martedì 20 ottobre 2020

Da David Peace un romanzo sugli albori del thatcherismo e della nostra sconfitta

La Thatcher si svelò poco Lady e molto di ferro ma non vinse la battaglia contro i minatori
Omar Di Monopoli Tuttolibri 7 11 2020

Il teleobiettivo di una steadycam che avanza frenetico e inarrestabile tra le scorie insanguinate del thatcherismo. È questa l'immagine che evoca più plasticamente la lettura di GB84, nerissimo romanzo dello scrittore britannico David Peace appena ritornato tra gli scaffali per Il Saggiatore.
Ex giovane penna rampante in grado di deliziare critica e pubblico con una quadrilogia di volumi incentrati sulle nefandezze del cosiddetto «Squartatore dello Yorkshire», un serial killer che sconvolse l'Inghilterra tra i Settanta e gli Ottanta, lo scrittore - oggi cinquantatreenne - affronta nelle pagine di quest'opera dura e pura l'ultimo significativo braccio di ferro tra capitalismo e potere operaio: quello cioè consumato durante il più lungo sciopero dei minatori dell'area carbonifera del Galles, che nel 1984 eponimo paralizzò la Perfida Albione costringendo il partito dei conservatori a mostrare al mondo la sua faccia più cruda e repressiva.
Dando corpo a uno stile che si era profilato già compiutamente nei romanzi precedenti, in quasi 500 pagine l'autore sminuzza e sparpaglia una materia di per sé magmatica ricorrendo con destrezza a una tavolozza di registri variegata: thriller, monologo teatrale, slogan, cronaca nera, inni e canti, finzione documentaria e digressioni sessuali sono al servizio di una narrazione allestita ora su capitoli dalla fruizione canonica, impaginati in maniera classica, ora su altri in corsivo volutamente più ambigui, inseriti nel corso della narrazione principale e densi di accenti grotteschi e personaggi moralmente spaventosi.
Puntellati tra il marzo 1984 e quello del 1985, in mezzo a ricordi sussunti con palpabile efficacia (come il sostegno alla causa dei minatori da parte di Paul Weller e Billy Bragg durante il Band Aid), i 364 giorni di sciopero sono l'unico punto fermo di un mosaico scomposto e vibrante di voci: compaiono dei nomi, e sono quelli di Martin e Peter, la coppia di minatori che parla in prima persona, poi Terry Winters, il Responsabile esecutivo del Sindacato, Malcolm con i suoi supporti magnetici e Neil Fontaine, guardaspalle senza scrupoli del pezzo grosso manipolatore dei media. Ma anche, l'un contro l'altro armati, sfilano tra gli uomini del Sindacato e quelli del Governo una miriade di figure chiamate semplicemente il Segretario, il Presidente, il Ministro, il Lord, il Meccanico. Su tutti si staglia, presenza inquietante, l'Ebreo, classico rimestatore del torbido, un uomo che non si perita di reclutare la peggiore teppaglia neonazista per sguinzagliarla contro i picchettatori o di pilotare la stampa per far sì che le telecamere inquadrino solo la sassaiola dei minatori e non le manganellate della polizia, o ancora di assoldare falsi crumiri per inoculare il dissenso tra gli scioperanti. Margaret Thatcher si palesa con nome e cognome solo di striscio, mostrandosi tra le pagine come la «Lady di Ferro» o più semplicemente «Lei», mentre è «la troia di Ferro» nei discorsi di sprezzo dei minatori.
La Storia che amalgama l'affollatissimo coro è tristemente nota: ascesa al potere con una maggioranza anomala sostenuta da un'estrema destra antisemita e da una lobby di affaristi ebrei, la Thatcher decise di contrastare la tremenda recessione che strozzava l'isola chiudendo un numero di miniere in crisi per legittimare così il licenziamento di decine di migliaia di dipendenti. La manovra atterrì la nazione e, soprattutto, la zona dello Yorkshire, il cui tessuto sociale attorno a quei pozzi era abbarbicato. Probabilmente sottostimando la forza del sindacato, la leader unionista si ritrovò a fronteggiare l'orgoglio degli operai che per un anno resistettero agli stenti supportati dalle famiglie e dalla solidarietà di una buona porzione dell'opinione pubblica. Furono mesi di sanguinosi corpo-a-corpo ma anche di trame segrete e tradimenti orditi allo scopo di ribaltare la partita.
Non mancarono da ambo le parti episodi di violenza, al punto che oggi la posterità ha decretato fuor di dubbi la sconfitta di ciascuno degli schieramenti: che si tratti dell'intransigenza della Iron Lady quanto dell'azione politica di «Re Artù», nomignolo dato a Arthur Scargill, il dispotico capo del sindacato - eroe malaccetto per non aver mai aperto a un vero contraddittorio all'interno di un sindacato troppo attaccato al blasone di classe - gli scioperi del 1984 inglese furono una voragine che risucchiò gli ultimi baluardi di innocenza dal confronto politico moderno, e il romanzo di Peace, secco, tagliente, non mostra affetto per nessuno riuscendo congiuntamente a descrivere tanto la meschinità dei dirigenti sindacali quanto quella dei capi d'industria, dei maggiorenti di partito come degli umili lavoratori. Epico ma mai eroico, il libro ci mostra il lordume delle rivolte umane senza mai romanticizzarlo: solo la realtà, in tutta la sua spietata crudezza. — © RIPRODUZIONE RISERVATA

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