sabato 25 maggio 2019
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Nietzsche profeta e artista decadente? Oppure filosofo-guerriero del darwinismo pangermanista? O forse teorico di un socialismo "spirituale" che fonde in un solo fronte destra e sinistra e prepara la rivincita della Germania?
Nella lettura di Arthur Moeller van den Bruck la genesi della Rivoluzione conservatrice e uno sguardo sul destino dell'Europa.
È la stessa cosa leggere Nietzsche quando è ancora vivo il ricordo della Comune di Parigi e i socialisti avanzano dappertutto minacciosi e leggerlo qualche anno dopo, quando la lotta di classe interna cede il passo al conflitto tra la Germania e le grandi potenze continentali? Ed è la stessa cosa leggerlo dopo la Prima guerra mondiale, quando una sconfitta disastrosa e la fine della monarchia hanno mostrato quanto fosse fragile l’unità del popolo tedesco?
Arthur Moeller van den Bruck è il padre della Rivoluzione conservatrice e ha anticipato autori come Spengler, Heidegger e Jünger. Nel suo sguardo, il Nietzsche artista e profeta che tramonta assieme all’Ottocento rinasce alla svolta del secolo nei panni del filosofo-guerriero di una nuova Germania darwinista; per poi, agli esordi della Repubblica di Weimar, diventare l’improbabile teorico di un socialismo spirituale che deve integrare la classe operaia e preparare la rivincita, futuro cavallo di battaglia del nazismo.
Tre diverse letture di Nietzsche emergono da tre diversi momenti della storia europea. E sollecitano un salto evolutivo del liberalismo conservatore: dalla reazione aristocratica tardo-ottocentesca contro la democrazia sino alla Rivoluzione conservatrice, con la sua pretesa di fondere destra e sinistra e di padroneggiare in chiave reazionaria la modernità e le masse, il progresso e la tecnica.
In appendice la prima traduzione italiana dei quattro saggi di Arthur Moeller van den Bruck su Nietzsche.
2 commenti:
Ma non vi sembra che Canfora, ammesso a scrivere nel Corriere ed elevato ad intellettuale per tutti depurato dalla partigianeria militante, stia mettendo troppo zelo per meritarsi questo ruolo? Questa forzatura per trovare per forza un neo di arretratezza a Marx, se non ridicola, è in ogni caso inqualificabile. Anche le vicende del quaderno perduto di Gramsci e quelle della presunta manipolazione staliniana del cosiddetto testamento di Lenin, trattata con molta superficialità e parzialità, rientrano in questo atteggiamento di Canfora. Ciò non toglie che la sua produzione intellettuale sia di gran valore.
Forse gli farebbe bene scrivere su fogli che parteggiano per i lavoratori, invece che per i padroni, come il Corriere.
Ma non vi sembra che Canfora, ammesso a scrivere nel Corriere ed elevato ad intellettuale per tutti, quindi depurato dalla partigianeria militante, ostentatamente imparziale (visto che non esita a fare a pezzi la sua stessa storia politica), stia mettendo troppo zelo per meritarsi questo ruolo? Questo voler trovare per forza un neo di arretratezza a Marx, se non cosa ridicola, è in ogni caso inqualificabile. Anche le vicende del presunto quaderno perduto di Gramsci e quelle della presunta manipolazione staliniana del cosiddetto testamento di Lenin, trattata con molta superficialità e parzialità, rientrano in questo atteggiamento di Canfora. Ciò non toglie che la sua produzione intellettuale sia di gran valore. Però, io penso che forse gli farebbe bene scrivere su fogli partigiani che parteggiano per i lavoratori, per favorirne la formazione, invece che su fogli dei padroni, come l’”imparziale” Corriere, per favorire la formazione intellettualoide dei piccolo-borghesi. La militanza fa bene alla verità, contrariamente a ciò che si crede, perché non vi può essere verità separata dalla prassi trasformatrice. E quando dico questo ho sempre presente l’esempio di Domenico Losurdo. In definitiva, l’ospitalità che Canfora riceve dal Corriere e dal sistema della cultura ufficiale non mi sembra senza contropartite, seppure non estorte o offerte con venalità (ciò non sarebbe da Canfora, che rimane pur sempre una onorevolissima persona e un notevole intellettuale).
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