sabato 18 maggio 2019

Cosa per lo più significa "antifascismo" oggi. Necessità di un revisionismo autonomo di sinistra

Antifascismo autentico o antifascistismo retorico e subalterno al liberalismo?
Necessità di un autonomo revisionismo storico di sinistra

Questa che vedete sotto è la presentazione di un'iniziativa editoriale del Corriere della Sera.
Si tratta di una storia delle "dittature" e dei "totalitarismi" - l'ennesima - che mette assieme e sullo stesso piano fascismo, franchismo e nazismo ma anche leninismo e castrismo (terzomondismo).
Mancano soltanto il fondamentalismo islamista e il populismo e siamo al completo.
Solo 20 anni fa questa cosa sarebbe stata inammissibile e avrebbe sollevato un fiume di indignazione a partire dalle Università italiane, con annesse raccolte di firme.
Da allora, però, in mancanza di un'organizzazione e di un progetto politico a sinistra capace di difendere la propria storia e la propria cultura, la teoria del totalitarismo - che in Italia un tempo era patrimonio dei democristiani - è diventata senso comune.
Tutto ciò che non è liberale è perciò per essenza intimamente non democratico, dispotico e totalitario: il nazifascismo è stato un crimine, certo, ma il comunismo non fu da meno e la democrazia rifugge gli estremismi politici per identificarsi con la normalità capitalistica.
Già dopo la Seconda guerra mondiale i liberali hanno gettato a mare la teoria del fascismo internazionale e l'alleanza antifascista e sono passati oltre: la storia della democrazia è per loro unicamente la storia del liberalismo che difende le istituzioni dagli attacchi, successivi o simultanei, dei due mostri totalitari di destra e di sinistra.
Ovunque tranne che nella nostra testa di comunisti italiani, "antifascismo" significa perciò da quel momento mettersi dalla parte del "Mondo Libero" contro tutti i nemici della libertà e cioè contro tutti i nemici degli Stati Uniti.
E' necessario allora sottrarsi a questa subalternità ideologica e elaborare un autonomo revisionismo di sinistra.
Una rilettura della storia degli ultimi due secoli che attesti, tutto al contrario, la continuità ininterrotta tra liberalismo, esperienza coloniale, guerra totale e fascismo.
E che ribadisca, semmai, che la storia della democrazia è in realtà la storia del socialismo e di come i socialisti hanno costretto i liberali a farsi democratici.
Per un breve tratto soltanto però; finché - privi ormai di avversari e di ostacoli dopo aver vinto la guerra di classe - non sono potuti tornare alle origini riprendendosi tutto [SGA].

4 commenti:

massimo zanaria ha detto...

Dice bene quando scrive che i socialisti hanno costretto i liberali a farsi democratici, che il movimento operaio e i partiti che a quella tradizione si richiamavano hanno imposto al capitale il compromesso socialdemocratico (vocabolo che i comunisti declinavano in altri modi, salvo rimpiangerlo a babbo morto). Quello che lei mi pare trascuri è invece il processo inverso, cioè la progressiva democratizzazione che i partiti nati dalla tradizione socialcomunista hanno acquisito partecipando al "gioco democratico". Mi pare che laddove i partiti comunisti sono arrivati al potere senza libere elezioni il partito invece si sia subito trasformato in partito stato, o mi sbaglio? Può essere che a lei poco importi, ma il pluralismo e anche molto altro è ciò che distingue il "mondo libero" da quello illiberale. Che poi si possa e si debba fare storiografia non necessariamente "arendtiana", d'accordo, purché non si ricada nel solito antiamericanismo di maniera con annesso antisionismo, perché questa avrebbe il sapore di un'operazione di segno uguale e contrario. Saluti

materialismostorico ha detto...

Concordo sull'importanza del pluralismo e sulla critica del partito-Stato. Tuttavia bisogna tener conto delle condizioni oggettive in cui quei partiti si sono affermati. Inoltre, il pluralismo liberale è un pluralismo per modo di dire, perché consente una pluralità di posizioni nell'ambito di una condivisione delle compatibilità sistemiche, mentre la esclude qualora queste compatibilità non siano condivise. In questo senso, i sistemi socialisti avrebbero potuto e dovuto evolvere in chiave pluralista, nel senso di un pluralismo nell'ambito del socialismo. Esattamente come c'è oggi un pluralismo nell'ambito del liberalismo, ma non al di là di quell'ambito.

Massimo Z ha detto...

Quindi ritiene possibile un pluralismo socialista (non capitalista) che non abbia preventivamente costituzionalizzato le esecrabili "libertà borghesi"? Converrà che modelli o esempi in tal senso sono al momento introvabili. Gli unici tentativi di pluralismo socialista a mia memoria sono stati quelli tentati dai circoli in Ungheria nel 1955 e i due tentativi di riformismo dall'alto tentati da Dubcek e Gorbaciev, liquidati dal partito stato come controrivoluzionari.

materialismostorico ha detto...

Rispondo con una domanda: quanto tempo ci ha messo il capitalismo per raggiungere un assetto di pluralismo che desse soddisfazione alle libertà borghesi per tutti?
Quando il capitalismo si affermò, modelli di democrazia e pluralismo liberale non ce n'erano da nessuna parte. C'era una lotta feroce tra grandi signori e la corona e poi c'erano lotte feroci tra borghesi.
In sostanza. Il capitalismo ha impiegato secoli per arrivare alla democrazia pluralista. Il socialismo reale non ne ha avuto il tempo. Speriamo che la prossima ondata socialista, se mai ci sarà, ce l'abbia.