giovedì 16 gennaio 2020

Joseph-Bologne de Saint George, il Mozart nero

Luca Quinti: Il mozart nero, Diastema, Treviso, pagg. 280, € 20


Violinista e spadaccino
Quirino Principe Domenicale 16 2 2020
Partiamo subito da un oggetto simbolico, da un’arma per antonomasia: la spada. Duellare a fil di lama è un’esperienza che talvolta, se pur di rado, entra nella vita di un artista, il quale, nella nostra memoria, fantasia, coscienza culturale è tutt’altra cosa. Quando aggiungiamo, all’immagine che ammiriamo, quel tocco di colore, entriamo nell’aristotelica (o manzoniana) categoria dell’ interessante.
Quali artisti? I pittori, per esempio: Caravaggio, forse il Sodoma e qualche altro. Gli scultori: Benvenuto Cellini, al di là delle sue simpaticissime millanterie. I poeti: Puškin, inevitabile riferimento al tragico duello, ma qualcosa di simile almeno negli intenti dev’essere avvenuta tra Marino e Murtola. Se la matematica è pensiero sublime, d’immenso rilievo estetico, allora anche il meraviglioso e tragico Galois rientra nel novero. Se dalla spada e dal menar le mani estendiamo l’inventario delle “anomalie d’artista” al “darsi da fare”, alla guerra, alla politica, non trascuriamo Michelangelo che durante la sfortunata resistenza laica della repubblica di Firenze progettò le fortificazioni della città (in tutto questo, Leonardo è interamente fuori schema, con la sua ideazione di una specie di mitragliatrice e di veicoli volanti). Dante Alighieri combatté a Campaldino ed ebbe “temenza molta”, ma in quel tempo un poeta poteva essere ancora “olistico”, e configurarsi come filosofo, capo di Stato, legislatore, astronomo, fisiologo.
Ma, i musicisti che abbiano duellato con la spada in pugno? Francamente, la memoria ci soccorre poco. Alessandro Stradella? Carlo Gesualdo avrebbe dovuto sfidare Fabrizio Carafa e infilzarlo, ma lasciò il lavoro sporco ad altri. E poi, non è soltanto questione di duelli. Quale musicista fu ammirato, contemporaneamente, come schermidore dalla mossa segreta e come violinista che mandava in visibilio le signore, come affascinante direttore d’orchestra e come intellettuale dell’opzione politica rivoluzionaria e rischiosa, e come alto ufficiale e vittorioso comandante di truppe in battaglia? Quale musicista aggiunse, a tutte queste prestigiose qualità, un aspetto da divo del cinema alla Sean Connery e un originario stato sociale di schiavo, mulatto, irregolare? Quale musicista, se non lui, l’unico, Joseph Bologne?
Immaginiamo il punto interrogativo che si stampa nitido, in questo istante, sulla fronte dei nostri lettori. È proprio quello stupore che accresce il significato del magnifico lavoro compiuto da un ricercatore di alta classe, Luca Quinti: unico in Italia, e fra i rarissimi nella cultura d’Occidente (Gabriel Banat, Pierre Bardin, e quasi basta) a darci una compiuta e ben lavorata monografia sull’uomo splendente e un po’ tenebroso, noto agli amanti delle raffinatezze storiografiche e musicologiche come “le Chevalier de Saint-Georges”. Il “mulatto”, nelle cronache ufficiali; più rispettosamente “l’americano”. Ma perché? Definire “mulatto “ qualcuno, oppure è “di bassa statura”, “con la erre moscia”, è forse offensivo?
La sua storia ebbe origine in una piccola isola del Caribe: Guadalupa, scoperta da Cristoforo Colombo nel 1493, divenuta possedimento francese nel 1635. Con rigore e non affidandosi e un terreno che non sia solido come la roccia, Quinti si muove tra una massa di notizie già a priori incerte, falsificate, inventate, distorte. E proprio per questo tali da trascinare con sé romanzeschi e cinematografici dettagli, degni del film Avorio nero (1936) di Mervyn Le Roy. Perciò il dubitativo è d’obbligo: pare che il padre di Joseph Bologne fosse esattore delle imposte (turpe mestiere… stiamo parlando della Guadalupa settecentesca, che diamine!), e si chiamasse Pierre Bologne oppure (così è incline Quinti) Georges. Probabilmente, Georges Bologne abusò di Anne Nanon, una bellissima schiava nera forse senegalese di nascita, e da quell’abuso nacque in località Basse-Terre, a Guadalupa, forse sabato 25 dicembre 1745, Joseph Bologne. Il seguito, ossia la vita, è un folgorante romanzo: sembra nato dalla fantasia di Paul Féval, o di Jean-Baptist Louvet de Couvray, o, meglio, di Eugène Sue. In seguito a tristi vicende giudiziarie a carico del padre Georges, il trasferimento in Francia, prima ad Angoulême, poi a Parigi, segna l’inizio di una fama precoce e brillante, anzi, clamorosa. Successi musicali e insidie: a lui violinista d’eccezione, rinomati compositori dedicano le loro musiche, e intanto nel 1758, tredicenne, era entrato nell’Accademia di Scherma parigina di La Boëssière.
A partire dal 1766, duelli su duelli, fra cui quello con la Cavaliera d’Eon nel 1787: ma anche trionfi come solista, direttore musicale, creatore di orchestre. Nel 1773 abbandona la carica di “controlleur de guerre” per acquistare il titolo di “chevalier”. Nel 1778, probabilmente, incontra Mozart a Parigi. Molti gli intrighi amorosi con aristocratiche dame; ma si salva per miracolo da un attentato di sicarii, il cui mandante era il marchese di Montalembert. Nel 1780 entra nella Massoneria. Colonnello, guida alla vittoria le truppe della Rivoluzione, ma cade in sospetto di Robespierre. Prima che Bonaparte diventi Napoleone I, muore a Parigi quasi povero, domenica 9 giugno 1799, per un tumore alla vescica.
Ancora oggi, misterioso il compositore. Luca Quinti narra di essere partito dai folgoranti e irruenti Concerti per violino op. 5, op. 8 n. 9, op. 3 n. 1, e di aver ascoltato la musica del “Chevalier” «con sempre maggiore attenzione e rapimento». Fonti di energia sono le due Sinfonie op. 11, scrive Quinti, mentre ascoltando i Quartetti op. 1 «a ogni brano scattava l’associazione mentale: “Potrebbe essere, Haydn potrebbe essere Mozart». Sì, ma non è importante essere “come” questo o quello. L’importante, per la musica, è essere energia, ossia essere.
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