domenica 27 dicembre 2020

Marxismo o sovranismo piccolo borghese? Comunismo o comunitarismo? Con la crisi Covid emergono le contraddizioni in seno al populismo e il sovranismo di sinistra si rivela "una illusione"

Nel mio libro "Il virus dell'Occidente" critico parecchio il comunitarismo 'oltre destra e Sinistra' di Zhok. In questo articolo mi pare però che i nodi vengano al pettine e che anche chi è stato impegnato sul piano intellettuale nell'onda populista e sovranista provenendo da sinistra, e che aveva sperato in un movimento trasformativo trasversale, si stia rendendo conto che i rapporti di forza trascinano inevitabilmente a destra questo coacervo, e ancor più in tempo di covid, quando la scelta tra interesse generale e egoismi particolari è netta e spazza via ogni fumisteria. E così in quello che sembrava un movimento di liberazione dal neoliberalismo e dall'Europa di Maastricht improvvisamente appaiono i rischi di nuove politiche padronali, di irrazionalismo e persino razzismo.
Zhok, non a caso, prende bacchettate dai sovranisti più duri.
Forse un percorso dialettico si compie e siamo di fronte a una scissione della ragionevolezza nel fronte sovranista. Peccato manchi qualunque sinistra capace di intercettarla [SGA].

Da: Il virus dell'Occidente:

"Sì, i marxisti ritengono che il grande capitalismo è un fenomeno progressivo, naturalmente non perché esso sostituisce la dipendenza all’’indipendenza’ – sia quella del ‘piccolo pidocchio’, e cioè del piccolo sfruttatore, che di quello ‘grande’ –, ma perché crea le condizioni per sopprimere la dipendenza" (Lenin)

I populisti “escogitano una piccola economia astratta, che sta al di fuori dei rapporti sociali di produzione, e non vedono l’insignificante circostanza che questa piccola produzione si trova in effetti nell’ambito della produzione mercantile” (Lenin)

"... Come valutare questo approccio così ossessionato dal tema delle radici e dell’appartenenza?... la comunità la cui capacità vincolante è così apprezzata da Zhok, ovvero la Gemeinschaft, non solo non è poi così protettiva ma non ha nulla a che fare con quella della tradizione socialista e comunista140. La “comunità di popolo” trasfigurata nell’idillio dei rivoluzionari conservatori, o di Heidegger, o del sovranismo odierno, infatti, è certamente calda e compatta ma è tutt’altro che priva di elementi di dominio o di gerarchie di potere e proprietà e la sua solida consistenza è una consistenza coatta. I “variopinti legami” della comunità, come notava Marx con ironia tagliente (un’ironia spesso nemmeno percepita dai comunitaristi), nascondevano per lo più in essa catene molto pesanti che “avvincevano l’uomo ai suoi superiori naturali”: le catene di una dominazione dell’uomo sull’uomo o del gruppo sul gruppo, della classe sulla classe, che aveva un carattere personale e spesso sconfinava nella servitù143. Se il liberalismo non è il paradiso dell’individuo e i processi di astrazione portano con sé anche alienazione e sradicamento, dunque, la comunità non è affatto l’ambiente naturale spontaneo del legame sociale cooperativo, come Zhok sembra dare per scontato nella sua nostalgia per le radici, ma può essere anzi il contesto della più ferina sopraffazione (tanto più che la sua configurazione particolaristica la contrappone inevitabilmente, come vedremo, alle storicità che non le appartengono). Mentre la concretezza del legame sociale che rassicura e fornisce protezione può essere anche sinonimo di rapporti di subordinazione e dominio, di esclusione e inclusione, esercitati oltretutto attraverso la frusta invece che mediante la norma giuridica. Questo genere di comunità “dell’identità e dell’appartenenza” è in questo senso “il contrario della communitas”, perché assumendo se stessa “come assolutamente ‘propria’” e “nella misura in cui rifiuta – o, al contrario, fagocita – ogni alterità differenziale rispetto al proprio modello assoluto”, si definisce anche come “non ‘comune’” e cioè tutta dominata dallo scatenamento degli egoismi privati di cui è figura il diritto, quello germanico non meno di quello romano...

In questa prospettiva, la nostalgia della comunità alla quale sembra ispirarsi anche il sovranismo odierno, oltre ad essere molto diversa da quella comunità essa stessa introvabile ma quantomeno “costitutivamente aperta” di cui parla Di Cesare – una communitas che “implica essere legati, vincolati gli uni agli altri” ma che almeno nelle intenzioni costitu isce anche il contesto di un essere “costantemente esposti, sempre vulnerabili” –, è totalmente estranea in primo luogo al marxismo. Il quale rivendica sin dalla propria genesi la rivoluzione della modernità e dunque anche la figura dell’individuo moderno; e pretende di portarla alle sue estreme conseguenze, dando all’idea di individuo una portata universale che si identifica con il principio di uguaglianza158. Il comunismo marxiano è un comunismo esso stesso moderno, un comunismo che è passato per l’esperienza del liberalismo e del capitalismo ereditandola assieme alle sue ricadute in termini di emancipazione dell’individualità e della soggettività, così che in questo caso ha torto a mio avviso Roberto Esposito nell’interpretare il marxismo come “una controspinta reattiva ai moderni processi di disincorporazione individualistica”, un movimento di difesa che entra in tensione con quella “portata liberatoria” che per altri versi esso continuerebbe a esprimere159. Mai e poi mai il materialismo storico ha avuto paura dello sradicamento. Mai e poi mai nella sua richiesta di giustizia sociale esso ha guardato indietro al mondo feudale e alle sue ristrettezze, nel segno del servo o dell’artigiano o del lavoratore specializzato o di altre manifestazioni residuali di resistenza, ma ha guardato invece sempre in avanti al mondo dell’abbondanza e della libera produzione, nel segno del compiuto dispiegamento delle potenzialità del rapporto di capitale e di una forza lavoro divenuta astratta che aspira a diventare libera individualità integrale. Il marxismo muove, in altre parole, dal riconoscimento della legittimità del moderno e della necessità storica dello stesso capitalismo come liberazione delle forze produttive e come arricchimento della soggettività umana e si propone di farne propri i risultati e di renderli universali. E di questo suo riconoscimento, che è parallelo e simultaneo alla critica più impietosa della modernità stessa e delle sue contraddizioni, fa pienamente parte anche il riconoscimento della potenza di emancipazione che è presente nel processo di astrattizzazione: un processo che nel rompere i rapporti personali di dipendenza comporta certamente ricadute dolorosissime in termini di Entäusserung ma che alberga al contempo in sé la tendenza alla costruzione del genere nel concetto universale di uomo e donna.

Marx era un hegeliano modernissimo, non un critico conservatore del capitalismo e non è lecito confonderlo con il Friedrich List che Arthur Moeller van den Bruck associa a Stein161 o con quel Rodbertus che Sombart annovera tra i padri del socialismo tedesco1...

Una limitazione etico-statale del capitalismo reale, questo è il socialismo comunitarista immaginario proposto da Zhok... “Palliativi piccolo-bor ghesi” o “rosee fantasticherie da educanda”187, diceva a suo tempo Lenin a proposito di certe elucubrazioni. La montagna ha partorito un topolino. Questo progetto di ‘socialismo’ in una sola provincia non significa integrare e aggiornare la teoria di Marx, come pure sarebbe comprensibile e necessario, ma ribaltarla nel suo significato più profondo. Dalla pretesa ambiziosa di criticare la ragione liberale siamo così retrocessi alla fenomenologia di quelle molteplici varianti del socialismo reazionario e conservatore... È l’illusione di un capitalismo limitato dalla persistenza di un set di valori borghesi stabili che non mette affatto in discussione la proprietà privata e che non tocca le differenze sociali, le quali si producono esattamente al livello della proprietà e della produzione, ma interviene in forme caritatevoli nel circuito della distribuzione e del credito per ridurre gli eccessi di ricchezza e povertà tramite l’imposta progressiva.

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