domenica 7 marzo 2021

Freedom House: L'imperialismo disegna la mappa del mondo, impone i nomi e mette i voti


 










Il riallineamento universalista seguito alla vittoria di Biden comporta la ripresa in grande stile della campagna liberaldemocratica dirittumanista globale, che Mearsheimer chiama "internazionalismo liberal", ovvero l'idea dell'esportazione attiva del Consensus di Washington al di là di ogni considerazione realistica della politica internazionale.

Questa campagna prevede che mentre in realtà l'Occidente tiene sotto il proprio tallone e mette a ferro e fuoco il mondo intero, venga pompata massicciamente la narrazione di un "assedio" (Molinari) all'Occidente e alla democrazia da parte di pericolose centrali totalitarie o dispotiche, in primis la Cina ma anche tutti gli altri Rogues States.


L'Occidente e il liberalismo sarebbero dunque in pericolo, circondati da nemici che vorrebbero ledere i diritti imprescrittibili, vietare la libera espressione e abolire il pluralismo politico (in realtà, i sistemi liberali si fondano sul monopartitismo competitivo e misconoscono diritti fondamentali come il diritto alla vita, alla salute e alla sicurezza, il diritto al lavoro e la pari dignità umana).

Tra i bracci armati più intraprendenti di questa forma di manipolazione industriale globale dell'opinione pubblica, che ingloba tutto il sistema dei media tradizionali e alternativi, c'è l'agenzia non governativa, ma finanziata dal Pentagono, Freedom House.

La quale si è assunta da tempo il compito di disegnare e ridisegnare la mappa del mondo secondo le coordinate liberali e della quale scrivo ne "Il virus dell'Occidente".

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Esiste davvero un’«unica possibile» forma di democrazia? E questa forma universale coincide con «quella liberale e occidentale», come sostiene senza tentennamenti Angelo Panebianco sulla scorta di una ricchissima bibliografia ispirata al concetto di società aperta ? L’organizzazione non governativa Freedom House si ritiene in diritto di assegnare i nomi per conto dell’unica autorità riconosciuta ad operare in tal senso e cioè il governo degli Stati Uniti dal quale riceve i finanziamenti che la fanno esistere . E tiene costantemente aggiornata una mappa che consente a tutti di vedere con i propri occhi in tempo reale lo stato della democrazia nel mondo: i paesi liberi sono colorati in verde, quelli parzialmente liberi sono color senape, quelli non liberi – in una scala che va dal dispotismo al totalitarismo – sono in viola. Viene anche calcolato il trend che misura se un paese diventa di ora in ora più democratico o più autoritario. La metodologia di valutazione è la seguente:

«Ad ogni paese o territorio vengono assegnati da 0 a 4 punti per ciascuno dei 10 indicatori sui diritti politici e dei 15 indicatori sulle libertà civili, espressi attraverso una serie di domande; un punteggio pari a 0 rappresenta il più piccolo grado di libertà e 4 il massimo grado di libertà. Le domande sui diritti politici sono raggruppate in tre sottocategorie: processo elettorale (3 domande), pluralismo politico e partecipazione (4) e funzionamento del governo (3). Le domande sulle libertà civili sono raggruppate in quattro sottocategorie: Libertà di espressione e credo (4 domande), Diritti associativi e organizzativi (3), Stato di diritto (4), Autonomia personale e diritti individuali (4)» .

È una plastica rappresentazione del funzionamento del liberalismo come circoscrizione di uno spazio sacro della libertà: il liberalismo disegna e ridisegna letteralmente lo spazio stesso della Terra, oltre a fornire le definizioni ufficiali alla cui luce interpretare la mappa del mondo inteso in senso politico. È uno spazio dal quale, come si può vedere, mancano completamente i diritti economici e sociali e i diritti collettivi. E che si guarda bene dall’inserire tra i diritti fondamentali anche quella «libertà dal bisogno», intesa come la garanzia per ogni nazione di «una sana vita di pace per i suoi abitanti», che pure Franklin Delano Roosevelt inseriva tra le libertà fondamentali, per non parlare della «libertà dalla paura» e cioè della garanzia che «nessuna nazione sarà nelle condizioni di compiere un atto di aggressione fisica contro qualsiasi vicino» . Non in tutto il mondo però viene considerato scontato ciò che tale è in Occidente, come abbiamo già letto in Huntington e nel suo ammonimento secondo cui «quello che per l’Occidente è universalismo, per gli altri è imperialismo» , e forse è l’Occidente che non è in grado di comprendere le istituzioni altrui. In altre parole, «la democrazia cinese è così complessa e diversificata che non è possibile descriverla usando gli altri modelli democratici» . Il suo principio «è diverso» da quello occidentale e lo è non solo «in termini di natura, scopo, obiettivi e composizione, ma anche per i compiti e le pratiche», così che cercare di comprenderla riconducendola metodologicamente al modello occidentale e ai suoi criteri particolari «distorce i fatti perché serve solo ad attribuir[le] caratteristiche errate».

Siamo di fronte alla pervicace ostinazione di un paese dispotico e politicamente arretrato a non voler seguire il modello standard di democrazia costituzionale e al suo sottrarsi ad ogni valutazione? Oppure è possibile sollevare il dubbio che, per mancanza di volontà e di interesse, l’Occidente faccia fatica a comprendere che non esiste un unico percorso di sviluppo politico ed economico uguale per tutti e che i processi politici si dispiegano in ogni paese secondo condizioni storiche del tutto peculiari e a partire dalla situazione concreta che lo caratterizza?

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