sabato 11 gennaio 2020

L'Italia di Gotor


Miguel Gotor: L’Italia nel Novecento. Dalla sconfitta di Adua alla vittoria di Amazon. Einaudi, Torino, pagg. XVIII-570, € 22

Perché l’Italia ha fermato i suoi riformatori 
di Stefano Folli Robinson Rep 4 1 2020
«n’Italia all’inseguimento sempre affannoso, a tratti volgare, a volte disincantato, in alcuni casi geniale - di un’agognata e per troppo tempo attesa modernità»: questa è una delle chiavi di lettura, certo non l’unica, offerta dal viaggio di Miguel Gotor attraverso l’Italia del Novecento.
Anzi, "nel Novecento" come precisa il titolo dell’opera da poco in libreria con Einaudi. Per restare agli anni più vicini a noi - dal Centrismo del dopoguerra al contraddittorio Centrosinistra del decennio successivo e poi via via alla stagione del terrorismo e alla fine della Prima Repubblica - la rincorsa alla modernità è solcata da drammi individuali e collettivi, da un "non detto" che in qualche caso è rimasto tale fino ai nostri giorni. Per comprenderne il senso Gotor non si limita alla ricostruzione storica e politica, ma si affida alle grandi allegorie suggerite dal cinema, dalla televisione, dalle canzoni popolari. Così si smentisce «che potesse esistere per davvero un benessere generale, equamente distribuito tra ricchi e poveri, campagna e città». Aldo Moro, figura centrale negli studi di Gotor, aveva ben chiaro quanto fossero potenti le resistenze conservatrici al programma riformatore. Per questo suggeriva cautela al nascente Centrosinistra. Il destino tragico di Moro è emblematico nella sua clamorosa gravità, ma non è l’unico. Bisogna citare almeno altri tre personaggi ai quali l’autore dedica ampio spazio: Enrico Mattei, Luigi Ippolito e Lorenzo Necci.
Visionari e in anticipo sui tempi, tutti eliminati dalla scena pubblica.
Il primo è il costruttore dell’Eni, protagonista della rinascita post-bellica, vittima di un attentato nell’ottobre 1962. Il secondo è uno scienziato di fama internazionale, presidente del Cnen, azzoppato e incarcerato con accuse pretestuose che ebbero il risultato di distruggere il programma nucleare. Il terzo, Lorenzo Necci, è in anni più recenti (1995) il manager a cui sarebbe stato affidato il progetto di ammodernamento infrastrutturale del paese sulla base di un’intesa tra Forza Italia e Pd. Anche qui, il disegno fu bloccato e Necci fu "l’agnello sacrificale" destinato a subire una persecuzione giudiziaria ingiustificata e poi una fine drammatica. © RIPRODUZIONE RISERVATA

Il terrorismo prima degli anni di piombo
Tommaso Munari Domenicale 22 03 2020
Nel 1976 Leonardo Sciascia pubblicò nei Nuovi Coralli dell’Einaudi il romanzo I pugnalatori, nel quale narrava un fatto realmente accaduto a Palermo nel 1862: l’uccisione di tredici persone scelte a caso a opera di altrettanti sicari e la successiva inchiesta giudiziaria che svelò una presunta congiura borbonica sapientemente occultata da alcuni apparati dello Stato. L’allusione al presente era esplicita, ma a scanso di equivoci la quarta di copertina precisava che l’«inquietante episodio di “strategia della tensione”» ricostruito nel libro sembrava uscire direttamente dalla cronaca contemporanea, «con i suoi attentati atroci, i processi insabbiati, le oscure complicità, lo spregio della legalità democratica, le istituzioni inquinate». Ancora una volta, dopo Il Consiglio d’Egitto (1963) e la Morte dell’inquisitore (1964), lo scrittore siciliano sceglieva di parlare del presente alla luce del passato.
Seguendo le orme di Sciascia, nel suo nuovo e denso saggio sull’Italia nel Novecento Miguel Gotor rilegge la storia del nostro Paese attraverso il filtro dell’eversione e del terrorismo. Se Sciascia individuava l’evento inaugurale della strategia della tensione già all’indomani dell’unificazione italiana, Gotor ne scorge inquietanti manifestazioni lungo tutto il Novecento. La strage di matrice anarchica causata dallo scoppio di una bomba al teatro Diana di Milano nel 1921, per esempio, innescò una catena di reazioni che contribuirono ad accelerare la crisi dello Stato liberale. Analogamente, l’attentato impunito alla vita di Vittorio Emanuele III del 1928 determinò un giro di vite nella repressione dei gruppi antifascisti. Ma è soprattutto nel dopoguerra, con l’eccidio di Portella della Ginestra (1947), che il terrorismo assunse quelle caratteristiche strategico-cospirative che, a partire dagli anni 60, ne avrebbero fatto un potente strumento di condizionamento politico in chiave anticomunista.
Dietro la strage compiuta dalla banda di Salvatore Giuliano si celava infatti una rete di complicità e connivenze che coinvolgeva organizzazioni mafiose, gruppi neofascisti, agenzie di spionaggio straniere e apparati dello Stato italiano: gli stessi attori che, sotto mutate spoglie e in combinazioni diverse, avrebbero architettato o strumentalizzato una lunga serie di atti eversivi nei decenni a venire: dal Piano Solo del generale De Lorenzo (1964) al tentato golpe del principe Borghese (1970), dalla strage di piazza Fontana (1969) a quella di piazza della Loggia (1974), dal delitto Moro (1978) agli attentati di Capaci e via D’Amelio (1992).
All’origine di quasi tutti questi episodi Gotor ravvisa una costante storica, ovvero una doppia lealtà dei vertici politici e militari italiani: alla Costituzione repubblicana e antifascista da un lato e al Patto atlantico in funzione anticomunista dall’altro. Non è un caso che essi abbiano avuto l’effetto d’impedire una trasformazione in senso progressista dell’assetto politico e che si siano interrotti con il crollo dell’Unione sovietica (1991) e la dissoluzione del Pci. Questa chiave di lettura della storia italiana, di cui l’autore aveva già tracciato lo schema nel terzo volume del manuale scolastico Passaggi (Le Monnier Scuola 2018), giustifica la distribuzione degli argomenti e l’ipertrattazione degli anni di piombo (i capitoli IX-XI sono quelli più tragicamente entusiasmanti), quasi fossero un tumore nel corpo sociale italiano.
Per raccontare la storia di questo Paese di difficile modernizzazione, Gotor attinge alle fonti più disparate, le incrocia con sapienza e, quando l’argomentazione si fa più stringente, le accumula ad abundantiam. Ma per quanto il risultato sia persuasivo, occorre tenere a mente sia la loro natura sia i loro limiti. Se è vero, per esempio, che la capacità diagnostica di alcuni narratori italiani ha trasformato le loro opere in testimonianze imprescindibili del periodo in cui furono scritte, è anche vero che nessun romanzo storico come La scuola cattolica di Edoardo Albinati (2016) o M di Antonio Scurati (2018) può essere utilizzato a cuor leggero per documentare epoche passate. Allo stesso modo, tanto i versi dei poeti quanto i ritornelli dei cantautori (citati dall’autore con tale frequenza da costituire una sorta di colonna sonora del libro) possono al massimo rievocare un clima, ma non parlare a nome di una generazione. Le memorie degli uomini politici, d’altra parte, sono strumenti involontariamente fallaci quando non addirittura consapevolmente ingannevoli. Perfino i preziosi documenti prodotti dalle commissioni parlamentari (P2, Stragi, Moro e Moro 2) sollevano delicate questioni storiografiche, soprattutto quelli più recenti, preclusi agli studiosi, a cui Gotor ha avuto accesso nel corso del suo mandato parlamentare.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Nessun commento: