venerdì 5 ottobre 2018

Riferimenti culturali per il "sovranismo"?


Simone Weil non è al servizio delle destre 

INTERVENTI. L'appropriazione indebita di Simone Weil da parte di Matteo Salvini durante il comizio di Pontida necessita di una reazione. E di un chiarimento riguardo la luminosità di una delle più grandi pensatrici del Novecento che lungi dal poter essere rubricata al servizio delle retoriche nazionaliste e fasciste, oltre che razziste 

Giancarlo Gaeta Manifesto 4.7.2018, 0:01 
Già da qualche tempo in Francia ci si adopera a mettere il pensiero di Simone Weil al servizio della politica e non certo perché intellettuali e dirigenti politici si siano finalmente sentiti interrogati dalle sue analisi critiche della società, del lavoro, dell’etica politica o illuminati dalle sue proposte in vista della ricostruzione dell’Europa dopo la guerra. D’altronde di quanto lei ha vissuto e pensato nell’ora più buia della nostra storia non ci si interessa oggi più di ieri, ma può tornare comodo aggrapparsi al titolo del suo ultimo saggio, L’enracinement (La prima radice in italiano), e in specie alla critica della concezione moderna dei diritti che ne costituisce l’inizio piegandoli a sostegno di orientamenti culturali e politici che nulla hanno a che spartire con la sua concezione della vita sociale e della politica. Mentre ci si tiene alla larga dalla critica impietosa da lei condotta contro le pratiche correnti nella vita politica. Non sorprende, dunque, che i parenti italiani del lepenismo abbiano giudicato utile la carta Weil, da giocare nel tentativo di ridisegnare il volto della nostra già ampiamente compromessa democrazia, e lo facciano con la consueta miscela di arroganza e manipolazione del vero, per di più non sulle pagine dei giornali che almeno obbligano a una qualche seppur sommaria giustificazione di quel che si afferma, bensì in un comizio in cui le parole sono per intero al servizio della retorica politica al suo più basso livello morale.
Cosicché tentare di mettere riparo al danno è come correre dietro al vento. Un danno beninteso non tanto a una figura che appartiene oramai al patrimonio della cultura occidentale, quanto ai molti che ne ricevono un’immagine stravolta e perciò controproducente. Simone Weil non ha scritto da nessuna parte, onorevole Ministro, che i doveri devono precedere i diritti, così da sentirsi autorizzati a chiedere oggi ai migranti di attenersi ai primi, e domani agli stessi cittadini italiani di smetterla col pretendere i secondi o persino di rinunciarvi. Simone Weil ha piuttosto sostenuto che «l’adempimento di un diritto non proviene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono nei suoi confronti obbligati a qualcosa», altrimenti lo si otterrà solo a condizione di avere la forza per sostenerlo. È la nozione di obbligo verso l’essere umano, vale a dire nei riguardi dei suoi concreti bisogni fisici e morali, a sostenere il pensiero politico di Simone Weil. Dunque propriamente non dovere e diritto, bensì obbligo e bisogno, l’unica correlazione in grado di esprimere indirettamente il rispetto verso gli esseri umani «qualunque essi siano».
Quanto al radicamento, vecchio luogo comune delle destre nazionaliste, Simone Weil vi riconosceva piuttosto «il bisogno dell’anima umana di avere sopra ogni altra cosa radici in più ambienti naturali e di comunicare per il loro tramite con l’universo». In contrasto con i processi di sradicamento in atto nel mondo operaio e contadino, e più diffusamente nella misura in cui «l’idea di nazione si è venuta sostituendo a quella di territorio, città, insieme di villaggi, regione», potenziando enormemente il sentimento di discontinuità, frammentazione, estraneità. In definitiva accusava la riduzione della vita sociale a pura esteriorità, e perciò in balia della pubblicità, della propaganda politica, del demagogo di turno, della menzogna. Si capisce allora perché Adriano Olivetti fosse stato tanto attratto da questo pensiero e se ne sia nutrito per finalità che ora vengono sbandierate in tutt’altro contesto ideologico. Lo spirito di comunità e la dignità del lavoro, ci ricorda Simone Weil, non si sostengono a meno di «considerare ogni essere umano senza eccezione come qualcosa di sacro a cui si è tenuti a testimoniare rispetto».
Ci vuole altro che degli slogan da comiziante per ispirare un popolo al punto di metterlo in grado di orientarsi verso una nozione di vita pubblica commisurata sui bisogni effettivi di ciascuno e di tutti; occorre una concezione politica all’altezza del compito e tutt’altro linguaggio. In questo Simone Weil ci è preziosa. Dare prova di un minimo di rigore intellettuale e morale o almeno di rispetto formale del pensiero altrui è chiedere troppo alla classe politica?

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