sabato 21 marzo 2020

Sacro e comicità nell'antica Grecia: Bettini e altri

Maurizio Bettini, Massimo Raveri, Francesco Remotti: Ridere degli dèi, ridere con gli dèi, il Mulino, Bologna, pagg. 242, € 22

Quei mattacchioni degli dèi
Divino umorismo. Dall’antichità classica alle civiltà orientali e africane un’indagine ricostruisce il ruolo del riso nelle rappresentazioni religiose, soprattutto politeiste
Francesca Rigotti Domenicale 3 5 2020
La filosofia è una cosa seria. Eppure nasce con un atto maldestro e una risata. Racconta infatti Platone che il protofilosofo e astronomo Talete, mentre camminava con gli occhi rivolti alle stelle, inciampò e cadde in un pozzo, suscitando il riso di una servetta. Anche la teologia è una cosa seria, e tuttavia il suo atteggiamento nei confronti del ridere e del riso non è sempre così tollerante. Ridono gli dèi? Ridono, ridono, anzi si sbellicano dalle risate guardando giù alla nostra insipienza e al nostro accanimento nel seguire pervicacemente comportamenti dissennati. O almeno, ridono quegli dèi cui è consentito esercitare la magnifica e liberatoria pratica del riso. Gesù invece no, Gesù non aveva mai riso. O forse lo aveva fatto ma il suo riso è stato negato. Peccato: una bella risata avrebbe contribuito a sostenere la tesi della sua doppia natura di vero dio e di vero uomo, come lo fece la sua sessualità, secondo la acuta analisi di Leo Steinberg (La sessualità di Cristo nell’arte rinascimentale e il suo oblio nell’età moderna, Il Saggiatore, Milano, 1986). Gesù piange, eccome, ma ridere, mai! Ce lo fa notare, dopo che Umberto Eco costruì intorno a questo assioma nientemeno che Il nome della rosa, Massimo Raveri, docente di Religioni e filosofie dell’Asia Orientale a Venezia, nel suo contributo a questo arguto volume scritto a sei mani e dedicato all’«umorismo teologico». Ne scrive, nell’introduzione, l’antropologo culturale Francesco Remotti, segnalando l’importanza che il riso e lo scherzo assumono nelle rappresentazioni religiose. Scherzose sono, nella sua classificazione, le religioni dell’antichità greca e romana, quelle di numerose civiltà orientali, specialmente dell’Estremo Oriente, e delle civiltà e culture africane.
I monoteismi no. Nei seriosi monoteismi convinti che la propria divinità sia l’unica vera, e di cui Jan Assman ci ha rivelato la predisposizione alla violenza, né Dio ride, né di Dio si ride. L’assenza di riso è uno dei modi che mettono distanza tra divino e umano. Al contrario dei politeismi, giacché gli dèi di quelle religioni, grazie alla vicinanza al mondo degli uomini - si innamorano dei mortali, si infuriano con loro o ne sono invidiosi, insomma sono antropomorfi - sono anche in grado di ridere. Lo illustra Maurizio Bettini, filologo e antropologo del mondo antico, la terza mano del volume, nel suo intervento sul riso degli dèi (genitivo soggettivo e oggettivo) nell’antichità classica. A Bettini si deve anche l’aver scovato e posto a epigrafe del capitolo un pensiero di Leopardi molto adatto ai nostri tempi apocalittici: «Chi ha il coraggio di ridere, è padrone del mondo, poco altrimenti di chi è preparato a morire».
La parte di Bettini sulle risate degli dèi è interessante e liberatoria (ma non lo sono di meno gli altri interventi, di Remotti sulle religiosità africane e di Raveri su alcune forme di religiosità giapponese), a partire dal richiamo al riso irrefrenabile degli dèi davanti alla scena degli amanti fedifraghi, Afrodite e Ares, intrappolati in una rete infrangibile costruita ad arte dallo sposo di Afrodite Efesto, zoppo e storpio ma dal cervello fino e dalle mani abili. Come godibili sono i suoi commenti alle commedie di Aristofane e soprattutto all’Anfitrione di Plauto, che permetteva di ridere alla grande di vizi e vicende del padre degli dèi. Le informazioni che riceviamo da Raveri sul dio giapponese della risaia e della risata, un dio che ride di un riso buono e allegro perché è vicino agli uomini e in armonia con la vita. O l’affermazione di Remotti quando dichiara che «l’insegnamento maggiore che suppone di aver tratto dalle sue esperienze di vita e di ricerche in Africa, … è la capacità di ridere».
Che meraviglia poter esorcizzare l’angoscia con una risata trasgressiva, ridimensionare le cose ridendone, grazie all’invito a non prendere troppo sul serio se stessi e le norme sociali prevalenti – ogni comunità ha bisogno di momenti in cui si prende gioco dei potenti - e nemmeno la teoria pura – come commentava il filosofo tedesco Hans Blumenberg. Tornando dalla teologia alla filosofia, questa dovrebbe insegnare a riflettere e a speculare sì, ma anche a sorridere, se non proprio a ridere sguaiatamente, di sé e delle cose, a prenderle non soltanto «con filosofia» ma anche con un po’ di ironia, di leggerezza di cuore. Ciò che in generale suscita la risata - sostenne il filosofo francese Henry Bergson nel suo saggio sul riso - è il contrasto che lo spettatore avverte tra rigidità e elasticità. Nel caso di Talete, è per mancanza di elasticità e per eccesso di automatismo che il filosofo inciampa e cade e i passanti ridono. Si rialzerà, comunque, e continuerà a volgere la mente alle questioni ultime - ma anche un po’ alle faccende pratiche, speculando sui frantoi di olive di Mileto e arricchendosi grazie al nolo ricavato. Facendo tesoro dunque dello spirito di resilienza dell’umorismo.
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