giovedì 6 febbraio 2020

L'Archimede di Lucio Russo

Una leva per riscoprire Archimede «tuttofare»
  Carlo Carena Domenicale 9 2 2020
Quella sera, seduto sul seggiolone con un libricciolo aperto davanti, don Abbondio non riusciva a ricordare chi fosse quel Carneade citato in un panegirico di San Carlo, ma ricordava bene chi fosse stato Archimede, paragonato al Santo per l’amore allo studio e autore di tante e tali cose curiose da aver fatto dire molto di sé.
Decisamente vero, per i suoi studi e le sue scoperte ma anche per il temperamento strano e geniale e per episodi della sua vita intrecciati non solo alla storia della scienza ma anche alla politica, e che già ispirarono ai contemporanei racconti e fantasie rimaste nell’immaginario collettivo. Archimede che esce trionfante dal bagno e percorre seminudo le vie di Siracusa gridando «éureka!» per aver trovato la legge dell’idrostatica sul volume di un liquido spostato verso l’alto da un corpo lì immerso, simboleggia l’ebbrezza della scoperta e del progresso scientifico, e insieme, come spiega Voltaire, prova che uno scienziato ha più fantasia di Omero.
La sua vita si svolse in gran parte sotto il regno di Gerone II (270-215 a.C.), con cui ebbe ottimi rapporti. La successione poi del nipote quindicenne Geronimo, che mutò alleanza nella seconda guerra punica passando da quella con Roma a quella con Annibale, portò a un assedio durissimo, in cui pure Archimede emerse con le infinite risorse del suo cervello.
Ne abbiamo il resoconto in Polibio, in Cicerone, in Plutarco. E ora il tutto ripensato, riassestato, corretto e chiarito nella monografia storica e scientifica di Archimede del filologo, fisico e storico della scienza Lucio Russo. Egli riferisce e ogni volta scava, cerca e scopre o ammette la veridicità ovvero l’immaginazione delle fonti sulla personalità, il metodo, le conquiste dello scienziato e le loro incertezze. Ciò che colpisce in ogni caso anche il lettore profano è il collegamento di tutto il lavoro scientifico di Archimede con dati di fatto, con circostanze quotidiane o con enormi vastità d’orizzonti e con i grandi eventi storici da cui fu circondata e sollecitata la sua vita. Del resto, come spiega Russo, il matematico ellenistico non è un puro scienziato di una sola disciplina, ma abbraccia astronomia e musica, meccanica e ottica e altro ancora.
Dell’assedio della sua città dal 214 al 212 egli fu uno dei protagonisti miracolosi. Costruì una macchina capace di agganciare dalla cima delle mura le navi romane, sollevarle sulle onde e scagliarle come una fionda. Mediante specchi concavi esposti alla luce del sole proiettò folgori incendiarie sul nemico. Costruì catapulte che lanciavano enormi macigni, e il console Marcello non conquistò Siracusa finché quel difensore non fu eliminato.
Non mancano ovviamente nel volume di Russo quegli altri principî e l’altra invenzione per cui Archimede va famoso non meno che per il peso specifico o gli specchi ustori: la leva, basata sul principio per cui due grandezze applicate a un’asta girevole intorno a un fulcro sono inversamente proporzionali ai loro pesi. Per intanto egli si limitò a sollevare davanti agli occhi increduli di Gerone, con un sistema di carrucole a distanza, una nave, equipaggio compreso. Ma è solo questione di dimensioni: datemi una leva, suona un altro famoso motto archimedeo, e vi solleverò la terra. Della terra poi e del sole e delle stelle dette una rappresentazione costruendo un planetario capace di riprodurne in un’unica rotazione i diversissimi movimenti e le orbite celesti, sì che guardandolo si vedevano apparire e scomparire gli astri come succede nella realtà, e come mostrò e spiegò a Cicerone uno che possedeva quel marchingegno sferico.
Di tutto ciò, come abbiamo accennato, la fonte più attendibile per il suo rigore rigido e la vicinanza cronologica è Polibio. Ma, al solito, la più godibile è Plutarco, che dedica allo scienziato siracusano tre capitoli nella Vita di Marcello. Dapprima descrive i sassi lanciati dalle mura contro i Romani assalitori come la gragnola di chicchi d’una tempesta che ricadde con un fragore assordante e rapidità terrificante; altrettanto e contemporaneamente i raggi infuocati diretti alle navi, che le affondarono, mentre rampini di ferro le afferravano e strattonavano come becchi di gru. «Il resto dei Siracusani - conclude Plutarco - non erano che un corpo, il quale agiva secondo i suoi piani, ed egli era la sola anima, che muoveva tutto».
E pur così, «il suo spirito era tale e tale la profondità della sua anima, che pur avendogli le sue invenzioni procurato un nome e una fama di intelligenza sovrumana, su queste cose non lasciò dietro di sé nessuna dissertazione, ritenendo le opere di meccanica e la meccanica ignobile e attività da manovali». Perciò si può ben credere ciò che si narrò di lui, che in preda al fascino e alla suggestione di una sua privata Sirena si scordava persino di mangiare, e durante i bagni continuava a tracciare equazioni e a fare calcoli sul suo corpo insaponato.
Non c’è dunque da stupirsi se, come spiega Russo nelle ultime pagine, sebbene la fama e la leggenda dello scienziato non si estinguessero anzi si consolidassero nella tarda antichità e poi nel Medioevo, la sua influenza scientifica non si fece sentire dopo il crollo dell’ellenismo e pur con la trasmissione di parecchi suoi trattati sino agli albori dell’età moderna, nel secondo Cinquecento. Studiato da Galileo, egli diede allora un contributo straordinario alla geometria e alla nascita della meccanica e dell’idrostatica. E sta ancora lì, dipinto dal Borgognone e colleghi, nella scena anch’essa emblematica e fin troppo tale per essere proprio vera, della sua morte: sorpreso e trafitto alle spalle da un soldato romano inconsapevole durante la presa di Siracusa, mentre chino a terra ostinato e assorto disegna ancora figure geometriche col compasso in mano. Sicché, commenta a sua volta Valerio Massimo nei Detti e fatti memorabili, quella medesima passione che aveva nutrito la sua vita, gliela tolse.
© RIPRODUZIONE RISERVATA

Nessun commento: