lunedì 4 giugno 2018

Damasio: nuovo umanesimo o neuroscientismo?


Dal corpo al cervello, la via del sentimento 

Neuroscienze. Una discussione dell’ultimo saggio di Antonio Damasio, che sottolinea la centralità della sfera affettiva in ogni aspetto dell’esistenza animale e umana: «Lo strano ordine delle cose» 

Marco Mazzeo Alias Domenicaca 3.6.2018, 6:00 
Al neuroscienziato Antonio Damasio, i cui saggi sono da sempre connotati da una particolare vena di originalità e di senso critico, dobbiamo una immagine del cervello lontana dagli stereotipi più diffusi. Il modello proposto dallo scienziato portoghese, infatti, non è quello tipico delle scienze dell’informazione: la mente simile a una centralina di comando che, forte del suo aureo isolamento, controllerebbe i movimenti degli arti tramite procedure di calcolo. Per Damasio, il cervello – qualsiasi cervello anche quello umano – è letteralmente immerso nel corpo in cui abita. Vale a dire che il sistema neuronale non è una camera stagna, dunque partecipa di passioni, umori e sensazioni esperite dalle membra. Nel suo ultimo lavoro, Lo strano ordine delle cose La vita, i sentimenti e la creazione della cultura (Adelphi, pp. 352, euro 29,00) Damasio radicalizza la sua prospettiva, con l’obiettivo di fornire una storia della vita che sottolinei la centralità della sfera affettiva per ogni aspetto dell’esistenza animale e umana. 
Due le parole chiave del testo: la prima, apparentemente tecnica, è omeostasi, un termine con il quale di solito ci si riferisce al processo che consente all’organismo di mantenere in equilibrio i propri sistemi. La vita può essere intesa come una forma omeostatica poiché la sua struttura tende a perdurare e genera nuove forme d’equilibrio grazie a membrane cellulari o barriere epidermiche. Concepire la vita come sistema che combatte la dispersione entropica è un’idea diffusa. Molto meno consuete sono le altre due proprietà attribuite da Damasio all’omeostasi, che non sarebbe un principio meramente conservativo simile al termostato di uno scaldabagno, perché lo muoverebbe una forza motrice che lo scienziato chiama «prosperità». 
L’esempio dei batteri 
In termini meno metaforici: l’omeostasi sarebbe in grado di assicurare non solo equilibrio, ma potenzialità di sviluppo favorevoli alla nascita di nuove forme di vita. Secondo Damasio, la selezione naturale troverebbe proprio nel bacino omeostatico il proprio campo da gioco: selezionerebbe le forme più adatte tra i diversi modi nei quali gli organismi conservano l’energia. Il mondo straordinariamente variegato dei batteri, spesso sottovalutato dalle scienze naturali, ne sarebbe la dimostrazione più evidente. Le capacità sensoriali e di interazione cooperativa dei batteri mostrerebbero quanto la vita, sin dagli albori, preveda un ampio spettro di possibilità. Di questo carattere potenziale le strutture sociali degli insetti e le innovazioni culturali dei sapiens sarebbero esempi su scala diversa, animati tuttavia dalla stessa logica di fondo. 
La seconda parola chiave individua una delle principali novità che, secondo Damasio, hanno segnato la storia della vita sulla Terra: la presenza di sentimenti negli organismi del pianeta segnalerebbe una nuova forma omeostatica. Per Damasio, il sentimento non è una reazione affettiva potenzialmente melensa, magari solo umana: è invece un regolatore fondamentale dei sistemi organici. Mentre le emozioni (gioia, tristezza) vengono definite «programmi d’azione dopo il confronto con una situazione», il sentimento è considerato una rappresentazione mentale dello stato organico globale, possibile solo per forme di vita dotate di strutture neuronali. In questa ricostruzione, il sentimento si distingue per un suo contenuto specifico, la «valenza». L’oggetto del sentimento è situato in stati corporei legati al benessere o alla sua assenza: mucose, cortisolo, visceri sono alcuni dei protagonisti di un sistema che integra rappresentazione mentale e piacere, monitoraggio del dolore e capacità del corpo di costruire immagini affettive dell’ambiente. All’idea di una centralina neuronale di controllo che invia e riceve informazioni, il libro contrappone dunque una ricostruzione molto distante: ciò che chiamiamo «sentimento» è il modo nel quale il corpo rappresenta se stesso inondando il cervello, tramite sangue e ormoni, di valenze affettive in grado di contaminare pensieri e procedure strategiche.
La prospettiva teorica che emerge da Lo strano ordine delle cose è sorprendente e radicale, ma al tempo stesso suscita qualche interrogativo. Il primo riguarda l’idea che Damasio ci offre dei meccanismi dell’evoluzione. In più di un frangente, il libro parla dell’omeostasi come di un processo «ottimale», «ottimizzato» come se l’evoluzione mirasse al perfezionamento delle strutture organiche. Il fatto, ribadito dallo stesso autore, che i batteri costituiscano non solo l’origine ma ancora oggi la forma di vita più diffusa sul pianeta suggerisce un’immagine meno compromessa. L’ottimizzazione biologica è un’esigenza del mondo produttivo contemporaneo, non del Dna: la selezione darwiniana lavora per esclusione, non premia l’organismo più adatto, si limita invece a risparmiare il meno inadatto alla sopravvivenza. 
Qualche dubbio 
Il secondo dubbio riguarda l’Homo sapiens: Damasio ribadisce di non voler schiacciare le varietà culturali sulle dinamiche dell’omeostasi, tuttavia in molti passaggi la sua strategia argomentativa si mostra fieramente riduzionista. Per dar conto di stati affettivi dei sapiens difficilmente compatibili con l’impostazione generale, il libro prima definisce «atipiche» la mania e la depressione. Poi però corregge il tiro: mentre il masochismo sarebbe un’«eccezione», depressione e mania non sfuggirebbero «del tutto alla regola» poiché sarebbero comunque un «documento on-line» dello stato vitale del corpo. In questo modo, l’analisi finisce per perdere di vista il carattere peculiare di molte passioni umane. Depressione, noia o angoscia sono tali proprio perché manca loro un evento specifico (interno o esterno) al quale riferirsi. Se così non fosse, la depressione sarebbe tristezza, che è ben altra cosa, o percezione di un’assenza; la noia sarebbe penuria di stimoli e l’angoscia si direbbe più propriamente paura. 
Quando poi affronta i sistemi culturali, Damasio sostiene che in quanto «regolatori omeostatici» della sfera pubblica, i sentimenti spingerebbero le società umane verso maggiore armonia e migliore giustizia, e sarebbero dunque i «giudici della cultura». L’istituzione più diffusa ed efficace, la religione, avrebbe come obiettivo primario la mitigazione dell’umana sofferenza. A questo punto, una brusca virata argomentativa. Il riconoscimento che conflitti di ogni genere, religiosi e non, affollano la nostra storia porta l’autore verso una strategia meno riduzionista, ma non per questo esente da problemi. L’omeostasi, infatti, sarebbe un principio individualista in grado di agire solo su gruppi di viventi piccoli e omogenei: qui avrebbero origine gli sconquassi umani. La nostra intelligenza creativa, aggiunge Damasio, può correre ai ripari per mezzo di un «secondo mondo» culturale che civilizzi il precedente. Resta il fatto che il contrasto tra il duro incipit e la conclusione dualista lascia nella bocca del lettore un sapore vagamente cartesiano. Quale sia il rapporto tra omeostasi biologica e aggressività innovativa umana rimane una faccenda consegnata al mistero.

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