio di una delegazione nord coreana al Sud con tanto di potentissima sorella del «brillante leader», quella Kim Yo-jong, trentenne e già responsabile dell’immagine del fratello, da poco ammessa nel gotha politico del Politburo del partito dei lavoratori.
È la prima volta in 68 anni che un membro della famiglia «regnante» supera quel confine, simbolo di una guerra mai conclusa con un trattato di pace, simbolo di una separazione che è ancora una ferita aperta per la popolazione coreana tutta.
Prima di parlare di svolta politica, però, sono necessarie alcune puntualizzazioni. A partire da uno sconfitto: Donald Trump. Dalle parti di Pechino, probabilmente, non credono ai propri occhi. Dopo i tweet e le minacce di guerra, Trump ha visto bene di punire Cina e Corea del Sud con dei dazi commerciali, proprio mentre i due paesi, al termine di un periodo burrascoso per le proprie relazioni commerciali, si stavano avvicinando.
La Corea del Nord e Trump dunque, anziché dividere, hanno paradossalmente messo sulla stessa barca Pechino e Seul. Complice il nuovo presidente sud coreano Moon Jae-in, i due paesi hanno lavorato a lungo per riaprire un canale di comunicazione tra Nord e Sud.
E ora l’arrivo della delegazione di Pyongyang ai giochi olimpici ha inferto un altro colpo a Trump: le sanzioni nei confronti di alcune personalità della Corea del Nord sono state momentaneamente sospese dall’Onu, su richiesta proprio di Seul.
È probabile inoltre che Moon Jae-in incontrerà la delegazione coreana e c’è da credere che in quel frangente non si parlerà di pattinatori e cheerleaders, bensì di politica e di probabili incontri di natura «militare» al termine delle Olimpiadi invernali. Un riavvicinamento alla faccia di Trump, l’unico che è parso fin da subito deluso dopo la riapertura dei contati tra Nord e Sud.
Ma del resto la politica Usa in Asia, come in altre parti del mondo, ha dimostrato una totale inaffidabilità, finendo per favorire e non poco la potenza cinese. Se infatti spostiamo lo sguardo dalla Corea del Nord al resto dell’area, a parte il Giappone, è in corso un generale riavvicinamento dei paesi asiatici a Pechino.
L’affossamento di Trump della Trans pacific partnership, l’accordo di libero mercato tra paesi asiatici voluto a tutti i costi da Obama e che escludeva dal «giro» proprio la Cina, ha posto molti paesi asiatici nelle condizioni di doversi riferire alla Cina come unico paese responsabile, nonostante la politica di Pechino sia da molto tempo considerata «preoccupante» nell’area (e lo dimostra la recente occupazione degli atolli delle isole contese nel mar cinese del sud da parte della Cina). In questo modo il presidente cinese Xi Jinping ha avuto gioco facile, non solo nella regione asiatica.
La postura globale della Cina, infatti, è ormai vista come qualcosa di assodato. La Cina è concepita come l’unico paese con una strategia e la «partita» coreana è solo un tassello della visione globale di Pechino, ormai lanciata verso la «nuova via della seta» che ha preso anche caratteristiche «polari», di recente.
La presenza della delegazione nord coreana in Corea del Sud, dunque, suggella questo passaggio storico, puntellando anche l’abilità, tutta razionale, altro che follia, di Kim Jong-un. Il leader nord coreano ha aperto a Moon Jae-in, ma non ha mancato di fare saltare cerimonie unitarie così come non ha voluto rinunciare alla parata militare proprio nel giorno che ha preceduto l’inaugurazione.
L’invio poi di una delegazione composta da un funzionario sottoposto a sanzioni, ha nuovamente forzato la situazione. Ma Moon Jae-in ha retto, ha accettato anche questa prova di forza: sa bene che in palio c’è molto di più di una pace vera nella penisola coreana. In palio c’è un futuro assetto asiatico con gli Stati uniti che stavolta devono rincorrere. Le carte infatti, da quelle parti, le smista Pechino e Moon Jae-in ne sembra pienamente cosciente.

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